Il divario digitale è un ritratto dei ritardi dell'Italia: il ritardo tra il nostro Paese e gli altri Paesi europei, e le differenze all'interno del nostro territorio, tra Nord e Sud, tra grandi e piccoli centri, tra giovani e anziani. A oggi il piano nazionale per la banda larga lanciato nel 2009 non ha raggiunto i risultati attesi. L'UE ci dice che l'Italia è terzultima come percentuale di popolazione che si connette alla rete almeno una volta alla settimana: fanno peggio di noi solo Bulgaria e Portogallo. Sempre la Commissione Europea ci dice siamo penultimi per copertura totale (città e campagna) della banda larga su rete fissa. Facciamo meglio solo se esaminiamo le zone raggiunte dal wireless rete mobile (Umts/Hspa, WiMax), che presenta significativi problemi di costo e di usabilità per le aziende, soprattutto se si vuole utilizzare l'infrastruttura di rete come veicolo di sviluppo e crescita industriale. Sulla banda larghissima va ancora peggio: siamo il Paese con la minor percentuale di connessioni veramente veloci (da 10 Megabit in su) sul totale di quelle attive.
È un circolo vizioso: la carenza di banda larga, motore di innovazione e crescita economica, blocca lo sviluppo delle aziende sui settori più competitivi. Permangono in Italia "aree bianche", non solo in luoghi difficili da raggiungere, ma anche in aree produttive del Paese (persino alcune zone della pianura padana!). Neelie Kroes nel 2012 ci ha ricordato che per l'Italia è necessario "investire di più nel potenziamento delle infrastrutture per la banda larga e pensare politiche per l'alfabetizzazione digitale". Alfabetizzazione digitale che, aggiungiamo, è fondamentale per le PMI.
L'obiettivo da centrare rapidamente è lo sviluppo dell'infrastruttura di rete, per muovere verso la copertura totale e accelerare la copertura in fibra ottica. L'accesso alla banda larga è, infatti, una condizione necessaria per un'Italia che vuole riprendere a crescere economicamente, oltre a essere anche una straordinaria questione di democrazia, pari opportunità e crescita della conoscenza nel Paese. Su questo, non bastano soltanto soluzioni intermedie come il "vectoring", che consente di migliorare solo le prestazioni della rete. Abbiamo, invece, bisogno di nuovi investimenti per la fibra ottica. A oggi, infatti, lo stato di copertura in fibra del Paese è insoddisfacente: Telecom Italia raggiunge con la sua rete solo 40.000 unità immobiliari e Fastweb ne raggiunge circa 2 milioni. In questo quadro si vanno ad inserire le due grandi azioni pubbliche: i fondi stanziati per il Piano Banda Ultra Larga dal Governo all'interno del Piano di Azione e Coesione e l'iniziativa Metroweb a Milano e con il progetto di estendersi ad altre realtà a ritorno di mercato. Il progetto Metroweb, con gli aumenti di capitale già deliberati e con quelli programmati dalla Cassa Depositi e Prestiti, è sicuramente uno strumento importante, ma non basta.
Occorre un serio piano infrastrutturale "straordinario", per modulare e integrare gli investimenti pubblici a fondo perduto con quelli di investitori, pubblici e privati. È indispensabile un piano del Governo che indirizzi i comportamenti degli operatori, per fare sì che su questa infrastruttura strategica per il Paese prevalga l'interesse nazionale. Sono necessari un quadro amministrativo per interventi in tempi brevi e certi, un quadro regolatorio pro-concorrenza e un coordinamento delle iniziative intraprese dalle Regioni, per razionalizzare le reti pubbliche e portarle a sistema.
Per le reti in banda larga fisse e in fibra nelle zone a fallimento di mercato bisogna promuovere a livello europeo l'ampliamento del Fondo "Connecting Europe Facility", per facilitare gli investimenti in reti fisse ad alta velocità anche garantendo la sicurezza dell'investimento. E poi riservare fondi e risorse, pari ad almeno 3 miliardi di euro, nella prossima programmazione dei fondi europei 2014-2020, per la connettività in fibra di servizi universali come la scuola e le strutture sanitarie. Parliamo di scuola: in Italia, oggi, solo il 15% circa delle aule scolastiche è connesso in rete, e pochissime con una connessione a banda larga o ultralarga. Questa condizione rende impossibile l'utilizzo efficace di strumenti innovativi come le LIM (Lavagne Interattive Multimediali) e rende difficile un'evoluzione della didattica all'altezza dei "nativi digitali". Un'infrastruttura unica, di qualità e pubblica per la scuola, che metta in rete tutte le aule, non è solo un elemento di democrazia e di reale accesso alle pari opportunità per tutti gli studenti italiani, ma anche un acceleratore per il drastico abbattimento del digital divide in molte aree bianche del Paese. Permetterebbe, inoltre, la nascita di un indotto industriale innovativo e profittevole (contenuti formativi, dotazioni tecnologiche, servizi didattici interattivi, editoria digitale, ecc.).
Per l'Italia digitale, l'Europa della Strategia 2020 è uno stimolo positivo. Per il PD, nella prossima legislatura il rispetto degli indicatori fissati dall'Agenda Digitale Europea e la loro trasposizione completa nell'agenda digitale italiana saranno un'improcrastinabile priorità. Per promuovere le competenze digitali, con particolare riferimento alle classi d'età e sociali che sono rimaste più indietro, introdurremo anche in Italia un Digital Champion, seguendo l'idea della Commissione europea (Every EU country needs a Digital Champion): un "evangelizzatore digitale" in grado di trasferire competenze e cultura. L'"innovation by law", come si è visto in alcuni casi (firma digitale, raccomandate online, certificati anagrafici online), può essere uno stimolo per la semplificazione e le buone pratiche sulla PA: l'obiettivo è rendere più convenienti e semplici i servizi se usufruiti in rete, con una progressiva eliminazione dell'opzione "analogica".
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