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Quando il nucleare ti salva la vita. O no?

In seguito al disastro della centrale nucleare giapponese di Fukushima Daiichi nel 2011, l’energia nucleare è sembrata capitolare verso un finale incerto: l’umanità si è ritrovata sconvolta e preoccupata per il destino del pianeta. Nonostante i pericoli immani generabili da malfunzionamenti o guasti delle strutture delle centrali nucleari, due ricercatori della NASA hanno spiegato, con un loro studio, quanto in realtà l’energia nucleare faccia bene alle nostre vite e contribuisca a salvare il destino del nostro pianeta.

Lo  studio, effettuato da James Hansen della NASA e da un altro ricercatore del  Goddard Institute, è pubblicata su Environmental Science and Technology e riguarda la quantità di vite che si sono salvate (circa 2 milioni dal 1971) grazie all’energia nucleare, che bandisce l’utilizzo del petrolio e del carbone, salvando anche il pianeta dalle dannose emissioni di CO2 (64 miliardi di tonnellate in meno)  contribuendo perciò alla diminuzione del surriscaldamento globale; inoltre, è stata investigata anche la diminuzione dell’incidenza di cancro ai polmoni degli operai che si occupano dell’estrazione del carbone in miniera, e in generale, delle condizioni mediche di coloro che operano nel campo dell’energia nucleare piuttosto che in miniere di carbone o in pozzi petroliferi. Dichiarano che “Entro metà del secolo l’atomo può prevenire tra 420mila e 7 milioni di altre vittime, e tra 80 e 240 miliardi di tonnellate di CO2, a seconda di quale combustibile fossile sostituirà”. Dal calcolo effettuato da Hansen, il costo in termini di vite umane causate dai combustibili fossili sono 12 milioni.

Il lato negativo di questo studio che sembra particolarmente incoraggiante all’uso massiccio del nucleare rispetto alle forme di produzione tradizionali di energia, è che non ha espresso valutazioni riguardo l’utilizzo del nucleare a lungo termine né delle vittime legate all’uso di questa energia; per di più, oltre ai benefici e alle stime della mancata produzione di CO2, manca la valutazione dei danni che comunque sono stati prodotti dalle emissioni serra e quindi dal cambiamento climatico, componenti principali dell’inquinamento da smog.

“Non si può lasciare il ragionamento a metà: bisogna misurare anche i morti prodotti dall’uso dell’energia nucleare”, ricorda il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibileRonchi. “Per farlo non basta conteggiare le conseguenze dirette dei due incidenti più gravi, Chernobyl e Fukushima: vanno aggiunti l’incognita scorie e l’effetto delle piccole dosi di radioattività che comportano un aumento statistico delle probabilità di ammalarsi di tumore. Probabilità che si prolungano nel tempo investendo molte generazioni visto che i radionuclidi rimangono attivi per decine di migliaia di anni”.

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Scritto da Loredana Sansone Pubblicato il 2 maggio 2013

 

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