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Verso il Referendum sulla procreazione assistita.


Tra ingerenze della chiesa e palesi contraddizioni, un viaggio nelle ambiguità

Mettere al mondo un figlio rappresenta, per molti di noi, una delle espressioni primarie della nostra esistenza. Di fatto, però, quello che può essere un avvenimento programmato, voluto o addirittura inaspettato nella vita di una coppia, non sempre segue il suo naturale cammino. A volte, anzi, “l’impresa” risulta oltremodo difficile se non impossibile. Lo sa bene quella coppia su cinque che, statisticamente in Italia, ha problemi di sterilità o di infertilità, per la quale non vi è altra alternativa che ricorrere alle tecniche di fecondazione assistita. Un percorso ad ostacoli, fatto di sacrifici ed impegno alla fine del quale, spesso, i risultati non sono quelli attesi. A complicare ulteriormente la situazione delle coppie italiane è entrata in vigore, il 10 marzo scorso, la legge n. 40/2004 in materia di procreazione assistita.
Un provvedimento dalla lunga “incubazione”approvato da una maggioranza trasversale che ha abbracciato la quasi totalità del centro-destra ed una buona parte degli esponenti cattolici del centro-sinistra. Una legge varata, secondo lo spirito dei suoi sostenitori, per porre fine alla situazione di “far west” che imperava nel nostro Paese dove, in assenza di norme e regolamenti in materia, tutto era virtualmente permesso. Un percorso accompagnato da un coro di critiche proveniente tanto dalla pubblica opinione di matrice laica, quanto da una larga parte del mondo medico, degli scienziati e delle donne, contro un provvedimento legislativo imputato di rigettare l’Italia nel Medioevo.
Sotto accusa il carattere spiccatamente cattolico di una legge mirata più al soddisfacimento dei precetti morali della Chiesa in materia di aborto e sessualità, che all’effettiva regolamentazione della procreazione medicalmente assistita. Un dibattito dai toni accesi che, com’è noto, ha spinto partiti, associazioni e semplici cittadini ad impegnarsi in una campagna di raccolta firme per l’indizione di un referendum abrogativo. Un tema di scottante attualità che, a seguito della decisione della Corte Costituzionale di ammettere 4 dei cinque quesiti proposti alla consultazione referendaria (giudicato inammissibile solo quello relativo all’abrogazione totale della legge), chiama in causa un intero Paese.
Non sfugge naturalmente a nessuno la delicatezza del tema in questione: si parla della vita e della sua riproduzione. Temi sui quali è del tutto legittimo che si abbiano ragioni etiche, religiose e culturali diverse e che tutte vadano rispettate. Resta, però, un obiettivo di fondo che è bene non perdere mai di vista, e cioè ottenere una buona legge che sia in grado di soddisfare le aspirazioni di maternità e di paternità di milioni di coppie, di preservare l’integrità fisica e morale della donna, di consentire alla ricerca di debellare malattie sino ad ora incurabili, nonché di tutelare i diritti del nascituro. Cerchiamo di capire, allora, cosa è cambiato nell’ordinamento italiano dopo l’approvazione della legge 40 e quali sono le difficoltà che una coppia sterile dove ora affrontare per tentare di avere un figlio.
Innanzitutto, dal 10 marzo, l’Italia limita a tre il numero degli ovociti da fecondare. Per avere un bambino con la fecondazione in vitro, generalmente venivano fecondati più ovociti di quelli che poi erano effettivamente impiantati nell’utero della donna. Gli embrioni prodotti in soprannumero erano, di conseguenza, conservati per essere nuovamente utilizzati in caso di fallimento. Oggi, con la decisione di limitare il numero degli ovociti da fecondare e vietando il congelamento (la crioconservazione) per evitare futuri orfani, si riducono di molto le possibilità di successo ed aumentano i rischi per la donna. I tre embrioni prodotti devono essere tutti trasferiti nell’utero, cosa che per le donne più giovani può causare l’aborto spontaneo e compromettere la salute dei tre feti.
