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Romeo Lucioni

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Genetica e autismo

GENETICA E AUTISMO

Romeo Lucioni

Ormai da diversi anni, attraverso i nostri siti internet, due convegni telematici, un network internazionale di studio ci stiamo confrontando per poter arrivare a capire qualche cosa di più del disturbo pervasivo dello sviluppo psico-mentale altrimenti chiamato autismo.
In tutto questo tempo abbiamo cercato di sfatare l’asserzione che l’autismo non esiste come sindrome perché sarebbe solo un insieme più o meno coerente di sintomi che formano il cosiddetto “spettro autistico”.
In realtà le nostre osservazioni clinico-terapeutiche hanno portato ad individuare perfettamente il quadro psicopatologico della “sindrome di Kanner” o “autismo autistico” (che indicheremo come AA). Questo si differenzia in maniera tanto chiara e precisa da ogni altro tipo di disturbo dello sviluppo psico-mentale che possiamo anche affermare che si può studiare perfettamente anche per quanto riguarda la sua evoluzione quando viene iniziata una terapia mirata, specifica ed efficace.
Il nostro contributo ha portato a differenziare l’autismo di Kanner (AA) da: l’autismo ipercinetico; l’autismo di Asperger; i disturbi di blocco dello sviluppo di tipo non autistico.
La prima e più importante differenziazione è stata permessa con l’applicazione di una checklist che con i suoi 120 items permette di individuare i casi di AA che, peraltro, hanno anche precoci caratteristiche di sviluppo facilmente individuabili:
a) inizio intorno ai due anni dopo un periodo di quasi normalità;
b) sintomatologia predittiva che comprende:
- non guardare più negli occhi la madre;
- perdere le funzioni di linguaggio e di compartecipazione sociale che già si erano in parte organizzate;
c) preferenza per giochi svolti in solitudine e di tipo ripetitivo ed ossessivo;
d) disinteresse per le iniziative degli altri anche se coetanei;
e) insofferenza e rifiuto per il contatto interpersonale anche nei riguardi dei famigliari e del padre;
f) comportamenti ripetitivi ed ossessivi;
g) incapacità di sopportare cambiamenti nel posizionamento di oggetti abituali;
h) impossibilità ad accettare di guardarsi nello specchio.

Il segno più caratteristico dell’AA è proprio l’inizio del disturbo intorno ai due anni e questo è stato messo in relazione con il cambiamento strutturale (forse mielinizzazione) che riguarda, in questo periodo, la corteccia frontale e prefrontale.
Da questa osservazione sorgono varie considerazioni:
1) l’AA è una sindrome diversa dalle altre perché è la più precoce, infatti quelle ricordate iniziano più tardi intorno o dopo i tre anni;
2) l’AA si caratterizza per la mancanza di funzioni psico-mentali (presenti nelle altre sindromi) che si organizzano dopo i due anni e, quindi, questi bambini presentano:
- mancanza di strutturazione degli oggetti della realtà ed interni;
- deficit dell’organizzazione della coscienza e dell’autocoscienza;
- disorganizzazione delle funzioni adattive dell’IO;
- debolezza affettiva e della scelta dei valori;
- impossibilità di generare un sistema rappresentazionale valido e condivisibile;
- tendenza anche violenta al rifiuto del contatto interpersonale;
- “autismo” che corrisponde ad un isolamento rigido che risulta una difesa di fronte all’invasività dell’angoscia generata da situazioni vissute come pericolose.

I dati osservati possono anche essere riferiti ad una mancata entrata in funzione dei “sistemi affettivi” e, quindi, delle “valenze sociali” che permettono una organizzazione “psico-affettiva” capace di supportare lo sviluppo della relazione interpersonale e della comunicazione.
L’osservazione clinico-terapeutica, a questo punto, ha portato a rilevare l’estrema difficoltà che si incontra per ottenere dei cambiamenti e la ripresa delle funzioni della crescita sia psico-affettiva che psico-cognitiva.
Sotto un altro profilo, si può dire che i cambiamenti del comportamento tipico dell’AA sono molto più lenti di quanto si possa osservare in tutte le altre forme di disturbo dello sviluppo. Questo è tanto più evidente se si considera il recupero delle funzioni del linguaggio.
Solamente nell’AA i cambiamenti del quadro psico-patologico sono così lenti che sembra quasi di rilevarne una mancanza, anche se questo non è vero dal momento che si ottengono rapidamente il controllo dei comportamenti ripetitivi; delle crisi di angoscia e/o di terrore; dei comportamenti aggressivi.
Molto lento è il recupero di:
- funzioni motorie e psicomotorie;
- attenzione e tenuta sul compito;
- comprensione delle richieste e del problem solving;
- disponibilità a cambiare attività;
- accettazione del lavoro di gruppo (anche se di poche persone);
- uso di fonogrammi e/o delle parole.

