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Test ematico rivelerà le tracce di prioni


Un team internazionale di ricercatori è riuscito a elaborare una tecnica biochimica che consente di rintracciare con certezza le proteine anomale che causano la malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD) in

Un team internazionale di ricercatori è riuscito a elaborare una tecnica biochimica che consente di rintracciare con certezza le proteine anomale che causano la malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD) in campioni ematici prelevati da criceti.
Il test, automatizzato, si completa in soli pochi giorni. Se questo metodo risultasse applicabile agli esseri umani, contribuirebbe a ridurre la trasmissione dei prioni attraverso le trasfusioni ematiche e i trapianti di organi, nonché facilitare la diagnosi delle malattie prioniche. Simili test ematici potrebbero inoltre consentire un più attento controllo dei capi di bestiame prima che questi siano immessi nella catena alimentare umana.
Gli esperti temono da anni che migliaia di persone, a propria insaputa, siano portatori e trasmettitori della variante umana dell'encefalopatia spongiforme bovina (BSE) o "morbo della mucca pazza", la nuova variante della malattia di Creutzfeldt-Jacob (vCJD). Questo innovativo test ematico potrebbe offrire per la prima volta ai ricercatori l'opportunità di stabilire quante persone stiano potenzialmente incubando la malattia. Attualmente le banche del sangue non dispongono di metodi efficaci per l'individuazione delle proteine infette che provocano le malattie degenerative del cervello. Alcune vittime della vCJD in Gran Bretagna avrebbero contratto la malattia da trasfusioni.
Si ritiene che la malattia sia causata dalla formazione di proteine anomale, note come prioni, nel cervello. Sembra che queste proteine si moltiplichino modificando la conformazione delle proteine normali con cui entrano in contatto, portando infine a una malattia neurodegenerativa letale. I prioni si concentrano nel cervello: oggi, per sapere se un animale è stato colpito dalla malattia, gli esperti devono sopprimerlo per asportare parte del tessuto cerebrale da sottoporre a test.
Alcuni scienziati hanno sperimentato l'estrazione di sangue da un soggetto vivo per iniettarlo nel cervello di un altro animale.
Normalmente si devono attendere dei mesi per valutare se l'animale ricevente sviluppa la malattia. Questo metodo, tuttavia, riesce a trasferire l'infezione solo nel 31 per cento dei casi in cui questa è presente, secondo il ricercatore capo Claudio Soto. Non è nemmeno chiaro, inoltre, se il sangue prelevato da un essere umano possa attraversare la barriera della specie per riprodurre la malattia in animali da laboratorio come i criceti. Il team del professor Soto ha deciso di sviluppare un'alternativa: amplificare i livelli trascurabili delle proteine dalla forma alterata presenti nel sangue fino ad un livello decifrabile.
"La concentrazione delle proteine prioniche infette nel sangue è troppo bassa perché sia individuata attraverso i metodi utilizzati per rilevarla nel cervello, ma sappiamo che tale concentrazione è sufficiente per la diffusione della malattia", afferma Soto. "Abbiamo raggiunto il nostro traguardo sviluppando una tecnica che amplifica di oltre dieci volte il numero delle proteine, rendendole rintracciabili".
Il professor Soto dell'università di Santiago (Cile) e i suoi colleghi dell'Universidad Autónoma di Madrid, operando presso la sezione medica dell'università del Texas, hanno superato il primo ostacolo verso il loro obiettivo quattro anni fa, quando riuscirono a moltiplicare i prioni letali prelevati dal cervello dei criceti. La tecnica prevede la miscelatura in provetta delle proteine normali con una quantità minima di proteine infette, per cui si verificano la moltiplicazione e l'agglutinamento delle molecole anomale dopo circa trenta minuti. Frantumando l'agglutinamento e liberando le proteine dalla forma alterata mediante l'emissione di onde sonore il processo viene accelerato e le proteine dalla forma alterata nel campione aumentano in numero, raggiungendo un livello rilevabile. Oggi il team ha perfezionato e automatizzato il processo, facendone un test attuabile. Una macchina delle dimensioni di un forno a microonde può effettuare 140 cicli di questo tipo in circa 70 ore.
La tecnica, chiamata PMCA (protein misfolding cyclic amplification, ossia amplificazione ciclica delle proteine dalla forma alterata) è stata testata su campioni ematici prelevati da 18 criceti contaminati da prioni che presentavano i sintomi clinici di malattia prionica e da 12 criceti sani. Con il metodo PMCA si è riusciti a individuare i prioni nel 50 per cento dei casi in cui questi erano presenti dopo due sessioni di 140 cicli. Dopo sei sessioni la percentuale è salita all'89 per cento. Il test non ha fatto emergere alcun falso positivo sui criceti sani.
Il professor Soto afferma che l'adattamento della tecnica ai test sul sangue umano non dovrebbe impiegare più di sei mesi. Al di là del fatto che sarà necessario sottoporre il metodo a numerose prove, Soto mette in guardia nei confronti delle probabili implicazioni etiche dello screening per una malattia oggi non ancora curabile. Tuttavia, chiarire quanti sono i portatori inconsapevoli della vCJD può essere un incentivo all'investimento mirato all'individuazione di una cura.

Fonte: Cordis (07/09/2005)
Pubblicato in Biochimica e Biologia Cellulare
Tag: CJD, BSE, prioni
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