Per produrre ovociti da fecondare la donna viene sottoposta a pesanti stimolazioni ormonali che, in caso di fallimento,devono essere ripetute più volte con la conseguenza di far lievitare i costi sia economici che fisici dell’operazione. Dall’entrata in vigore della legge 40/2004, la procreazione medicalmente assistita è consentita solo nei casi di sterilità e infertilità che siano documentati dal medico. Nello specifico, possono accedervi solo le coppie maggiorenni di sesso diverso,coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. Sono invece esclusi i single, i gay e le coppie fertili portatrici di patologie genetiche e cromosomiche trasmissibili ai figli o quelle coppie in cui uno dei due partner sia completamente infertile. Obbligando il medico ad impiantare nell’utero tutti e tre gli embrioni, anche quelli portatori di malattie genetiche, la legge costringe la donna alla scelta tra far nascere un bimbo malato o abortire. La legge, infatti, vieta qualsiasi forma di selezione “a scopo eugenetico”(per il miglioramento della razza) degli embrioni, impedendo al medico, nel caso in cui si formino embrioni portatori di malattie genetiche, la possibilità di impiantare nell’utero della donna soltanto gli embrioni sani.
Fino all’entrata in vigore della legge n. 40, l’Italia era uno dei paesi d’Europa più avanzati nella diagnosi preimpianto che consisteva in una biopsia sull’embrione, fatta prima dell’impianto nell’utero materno, per verificarne la buona salute. Oggi la legge consente la sola osservazione della morfologia dell’embrione, cosa non sufficiente per accertare lo stato di salute dell’eventuale bambino. Allo stesso tempo, però, resta immutata la possibilità di effettuare altri esami, come l’amniocentesi e l’ecografia, con lo scopo di individuare eventuali malformazione del feto. Perché, allora, ritardare di diversi mesi la raccolta di informazioni che si possono avere prima dell’impianto? E perché, ancora, sottoporre le donne al traumadi un eventuale aborto? Ma c’è di più.
La legge, infatti, obbliga la donna all’impianto nell’utero anche nel caso che sopraggiungesse un ripensamento da parte della coppia. Un provvedimento che appare essere in netto contrasto con la libertà di scelta dell’individuo tutelata dalla nostra stessa Costituzione. Il consenso all’atto medico, infatti, è di norma revocabile in qualsiasi momento.
La legge sulla fecondazione assistita, invece, stabilisce che nel caso in cui la donna rivedesse le proprie posizioni dopo la avvenuta fecondazione dell’ovocita, il medico dovrebbe obbligarla ad un impianto coatto. Sorge spontaneo chiedersi come potrebbe farlo contro la sua volontà. Magari ricorrendo alla forza pubblica? Non si violerebbero, in tal caso, i limiti imposti al rispetto della dignità della donna? Oltre alle situazioni fino ad ora osservate, occorre ricordare che l’attuale legge impedisce anche la possibilità di avere un figlio alle coppie in cui entrambi, o uno dei due partner, siano completamente sterili.
L’Italia, infatti, è l’unico Paese in Europa a vietare la fecondazione eterologa, ossia utilizzando il seme o gli ovociti provenienti da donatori esterni. Una scelta che, secondo i sostenitori della legge, avrebbe alle spalle l’esigenza di tutelare alcuni diritti della sfera sociale e psicologica delle persone, tra cui i problemi derivanti da una maternità o una paternità di natura non biologica. Lo stesso, in pratica, che avviene tramite l’adozione. La conseguenza, per questo e per alcuni degli altri divieti, è stata, fino ad ora, un aumento del “turismo procreativo” verso i paesi esteri. Tra questi la Spagna, altro paese cattolico, dove, al pari di un aumento costante nel numero delle donazioni di sangue e di organi, la donazione di sperma e di ovociti è una prassi ormai consolidata e regolamentata.
