Le censure della rete
Sono
anni che governi di mezzo mondo censurano internet, cioè
censurano l'unico mezzo attraverso il quale un'idea o un'opinione
può effettivamente fare il giro del mondo in pochissimo tempo,
diffondersi ed essere discussa. L'unico medium, cioè, che
trasforma l'utenza di questa grande rete in una assemblea permanente,
variegata, perlopiù inconsapevole di tutto questo, ma anche
per questo contenitore di enormi opportunità e speranze di
libertà.
Sono anni che alcuni paesi arabi, come l'Arabia Saudita,
ma potremmo anche parlare della Siria sebbene di questi tempi sia
meglio evitare di nominarla, e che grandi paesi come la Cina innovano
le proprie tecnologie per meglio filtrare i contenuti di internet,
creare reti proprietarie da far digerire alle popolazioni come "sostitutive"
di quel mare elettronicum che copre mezzo pianeta. Paesi nei quali
i provider sono ad un tempo imprese controllate dallo stato e controllori
dei cittadini per conto dello stato. Il Vietnam censura i net-café,
in Pakistan per guardare un sito porno occorre essere un hacker
o avere abbastanza soldi da chiamare provider all'estero per collegarsi
in libertà.
In Kazakhstan, il paese più affascinante e
più inquinato della vecchia Unione Sovietica, si è
deciso che la società di telecomunicazioni di stato non debba
più consentire l'accesso ad una lista nera di siti: no, non
sono pornografici, sono siti di informazione o siti politici sgraditi
al regime. Poiché ci si collega solo attraverso quella società,
tutti i kazakhi sono tagliati fuori da certa informazione.
Senza andare tanto lontano, ché la censura
è sotto casa, in Germania siti che inneggiano al nazismo
sono illegali, come se avesse un senso rendere illecita la demenza,
in Italia ci sono siti che semplicemente spariscono da un giorno
all'altro perché qualche provider ha paura a tenerli su ed
altri che vengono sequestrati senza sentenza, perché se non
son testate giornalistiche basta una denuncia. In Francia le aziende
europee che pubblicano siti solo in inglese e non anche in francese
rischiano di essere trascinate in tribunale (ma, vabbé, quello
è un paese nel quale si è tentato di processare la
sede americana della Yahoo!). In Spagna è passata una legge
che è peggio di quella italiana sull'editoria, per cui qualsiasi
sito che non abbia auto-denunciato la propria esistenza e le proprie
caratteristiche può in qualsiasi momento incorrere nel sequestro
giudiziario.
Tutto questo è condito da normative sovranazionali
deliranti, come la versione europea dell'americano DMCA (penso alla
EUCD che l'Italia ha voluto recepire persino prima degli altri)
o, peggio ancora, l'imminente direttiva sui brevetti del software.
Ci sono leggi che legano le mani a chi vuole parlare liberamente
e dire quello che pensa, altre che azzannano chi produce tecnologie
scomode o semplicemente le realizza, magari per studiarle. C'è
un ragazzino norvegese che ha giocato con il suo computer e i suoi
DVD: è sotto processo da anni e dopo un'assoluzione ancora
non ha concluso il suo calvario giudiziario.
In prospettiva, poi, c'è il computing del futuro,
quello thrustworthy, quello che tutti i grandi produttori del settore
intendono sviluppare. Lo chiamano computing sicuro perché
sono "sicure" le azioni che l'utente di quel computing
potrà compiere, utente che finalmente cesserà di essere
un problema per il copyright e il grande business, tornando ad essere
un semplice consumatore, bersaglio privilegiato di certa pubblicità
e fornitore di consumo.
A questo storico accerchiamento, del quale parleranno
un giorno i sociologi, la comunità hacker sta reagendo con
molta meno energia di quanto sarebbe lecito attendersi: da una parte
con finora vani tentativi di creare software anti-censura (non mi
nominate peekabooty perché divento viola, è un bimbo
nato morto) e dall'altra gettandosi sull'open source, che sta dismettendo
le pulsioni della rivoluzione per diventare generatore di nuovo
business. E non c'è ancora Freenet, se mai ci sarà,
a trascinare le nostre speranze altrove, a far passare il sole tra
le fitte nuvole.
"Mi preoccupo di mia figlia e di internet
tutto il tempo, anche se lei è troppo giovane per andare
online. Ecco di cosa mi preoccupo, che tra 10 o 15 anni da ora,
possa venire da me e chiedermi: Papà, dov'eri quando hanno
tolto la libertà di stampa da internet?"
Questa frase di Mike Godwin, della Electronic
Frontier Foundation, la conosciamo in tanti. Ma forse abbiamo smesso
di ripeterla a noi stessi e ai nostri amici.
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