Anche nel lavoro riabilitativo si osserva una lentezza estrema dei passaggi per quanto riguarda:
- esercizi di prescrittura;
- riconoscimento degli oggetti (vengono riconosciute prima le diversità formali);
- ricomposizione delle figure;
- discriminazione spaziale;
- elaborazione di figure a partire dai ghirigori sino a selezionare un oggetto.

Da queste osservazioni si è dedotto che l’AA è una sindrome ben differenziata e che richiede un impegno professionale non indifferente per poter essere affrontato. In questi casi richiama l’attenzione la difficoltà ripassare dal pensiero concreto a quello affettivo e al simbolico, così che, a volte, sembra quasi di dover parlare di un vero e proprio deficit mentale se non fosse che, tutto sommato, i cambiamenti sono lenti, ma continui. Il bambino AA ti sorprende quando, dopo tanto tempo di blocco, improvvisamente, a suo modo, comincia a riprendere delle funzioni che sembravano del tutto inesistenti.
Questa osservazione è stata messa in luce con il lavoro grafico e/o artistico in quanto gli AA dimostrano una enorme difficoltà per arrivare a comprendere il valore dell’oggetto, di come ogni oggetto sia formato da parti (da qui la difficoltà di raggiungere la comprensione dello schema corporeo), delle relazioni spaziali della parti. Più facile è la comprensione dei colori e dell’applicazione di questi a comporre una figura (per es. mandala) che, evidentemente, viene costruita per accostamenti casuali senza la comprensione della formazione di una immagine.
Da queste osservazioni si è dedotto che il problema dell’autismo non è strutturale, ma di ordine funzionale, anche se si può dedurre che sia molto difficile intervenire a riorganizzare e a fare articolare le varie funzioni tra loro.
La differenza abissale che si osserva nel trattamento di un AA rispetto a tutte le altre forme dello “spettro autistico” ci fa anche pensare che la disorganizzazione funzionale deve essere sostenuta da una immaturità o da difficoltà di attivazione di quei processi capaci di resettare o modificare l’organizzazione del “hardware”.
In altre parole, se vengono attivati i più svariati sistemi operativi, terapeutici e/o riabilitativi (che funzionano negli altri casi di autismo o sindromi similari), senza ottenere risultati adeguati è evidente che l’AA ha delle caratteristiche proprie e specifiche.
Non si può parlare di lesioni e neppure di alterazioni strutturali perché i cambiamenti sono visibili e costanti, ma, evidentemente, dobbiamo pensare ad una “organizzazione funzionale” che non si lascia modificare facilmente.
Se risulta difficile riorganizzare il sistema rappresentazionale perché risulti condivisibile è chiaro che il fatto depone per un blocco o un intasamento dell’organizzazione psico-affettiva, ma questa è rigida e poco modificabile per qualche motivo.
Non potendo riscontrare deficit strutturali (come per es. nei casi di sindrome di Joubert; ACC; Dandy Walker) si è pensato che il problema possa essere di origine genetico. Anche in questo caso però non si tratta di una alterazione (come nei Down e negli X-fragile), ma di un difetto di funzionamento che può essere rimosso solo con una applicazione a lungo termine.
La nostra proposta tiene conto di:
SVILUPPO PSICO-MENTALE E GENI ORGANIZZATORI