Accanto ai problemi di natura normativa sorgono, inoltre, complicanze di tipo economico.
In Italia, infatti, i prezzi erano molto più bassi che in Spagna: circa 3.500 euro per la donazione di seme maschile e circa 8 mila con donazione di ovociti.A queste cifre vanno aggiunti altri 1000 euro per i farmaci, che in Italia erano passati dal Servizio Sanitario Nazionale, e naturalmente i costi del viaggio. Chi potrà permetterselo, così, si rivolgerà ai centri esteri. Chi non ha le stesse possibilità finanziarie, invece, è costretto a rinunciare per sempre alla speranza di avere un figlio o, peggio, ricorrere alla clandestinità.
Ma la questione più spinosa resta, sicuramente, quella relativa allo status del concepito. Per la prima volta nel nostro ordinamento si sancisce il principio di equivalenza tra un ovulo fecondato ed un individuo umano titolare di diritti. Equiparare i diritti del “concepito” a quelli di“tutti i soggetti coinvolti” significa, in pratica, stabilire a tutti gli effetti che un ovocita fecondato è una persona la cui distruzione equivale alla soppressione di una vita umana accogliendo, di fatto, la posizione della chiesa cattolica per cui una vita umana è da considerarsi tale sin “dal primo momento”. Sorge però un problema. In un sistema di democrazia liberale è legittimo approvare una legge destinata a valere per tutti sulla base di ragioni religiose valide unicamente per una parte? Lo Stato, così facendo, si attribuisce il diritto di decidere, attraverso le norme da esso formulate, in nome del concepito in opposizione al diritto soggettivo della madre e della coppia. In nome di persone potenziali, cioè, si inventano diritti confliggenti con quelli di persone esistenti e si fanno soggiacere i secondi rispetto ai primi. Il nostro stesso codice civile, inoltre, regola l’acquisto della capacità giuridica soltanto al momento della nascita. In più, questa legge si pone in netto contrasto con la normativa sull’aborto.
Se al concepito sono riconosciuti gli stessi diritti degli altri soggetti coinvolti,come può la madre ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza?
Nel nostro Paese non è, inoltre, consentito l’utilizzo della spirale che impedisce l’attecchimento dell’embrione e della pillola del giorno dopo che ne provoca l’espulsione nei primissimi giorni di vita?
Una legge a cui sono legate imprescindibilmente, inoltre, le speranze di guarigione di circa 10 milioni di italiani che, dal ricorso alla ricerca scientifica sugli embrioni in soprannumero e dall’uso delle cellule staminali a scopo terapeutico, potrebbero ricevere le “risposte” a malattie come l’alzheimer, il morbo di parkinson, la sclerosi, la distrofia muscolare o il diabete. Tutto questo, oggi, non è possibile perché si tocca un campo minato come quello sulla clonazione, anche se al solo scopo terapeutico e non riproduttivo. Il Parlamento ha approvato una legge che detta criteri su una questione a lungo priva d’una normativa e quindi soggetta ad abusi gravi, lesivi della salute e fonte anche di discriminazioni vistose tra abbienti e non abbienti nel ricorso alle risorse che la medicina genetica mette oggi a disposizione. Certo è che chi decide di ricorrere alla fecondazione medicalmente assistita non avendo altre possibilità di procreare, desidera evidentemente dar vita ad un nuovo essere. Agisce, dunque, in favore di una nuova vita. Non si comprendono perciò le limitazioni che vengono poste a questa pulsione creativa e gli ostacoli che giocano obiettivamente contro la nascita di nuove vite e nuove persone. E’ una legge che ci riguarda direttamente, che ha fatto cose buone come vietare l’utero in affitto, imporre finalmente il registro dei centri e il consenso informato. Ma che complessivamente resta una legge da cambiare: è una questione di civiltà e soprattutto di libertà.
