Le impre se investono se si fidano di un paese. Ciò implica uno sforzo lungo tre linee d'intervento: rimuovere le barriere esplicite all'investimento in ricerca e sviluppo, creare un ambiente favorevole all'investimento, eliminare le barriere implicite.
Tra le barriere esplicite all'investimento in R&D ne vogliamo citare tre. Una sono le norme che rendono complicato o impossibile seguire determinati percorsi tecnologici. Pensiamo al trattamento delle biotecnologie: abbiamo una normativa sospettosa a prescindere verso l'innovazione, proibendo l'utilizzo delle varietà transgeniche autorizzate a livello comunitario e impedendo la sperimentazione in campo. Il triste caso dei campi dell'Università della Tuscia distrutti recentemente è un esempio di quanto certe decisioni vengano prese in modo tutt'altro che razionale; fatto che è peraltro frutto di inadempienze ministeriali che dovrebbero far riflettere anche sulla burocrazia italiana. Tutto questo deve finire: l'Italia, che fino a una decina di anni fa era forte sul fronte biotecnologico, deve allineare il proprio rapporto con le nuove tecnologie, e dunque con l'innovazione, agli standard dei paesi più sviluppati. Un'altra barriera è data dalla difficile collaborazione tra le imprese e le università pubbliche, e alla scarsa presenza di università private. È bene evitare un'eccessiva intermediazione da parte di Stato e Regioni, anche per superare le lungaggini burocratiche. La questione è certamente delicata e legata anche alla spinosa faccebda della proprietà intellettuale, ma in certa misura dipende pure dall'autoreferenzialità di troppa parte del mondo accademico. Rendere più dinamiche e meritocratiche le università è una prima risposta, anche se insufficiente. Trovare migliori compromessi per favorire la collaborazione, anziché scoraggiarla, è la restante parte del puzzle. Si deve infine sconfiggere la perdurante mentalità antiscientifica che permea il paese. (Sul tema si veda anche la risposta 8). Anche qui, si può fare un esempio concreto: la sentenza che ha condannato i componenti della Commissione grandi rischi per non aver lanciato l'allarme per il terremoto dell'Aquila. Quella sentenza ha destato scandalo in tutto il mondo e le principali riviste scientifiche internazionali l'hanno stigmatizzata. Ecco, queste cose spaventano chiunque, perché rappresentano l'incarnazione di un paese chiuso alle parole della scienza.
Veniamo ora alla definizione di un clima pro-investimenti. L'investimento in ricerca è soprattutto investimento in persone. Quindi le priorità per il mondo della ricerca sono essenzialmente due: il riconoscimento, soprattutto nei settori ad elevato contenuto tecnico-scientifico, del contributo che le nuove professioni possono dare alla produttività e alla competitività del sistema Paese, eliminando le molte e inutili barriere normative per l'accesso al mondo del lavoro; e, dal punto di vista degli investimenti privati, l'abolizione dell'Irap. Per abolire l'Irap occorre tagliare la spesa pubblica di circa 30-35 miliardi di euro all'anno.
Da ultimo, le imprese devono trovare un clima "amichevole". È allora importante, come già sottolineato nella risposta 1), che le imprese che investono si sentano rassicurate sui risultati dei loro investimenti, ad esempio producendo maggiore certezza del diritto.
Occorre infine uscire dalla mortificante procedura del click day sin qui seguita per l'assegnazione delle magre risorse annuali finalizzate all'investimento in ricerca da parte delle imprese. Negli ultimi anni non si è mai riusciti a superare la quota annuale di 7-800 milioni/anno, con vincoli crescenti alle imprese a finalizzare i progetti esclusivamente nell'ambito dell'università pubblica, mentre le grandi imprese e le multinazionali hanno anche proprie strutture in Italia in cui condurre ricerca di base e applicata. La contrapposizioone pubblico-privato non aiuta.
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