Seguendo il ragionamento scientifico di A. Damasio per il quale l’organizzazione frontale e pre-frontale dell’uomo si completa intorno ai due anni, dobbiamo anche chiederci cosa significhi questo da un punto di vista funzionale. Se la parte di nuova organizzazione si struttura in questo periodo dobbiamo anche pensare che è a partire da qui che deve provvedere ad un processo di informatizzazione perché prima ne era sprovvista.
Bisogna forse pensare che le esperienze vissute in questo preciso lasso di tempo diventano fondamentali per determinare l’organizzazione di questo “nuovo organo”
L’esperienza che riguarda la clinica dello sviluppo ci fa conoscere come quello psico-affettivo si raggiunge con la maturazione delle aree cerebrali frontali e pre-frontali attorno ai 15-25 mesi dalla nascita.
Evidentemente una nuova e “umanizzata” organizzazione deve prevedere l’utilizzazione degli impulsi sensoriali e dei vissuti emotivo-affettivi secondo schemi rappresentazionali diversi perché è probabile che il mondo circostante continui a comportarsi nello stesso modo, dobbiamo pensare, dunque, che sia la struttura neuro-biologica che subisce profondi cambiamenti che non sono ancora stati riconosciuti ed evidenziati perfettamente.
Potremmo pensare che ai due anni entrino in funzione “geni organizzatori” tanto specifici che permettono l’instaurarsi di una organizzazione neuro-funzioanle (o neuro-ormonale) del tutto particolare, specifica ed altamente specializzata.
Dalle osservazioni di V. Broccoli, A. Mallamaci ed E. Boncinelli si potrebbe anche pensare a geni esecutori che vengono attivati da proteine prodotte da qualche altro gene.
Sulla base delle più recenti ricerche genetiche che hanno portato alla scoperta dei geni regolatori (per es. il Otx2) che hanno un ruolo preponderante nella formazione del cervello non si può più parlare semplicemente di sviluppo psico-mentale perché a questo va necessariamente accostato anche uno sviluppo bio-psico-genetico determinato non solo da uno sviluppo embrionale, ma anche da qualcosa di post-embrionale
Sono stati ormai individuati geni esecutori ed altri chiamati geni regolatori o selettori che influenzano e guidano l’intervento strutturante dei primi, che svolgono, quindi, una funzione di alto livello gerarchico e che sono per lo più gli stessi in tutti gli organismi. Le differenze di specie sono determinate dai geni esecutori che hanno in sé tutti i caratteri necessari per la specifizzazione.
Tra i regolatori si trovano poi due categorie: gli omeogeni che contengono uno specifico motivo strutturale chiamato omeobox (tra i quali troviamo la famiglia HOX che regola la suddivisione del tronco encefalico) ed alcuni altri che regolano lo sviluppo armonico della testa e del cervello (l’omeogene Otx2).
Queste considerazioni ci sembrano di grande importanza poiché giustificano dei fatti fondamentali per quanto riguarda l’approccio all’AA:
1. l’assoluta necessità di intervenire precocemente (la nostra esperienza ci dice che bisogna attivare il processo terapeutico globale fin dai due anni);
2. l’importanza di un intervento terapeutico-riabilitativo multidisciplinare, ma anche estremamente professionale;
3. la necessità di un monitoraggio costante dei risultati ottenuti e, soprattutto, adeguato a ciascuno degli interventi;
4. non perdere tempo con interventi che non siano stati validati e che non abbiano dimostrato una sicura efficienza;
5. introdurre programmi riabilitativi che portino a stimolare l’iniziativa e la soggettivazione come l’ippoterapia e l’arte –terapia sempre che,anche queste, siano condotte su linee-guida misurate scientificamente ed attuate da professionisti specializzati;
6. scelta di un programma riabilitativo globale ed olistico che permetta l’acquisizione di prerequisiti necessari per un valido inserimento nella scuola;
7. organizzazione di programmi di inserimento sociale, presportivo o ludico, ma sempre di gruppo.

Queste indicazioni servono a sottolineare ancora una volta quanto sia difficile e impegnativo l’intervento per combattere l’AA ed inoltre ci indicano come al programma devono partecipare anche le famiglie con tutti i loro componenti perché non si creino situazioni di difficoltà non solo per i piccoli pazienti, ma anche per il loro famigliari.

BIBLIOGRAFIA
Broccoli V., Mallamaci A. ed Boncinelli E.: Geni e cervello. Le Scienze n°380,
Aprile 2000.
Boncinelli E.: I nostri geni. Einaudi, Torino, 1988.


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