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«La via italiana al Mit per rilanciare la ricerca»


Le obiezioni: iniziativa dannosa, disperde le poche risorse. Si candidano Genova e Pisa

MILANO - Che la ricerca scientifica in Italia mostri la corda, non ci piove. Che la ricerca di base sia messa anche peggio, idem. Che i soldi siano pochini e distribuiti un po’ a casaccio, poi, lo ammettono tutti. E allora ecco l’idea per rianimare l’ambiente, rilanciata sul Corriere da Francesco Giavazzi: un Massachusetts Institute of Technology all’italiana, o se si preferisce una Cambridge, insomma il progetto del nuovo «Istituto italiano di tecnologia» che il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha inserito nella Finanziaria con uno stanziamento d’un miliardo e 50 milioni di euro. Dovrebbe cominciare a prender forma in dicembre, Genova e Pisa si candidano a ospitarlo.
QUESTIONI APERTE - Restano da risolvere alcuni punti ricordati dal professor Giavazzi: un’istituzione del genere andrebbe collocata «in una città dove c’è un’università eccellente», il che farebbe pendere la bilancia verso Pisa; bisognerebbe definire aree di ricerca avanzate e in grado di attrarre scienziati anche da fuori Italia, «come le biotecnologie e la filiera della fisica»; e infine studiare il rapporto con le imprese, «vi è il rischio che stravolga il progetto», anche perché «senza ricerca di base si fa design o innovazione di processo, non scienza di frontiera».
POLEMICHE - Ma intanto in Parlamento si prevede battaglia e nello stesso governo il ministro dell’Istruzione Letizia Moratti non sembra certo, diciamo così, entusiasta all’idea.
E mentre ad Harvard Vittorio Grilli, ragioniere generale dello Stato, presenta l’«Iit» in grande stile, dalle nostre parti il professor Adriano De Maio, da pochi mesi nominato commissario straordinario del Cnr, sillaba: «Che il governo si decida: o mi ha dato l’incarico per finta, e allora me lo deve dire così mi saprò regolare, oppure farebbe bene a non buttare via le risorse e cercare di usare al meglio ciò che già c’è. Così si delegittima l’università e tutta la ricerca italiana».
PRESENTAZIONE - «Ma un’iniziativa come l’"Iit" non va vista come fosse "contro" qualcuno, piuttosto è un approccio complementare alle altre iniziative di ricerca italiane», considera il professor Federico Capasso, 53 anni, che ne ha passati ventisei alla Bell , fino a divenire vicepresidente del settore ricerche fisiche. Dall’inizio dell’anno ha la cattedra di fisica applicata ad Harvard, «l’altra sera si è organizzata una tavola rotonda e l’idea dell’Istituto è stata accolta con entusiasmo, sia tra gli scienziati che lavorano qui sia fra quelli in visita».
RIVOLUZIONE - Se non si facesse l’«Iit», ha scritto Francesco Giavazzi, sarebbe «un’occasione sprecata». Il professor Capasso è d’accordo: «È un progetto fantastico, una rivoluzione culturale che non nasce per fare la guerra all’università, piuttosto colma un vuoto. In tutta Europa c’è un sorta di pregiudizio verso la tecnologia, qualcosa che deriva dal positivismo di Comte e l’idea di una gerarchia fra scienze pure e applicate che ostacola la ricerca interdisciplinare. Ma il futuro è nella zona di confine fra le discipline. Il Mit è nato dall’idea che la tecnologia va messa al pari della scienza e l’una fa crescere l’altra. In Italia c’è uno scarto fra scienza e applicazioni e tecnologia, certe scoperte non hanno impatto tecnologico né economico. Tra l’altro un istituto così diventerà una Fondazione e se lavorerà bene, in poche aree definite e con giovani ricercatori, attirerà investimenti privati senza sottrarre risorse agli atenei».
DUBBI - Ma la discussione è destinata a proseguire, Adriano De Maio sceglie l’ironia: «Come commissario del Cnr mi hanno chiamato per cercare di curare il paziente, valutare le eccellenze, distribuire con criterio i fondi. Si è fatta pure la riforma degli enti di ricerca. Se però ritengono il paziente già morto, beh, allora è meglio chiudere. Certo che però è fantastico: evidentemente hanno lavorato in segreto per mesi, consultando le migliori menti del mondo e facendo già tutti gli studi necessari... Sono ammirato, davvero».

Fonte: Corriere della Sera (29/10/2003)
Pubblicato in Percezione e problemi biotech
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