Le tecniche per la fecondazione artificiale
Crioconservazione: procedura per la conservazione degli ovuli e degli spermatozoi tramite congelazione. Grazie alla crioconservazione degli zigoti, si può ridurre il rischio di gravidanza multipla per la FIV e l’ICSI, ed evitare alla paziente la stimolazione ormonale e il prelievo degli ovociti.
Fecondazione in vitro e trasferimento dell’embrione (FIVET): è esterna al corpo, per la quale si induce con l’utilizzo di gonadotropine lo sviluppo di più follicoli. Gli ovociti arrivati a maturazione vengono prelevati dall’ovaio, poi messi a contatto 4-6 ore più tardi agli spermatozoi del partner. Per permettere la divisione cellulare gli ovociti fecondati sono conservati per 24/48h in mezzo di coltura. Gli embrioni sono in seguito trasferiti nell’utero della paziente per l’impianto.
ICSI: dall’inglese “ Intra-Cytoplasmic Sperm Injection”. Iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo assistita per mezzo di microscopio, dove si inietta un unico spermatozoo direttamente nell’ovocita. L’ICSI è indicata nei casi di grave sterilità maschile, quando nell’eiaculato si trovano pochi spermatozoi normali e con motilità ridotta. Induzione dell’ovulazione: provocazione dell’ovulazione. L’ovulazione può essere provocata per mezzo di farmaci, ad esempio l’hCG. Tuttavia il termine induzione dell’ovulazione è ugualmente utilizzato come sinonimo di stimolazione ovarica. Inseminazione: tecnica destinata a facilitare l’incontro dello spermatozoo con l’ovocita. Per mezzo di un catetere, lo sperma preparato per questo scopo è depositato all’entrata del collo dell’utero o direttamente nell’utero. L’inseminazione si può fare con lo sperma del partner o di donatore.
MESA: dall’inglese”Microsurgical Epididymal Spermal Aspiration”. Aspirazione microchirurgica degli spermatozoi direttamente nell’epididimo (lunga struttura tubolare nella quale gli spermatozoi maturano) . Gli spermatozoi recuperati sono utilizzati per la iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI) .
Microiniezione: rappresenta diverse metodiche di riproduzione assistita per mezzo delle quali è possibile, come nei casi di forti anomalie degli spermatozoi, l’introduzione di un singolo spermatozoo direttamente nell’ovocita.
TESE: dall’inglese”Testicular Sperm Extraction”. Tecnica microchirurgica per prelevare gli spermatozoi, direttamente tramite una biopsia dei testicoli. gli spermatozoi ottenuti dal tessuto testicolare sono utilizzati per la ICSI.
Tranfer intratubarico di gameti (GIFT): metodo di procreazione medico-assistita dove gli ovociti, ottenuti tramite stimolazione, vengono posizionati assieme agli spermatozoi direttamente nella tuba dove la fecondazione può avere luogo.
Tranfer intratubarico di zigoti (ZIFT): metodo di procreazione medico-assistita dove gli ovociti, ottenuta tramite stimolazione, vengono fecondati e posizionati direttamente nella tuba.
Il primato della vita
Il Comitato Scienza e Vita per un no ai quesiti referendari e per un no all’uso distorto del referendum sulla fecondazione assistita.
