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I disturbi del sonno scritti nei geni


Se andate a letto a notte fonda e vi svegliate poco prima di pranzo, forse la colpa è dei vostri antenati. I ricercatori di due università americane sospettano infatti che i ritmi sonno/veglia siano u

Se andate a letto a notte fonda e vi svegliate poco prima di pranzo, forse la colpa è dei vostri antenati. I ricercatori di due università americane sospettano infatti che i ritmi sonno/veglia siano un fattore ereditario. A tale proposito, è stato addirittura lanciato un nuovo studio, che potrebbe portare a una terapia genica per tutti i disturbi del sonno, da quelli di chi soffre di insonnia a quelli di chi si sveglia presto ma non può far a meno di andare a dormire altrettanto di buon’ora. Potrebbero volerci anni, se non decenni, prima che i farmaci genici riescano effettivamente a competere con i rimedi tradizionali (sonniferi, latte caldo, tisane). Si è iniziato a investigare seriamente la genetica del sonno solo a metà anni Novanta, e si è ancora ben lontani dal riuscire a determinare quali geni siano realmente responsabili del funzionamento dell’orologio biologico. Eppure, è opinione abbastanza condivisa che non siamo noi a scegliere se essere pelandroni o meno, se allodole o civette. È da un po’ di tempo che i medici che hanno in cura persone con disturbi del sonno notano in tali comportamenti delle ricorrenze di carattere familiare. «Generalmente il ricorrere con una certa frequenza in uno stesso nucleo familiare è il primo indicatore della natura genetica di una patologia», spiega il dottor Walt Klimecki, genetista della University of Arizona che al momento collabora alla ricerca con gli esperti di disturbi del sonno della University of California di San Diego.

I ricercatori hanno effettivamente riscontrato che alcuni individui sembrano ereditare la tendenza a svegliarsi presto e andare a dormire presto. E anche l’insonnia fatale familiare - rarissima patologia che impedisce al soggetto di dormire finché non muore per mancanza di sonno – ricorre a livello familiare. Gli scienziati dell’Ucsd stanno “reclutando” nottambuli del sud California per sottoporli a monitoraggi e test genetici al fine di verificare se anche il loro comportamento è ereditario. I partecipanti all’esperimento sono affetti da una particolare sindrome denominata del sonno ritardato, per cui generalmente preferiscono andare a letto nelle prime ore della mattina per poi svegliarsi dopo le dieci, quando la maggior parte della gente ha già fatto colazione ed è pronta al lavoro.
Questo comportamento potrà sembrare tutt’altro che insolito a studenti e adolescenti, ma nei casi più gravi è impossibile anche solo provare ad andare a letto più presto, puntualizza il ricercatore Ucsd Dan Kripke. «Per colpa di questo disturbo alcuni individui vedono seriamente compromesso il proprio rendimento scolastico o lavorativo», spiega. «Possono certamente svegliarsi volontariamente a metà del proprio normale ciclo di sonno, ma dopo qualche giorno ne risultano estremamente debilitati: non possono resistere a lungo». Circa l’un per cento della popolazione mondiale soffre di questo disturbo, conclude Kripke. Per ragioni non ancora chiare, sono invece molto più rari i casi di sindrome opposta – o del sonno anticipato – per cui il soggetto non riesce ad andare a dormire più tardi delle sette – otto di sera (pare, del resto, che almeno uno dei geni apparentemente responsabili di tale disturbo sia già stato identificato).

Il trattamento più diffuso per la cura dei disturbi del sonno prevede l’utilizzo di luci particolarmente forti, allo scopo di resettare l’orologio interno del paziente convincendo il suo organismo che è giorno. Alcuni prendono la melatonina, un ormone segnalatore che inganna l’orologio biologico convincendolo, al contrario, che è ora di dormire. Secondo Klimecki, della University of Arizona, i disturbi del sonno, come molte altre patologie, insorgono quando fattori genetici interagiscono con altri elementi. Come nel caso di malattie come l’asma, la predisposizione genetica non necessariamente condanna l’individuo ad anomalie nei ritmi di sonno/veglia. «Anni fa», continua Klimecki, «eravamo convinti che tutte le patologie fossero esclusivamente genetiche. Ora, stiamo iniziando a renderci conto che l’ambiente è altrettanto importante». Anche l’evoluzione, presumibilmente, gioca un ruolo significativo. La selezione naturale spesso influenza sia lo sviluppo di una malattia che la resistenza ad essa. Per esempio, un tratto ereditario che nel Medioevo proteggeva alcuni individui dal vaiolo, oggi pare tutelare i discendenti di quei soggetti dal contagio dell’Aids. E alcuni disturbi della circolazione, aggiunge Klimecki, probabilmente si sono trasmessi nel tempo perché prevenivano la malaria. Tuttavia, molte indisposizioni si sviluppano a prescindere dai meccanismi evolutivi, e i disturbi del sonno potrebbero far parte di quella schiera.

Una volta individuati i geni che regolano il sonno, i ricercatori proveranno a determinare le modalità esatte con cui essi influenzano il misterioso orologio biologico, che generalmente si resetta ogni 24 ore circa controllando i nostri cicli quotidiani (il mangiare, il dormire e così via; da qui il termine “ritmo circadiano”, dove “circadiano” sta per “circa un giorno”). Le ricerche geniche sugli umani ci aiuteranno anche a capire i ritmi di vita degli animali. «La natura usa gli stessi geni per regolare sia l’orologio biologico dell’uomo che quello dei moscerini della frutta», spiega il dottor Gregory Belenky, direttore dello Sleep and Performance Research Center della Washington State University di Spokane. Ma l’orologio biologico non funziona a prescindere da tutto: dipende dall’alternarsi di luce e ombra. In individui che non possono basarsi su questi due fattori (per esempio i ciechi), il ritmo circadiano spesso oltrepassa leggermente le 24 ore, precisa il dottor Al Lewy, ricercatore dell’ Oregon Health and Science University. In soggetti del genere, il momento di andare a dormire slitta ogni notte, creando enormi danni alla loro esistenza quotidiana. Per i ciechi, che non possono vedere fonti luminose, l’unica terapia possibile è la melatonina. Se si riesce ad acquisire una visione d’insieme dei rapporti tra genetica e sonno, si potrà produrre molto più che terapie per i disturbi legati al dormire. Secondo Belenky, si potrebbero testare piloti o membri di unità speciali delle forze armate per vedere come reagiscono alla carenza di sonno. E gli esperimenti potrebbero smentire coloro che credono di poter facilmente recuperare le ore di sonno perse mentre al contrario ne subiscono pesantemente gli effetti. «La gente tende a pensare che sì, l’ideale sarebbero le otto ore canoniche, ma sei fanno lo stesso», conclude Belenky. «In realtà non è affatto così»

Fonte: Boiler (08/12/2004)
Pubblicato in Genetica, Biologia Molecolare e Microbiologia
Tag: sonno
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