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Staminali e genetica contro le malattie


Parla Claudio Bordignon: in Svezia hanno già battuto il Parkinson «Ora toccherà alla distrofia musco

«Il dibattito etico sulle cellule staminali da embrione non è concluso. Siamo al punto che se uno fa una ricerca in un Paese rischia il Nobel, se invece fa la stessa ricerca in un altro Paese rischia la galera. In queste condizioni non mi sembra che possa dirsi concluso il dibattito». Claudio Bordignon, direttore scientifico del San Raffaele di Milano, a fine gennaio ha partecipato a Denver, in Colorado, a un incontro della Società internazionale per gli studi sulle cellule staminali. Uno di quei simposi dove si confrontano studi e ricerche dei vari laboratori sparsi nel mondo. Fresco di appunti, racconta al Corriere qual è la situazione di conoscenze, ricerche ed esperimenti con le cellule staminali.

COSA SAPPIAMO OGGI - «Al momento sappiamo che queste cellule staminali persistono anche nell’adulto, con differenze da tessuto a tessuto, da organo a organo, in base a esigenze programmate in partenza». L’esempio classico è il midollo che continuamente deve produrre cellule del sangue partendo da staminali ematopoietiche presenti nell’adulto. Altro esempio: durante un esercizio fisico intenso si distruggono cellule muscolari che poi vengono riparate da staminali presenti nei muscoli. «Ma sappiamo anche che quelle cosiddette adulte perdono potenzialità via via che passano gli anni e che probabilmente non sono tutte uguali, come nelle fasi iniziali di sviluppo di un embrione, ma hanno capacità diverse in base ai tessuti in cui si trovano».

CHE COSA NON SAPPIAMO - Quindi c’è differenza tra le cellule totipotenti dell’embrione e quelle che si trovano nell’adulto? «Sì, ma non sappiamo ancora quali sono realmente migliori. Come non sappiamo che cosa regola le loro capacità, la loro potenzialità. Esiste una larga famiglia di geni che definisce i limiti di proliferazione delle staminali, ma soprattutto "ordina" il destino dell’una o dell’altra cellula totipotente: per esempio se diventare precorritrice degli elementi del sangue e non poter tornare più indietro. Poi un altro set di geni ordina di volta in volta a questa cellula quanti globuli rossi o quante piastrine fare».
Il segreto è nei geni? «La ricerca di base è impegnata proprio nello studio di questi meccanismi: come parte la proliferazione, chi ordina lo stop, che cosa innesca la trasformazione a fini riparatori. Lo studio riguarda anche i tumori: le cellule del cancro sono staminali indifferenziate? E, se sì, come si può disinnescare una eventuale alterazione dei geni di controllo? Questi studi inoltre servono per avere sicurezza nella manipolazione delle cellule staminali. In alcuni esperimenti sui topi si sono creati teratomi, dei tumori».

STAMINALI ADULTE O DA EMBRIONE - Ma non si era visto che da cellule staminali adulte del sangue si arrivava a ottenere cellule, per esempio, del fegato? E questo sembrava chiudere il discorso sugli embrioni... «All’inizio sembrava così: marcando geneticamente le cellule di un donatore si trovavano queste cellule nei tessuti "riparati", poi si è visto che in realtà quelle cellule marcate si erano semplicemente fuse con cellule del ricevente ma che la riparazione non era avvenuta grazie alla sostituzione delle cellule malate con cellule staminali sane, ma grazie alla fusione con cellule del fegato stesso. Oggi sappiamo che si può curare una retina malata in animali usando tessuti di embrione. Non sappiamo se lo stesso accade con cellule staminali adulte». Quindi meglio le adulte o quelle da embrione? «Le seconde hanno senz’altro un potenziale più alto, ma se si scoprono i meccanismi genetici non è detto che non vadano bene anche le adulte. Oggi non è corretto esprimere certezze su questi temi. La ricerca è fondamentale ma il problema è anche etico. Poi c’è il problema della fonte dei tessuti embrionali: non si possono usare embrioni congelati, ma feti morti sì. Perché sono cadaveri?».

GLI ESPERIMENTI IN CORSO - Attualmente vi sono esperimenti in corso sull’uomo? «A livello di malattie degenerative neurologiche di più grande impatto sociale, come il Parkinson, un gruppo svedese ha iniettato nella parte malata del cervello cellule del sistema nervoso centrale ottenute da feti abortivi ottenendo un miglioramento nel tempo dei sintomi e una normalizzazione a sei mesi dal trattamento. Sul cuore diversi gruppi hanno lavorato con due approcci diversi. Uno prevedeva l’impianto di mioblasti (cellule staminali ottenute da muscoli scheletrici) ma è stato sospeso perchè causa di aritmie mortali. Un secondo approccio, quello adottato in Germania, include iniezioni di cellule staminali ematopoietiche (del sangue) e questo ha dato risultati positivi, anche se l’analisi dei risultati sia nell’uomo sia nell’animale suggerisce che il miglioramento osservato non sia dovuto all’effetto diretto delle cellule staminali impiantate ma piuttosto alla produzione di fattori stimolanti la crescita delle cellule già presenti nel tessuto colpito. Progresso della scienza e progresso della medicina non sempre sono interdipendenti. Non è la prima volta nella storia della medicina in cui un approccio terapeutico basato su un’ipotesi scientifica ha prodotto risultati attraverso meccanismi completamente diversi da quelli attesi».
Di recente ci sono stati anche risultati nella cura della distrofia muscolare? «E’ stato annunciato uno studio clinico al Policlinico di Milano basato sull’uso di un particolare tipo di cellula staminale CD133» che sembra offrire ai pazienti affetti da distrofia muscolare di Duchenne un andamento più favorevole della malattia. Ma c’è un limite pratico importante: siamo incapaci di far moltiplicare le cellule CD133» ottenendone in quantità utili per l’uso terapeutico. Un approccio diverso è quello del gruppo di Giulio Cossu che prevede l’uso di mesangioblasti, cellule staminali dei vasi sanguigni in grado di riparare il muscolo danneggiato. Questo studio, efficace nei topi di laboratorio, sta passando ora nella fase sperimentale su animali di grossa taglia come il cane. Un passaggio decisivo prima di passare all’uomo».

Fonte: Corriere della Sera (15/02/2004)
Pubblicato in Biotecnologie
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