E’ un Paese confuso e frastornato, forse ancora poco informato, quello che dovrà esprimere la sua opinione a proposito dei referendum sulla procreazione assistita. E, come per il si, anche sul fronte del no ci si organizza. L’impulso è venuto il 17 gennaio, giorno in cui a Bari, il Cardinale Camillo Ruini, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha dato il via a quella che si può definire la campagna del no. Il quartier generale è a Roma, in via Lungotevere dei Vallati n.10, sede operativa del Comitato Scienza e Vita per la Legge 40/2004. Un Comitato che, presieduto da Paola Binetti (presidente della Società Italiana di Pedagogia Medica) e da Bruno Dallapiccola (Ordinario di Genetica presso l’Università La Sapienza di Roma), riunisce personalità del mondo scientifico, culturale, professionale, politico ed associativo sulla scelta del “doppio no”. Il primo, contro il contenuto dei quesiti referendari, ed il secondo, in opposizione all’uso distorto del referendum in materia di fecondazione. Per il Comitato la Legge 40 rappresenta, infatti, un risultato importante che ha fissato delle regole per i laboratori che operano nel campo della fecondazione umana. Pur ammettendo che “non si tratta di una legge perfetta”, Scienza e Vita riconosce, tuttavia, al provvedimento il merito di aver messo fine al cosiddetto “far west procreatico”, assicurando ad ogni figlio le garanzie di una vita umana e la protezione di una vera famiglia. Principio cardine, è il primato della vita, intendendo per vita anche quella dell’embrione umano fin dai primissimi istanti della sua formazione. Si agisce in nome della volontà di dare ai figli genitori veri e conosciuti, partendo proprio dal rispetto dei più deboli e dei meno garantiti. Tra questi, il concepito che, non avendo voce propria, necessita della solidarietà sociale come primo passo per la difesa “in concreto” della vita, da sviluppare in tutti i suoi aspetti ed in tutti i suoi soggetti. L’obiettivo è quello di dare nuovo slancio alla nostra società per consolidare i valori fondamentali del vivere civile: dalla solidarietà alla giustizia, dall’uguaglianza alla libertà. Ma anche per garantire il perseguimento dei diritti dell’uomo e lo sviluppo scientifico “controllato”.
Proprio la scienza, secondo le posizioni del Comitato, sarebbe oggi troppo potente per poter essere lasciata in balia di se stessa, o per essere affidata esclusivamente agli addetti ai lavori. Tutti aspetti che, di conseguenza, fanno della legge 40/2004 un provvedimento che merita di essere difeso, anche attraverso l’utilizzo di tutte le possibilità previste dal legislatore. Oltre alla promozione di una campagna capillare di sensibilizzazione sui valori in gioco, infatti, Scienza e Vita si propone di suggerire l’adozione del comportamento giudicato “più efficace” nella prossima convocazione referendaria: non andare a votare, vale a dire invalidare i referendum col mancato raggiungimento del quorum.
Fecondazione: in Spagna si parla italiano
Da 3500 ad 8000 euro più viaggio e soggiorno i costi del “turismo procreativo”
In Spagna si parla molto più italiano. Un’esigenza, quasi una nuova necessità. Già, perché dall’entrata in vigore nel nostro paese della legge n. 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, la Spagna è diventata una delle mete preferite del cosiddetto “turismo procreativo”. Un fenomeno che si è già trasformato in un vero e proprio business europeo. Tra i maggiori “fornitori” di clienti, a decine di migliaia, l’Italia. Sarebbero infatti una coppia su quattro, secondo una ricerca del Forum delle associazioni di Genetica e Riproduzione,i nostri connazionali con la valigia pronta.
Le prime a rivolgersi all’estero sono state le coppie che hanno bisogno di una donazione di gameti (ovuli o seme maschile), una pratica completamente vietata dalla legge. Ma presto pure le coppie che possono accedere alla fecondazione autorizzata si sono accorte che anche le altre restrizioni della legge fanno calare di molto le probabilità di successo. La Spagna, come il nostro, è un Paese cattolico che rende, però, accessibile a tutti, incluse le donne sole, la fecondazione assistita. La prima legislazione in materia risale al 1988, epoca in cui governavano i socialisti di Felipe Gonzalez. L’accesso all’eterologa è consentito alle coppie sposate, ai conviventi nonché alle donne single. Basta esprimere il proprio consenso in modo libero, cosciente e per iscritto. La donazione dei gameti non è un problema, grazie anche alla radicata propensione a donare sangue ed organi. La Spagna è, dunque, uno dei paesi europei in cui è più facile per una donna sia ricevere gli ovociti di un’altra donna da far fertilizzare con il seme del compagno, sia ottenere il seme da un donatore. Alle donatrici è garantito l’anonimato più un rimborso spese di circa 900 euro per il lungo iter medico da seguire. Un iter parallelo a quello dell’altra donna, ma che mai conoscerà. La donazione di ovociti è un programma assolutamente limpido, trasparente, legale ed anonimo. La legge spagnola vuole che la donna che desidera ricevere un ovulo e la donatrice si assomiglino il più possibile. Soprattutto dal punto di vista genetico e del gruppo sanguigno. Per ogni donatore si possono ottenere fino a sei gravidanze, non di più per evitare il problema degli incontri tra consanguinei inconsapevoli di esserlo. A differenza dell’Italia è legale, inoltre, la diagnosi sugli embrioni prima del loro trasferimento in utero. Un mese di trattamento per sottoporsi alla fecondazione in vitro o per accedere alla donazione di ovociti, ha un costo che oscilla tra i 3.500 e gli 8 mila euro. A queste cifre vanno aggiunte, inoltre, le spese per il viaggio e per il soggiorno.
A Potenza un centro d’avanguardia
Il reparto di fisiopatologia della riproduzione del San Carlo è uno dei 12 centri ufficiali, tra pubblici e privati, in Italia
Luglio 1978, Inghilterra. E’ l’anno della prima gravidanza con il ricorso della fecondazione artificiale. Sei anni dopo, dicembre 1984, in Italia a Torino. A Potenza, al San Carlo, diretto da Sergio Schettini, c’è una struttura che dal 1997 si occupa di fisiopatologia della riproduzione. E’ uno dei pochi centri pubblici in Italia (sono in tutto 12 fra pubblici e privati) e dopo Roma è l’unico nel centro-meridione, cosa che aprirebbe la struttura a regioni come la Campania e la Puglia. Se, e qui il “se” si fa d’obbligo, informazioni e pubblicità del centro di Schettini fossero state meglio promosse. Sia dentro che fuori i confini regionali. Pugliesi e campani si rivolgono, ignari, alle più lontane Roma e L’Aquila. Nonostante ciò, si è passati dai 442 interventi del ’97 ai 5451 del 2002.
Non solo però coppie con problemi di sterilità, ma anche coppie disorientate di fronte alla scelta di avere un figlio o interessate all’adozione, con il costante contatto con i centri specializzati.
E’ continuo anche l’aggiornamento, nonostante la carenza di personale, che guarda al futuro grazie alla banca omologa del seme criocongelato, metodologia rivolta ai pazienti affetti da patologie neoplastiche. Ancora, sulla linea dell’innovazione, le collaborazioni con Bologna, per la creazione della criobanca dei tessuti, e con Firenze, per i corsi di formazione sulla diagnosi, la terapia e la riproduzione degli animali, perché questa scienza si fonda in primis sugli studi veterinari. Il lavoro di Schettini è coadiuvato da Angela Ferri, responsabile del laboratorio di biologia, per le indagini seminologiche con esame computerizzato. Il laboratorio di biologia ha in dotazione il raggio laser per lo “sgusciamento”dell’embrione. Sulla legge 40/2004, che restringe a non più di 3 il numero
di ovuli fecondati da impiantare per ogni paziente, il centro del San Carlo a già da tempo regolarizzato la sua posizione. La parola chiave nel lavoro di equipe è il protocollo sancito a livello nazionale ed europeo che uniformale modalità della diagnosi e della cura. Niente è fatto a caso e nessuno è libero di fare di “testa sua”, in un lavoro da certosini fatto di microscopi e siringhe insolite. Dove pazienza e rapidità sono requisiti indispensabili di fronte al facile deterioramento degli ovociti e, di conseguenza, delle speranze della gente.

Fonte: Luca Coscioni (10/05/2005)
Pubblicato in Analisi e Commenti
Tag: legge 40, procreazione assistita
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