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La simbiosi nascosta degli esseri umani (e degli altri eucarioti)

Avete mai pensato a quanto sia indispensabile respirare? Eppure l’ossigeno è un gas pericoloso. E’ il secondo elemento più reattivo in assoluto della tavola periodica, è un forte ossidante (notate l’inizio della parola “ossidante”), ingiallisce la carta, fa arrugginire il ferro, e altre cose spiacevoli. Proprio per queste caratteristiche lo usiamo per “bruciare” le sostanze da cui estraiamo energia per vivere, nella respirazione. Eppure, non abbiamo evoluto noi la capacità di usarlo. L’abbiamo rubata.

Mitocondri: assomigliano a... a... (credito immagine: http://www.sciencephoto.com/)

Eppoi, avere bisogno dell’ossigeno per vivere non è così scontato: per molti organismi l’ossigeno è addirittura tossico, mentre un numero sterminato di organismi ne possono fare tranquillamente a meno. Ad esempio, il lievito Saccharomyces cerevisiae in assenza di ossigeno fermenta gli zuccheri, per trasformare acqua e cereali in energia (per lui) e birra (per noi). Ma vi dirò di più: anche molti tessuti del vostro corpo vivrebbero (anche se meno felicemente) senza ossigeno: le cellule dei muscoli ad esempio sono in grado di vivere solamente dell’energia ricavata “in anaerobiosi” – cioè senza ossigeno. Cosa che fanno più spesso di quanto si creda: quando l’ossigenazione è scarsa, per mantenere la funzionalità il muscolo “usa” gli zuccheri finchè può (l’ossigeno “brucia” le sostanze fino in fondo, in sua assenza i prodotti del catabolismo degli zucheri rimangono, letteralmente, “incombusti”), accumulando al suo interno i prodotti derivati dall’uso parziale degli zuccheri in concentrazioni maggiori rispetto a quanto riescono a fare altre cellule (tipo i neuroni). La sostanza che si accumula prevalentemente è, manco a dirlo, acido lattico (torna tutto, non trovate?).

Ma sto divagando. Le nostre cellule, internamente, hanno dei piccoli compartimenti che svolgono ciascuno una determinata funzione: si chiamano organelli (nome decisamente non casuale). Uno di questi è deputato alla respirazione: ossia al completamento dello “smontaggio” degli zuccheri grazie all’ossigeno, e si chiama mitocondrio.
Lo so che lo sapevate. Quello che potreste non sapere è che questo organello è un po’ diverso dagli altri: ha il suo DNA (che con uno slancio fantastico prende il nome di DNA mitocondriale, o mtDNA), e quindi i suoi geni e le sue proteine, che si fa e che si monta da solo. Ad infittire il mistero, resta il fatto che la “forma” di questi elementi è molto simile a quella di organismi procarioti, piuttosto che a quella degli eucarioti.

Un piccolo inciso per permettere a tutti di seguirmi: la spiegazione noiosa è che i procarioti (dal greco πρό-καρυόν, cioè “prima del nucleo”), tra cui Escherichia coli (che salutiamo), Lactobacyllus casei (che fa il formaggio) e Mycobacterium leprae (che fa venire la lebbra) sono tutti gli organismi in cui il materiale nucleare – leggete DNA – viaggia liberamente per il citoplasma – leggete “corpo della cellula”, non compartimentalizzato in nessun modo. Viceversa, gli eucarioti (dal greco ευ-καρυόν, cioè “buono, vero nucleo”) – tra cui la muffa del pane, le zanzare, il lievito di cui sopra, le ortensie e il vostro vicino di casa – hanno, per l’appunto, un vero nucleo. La spiegazione “in linea di massima” è che i procarioti sono i batteri, esseri molto piccoli che vivono quasi ovunque e riescono a cibarsi di quasi qualsiasi cosa (incluso metano, idrogeno, zolfo e altre amenità) e sono unicellulari; mentre i procarioti sono meno metabolicamente fantasiosi, ma hanno fatto della loro forza il fatto di organizzarsi in strutture multicellulari (che chiamiamo comunemente funghi, piante e animali) e hanno scoperto le gioie della riproduzione sessuata.

Ritorniamo al nostro dubbio amletico: come mai i mitocondri assomigliano a dei batteri? La risposta che ci dà la moderna biologia molecolare (e che ci suggerisce Occam) è affascinante: perchè erano dei batteri. In un lontano passato, il progenitore della cellula eucariote aveva già iniziato a dotarsi (o a mantenere) le caratteristiche che lo avrebbero differenziato sempre più dai suoi cugini procarioti, soprattutto aveva iniziato a strutturare in un compartimento a parte la sua informazione genetica, e aveva imparato a “mangiare” invaginando all’interno porzioni di membrana, catturando così quello che si trovava all’esterno (cosa che i batteri non sanno fare). Questo processo, che si chiama fagocitosi, lo sanno fare anche le nostre cellule: ad esempio i macrofagi (del sistema immunitario) ancora così mangiano i batteri (come miliardi di anni fa il progenitore eucariote mangiò uno sfortunato alfa-protobatterio).
Fu proprio l’ingestione di un alfa-protobatterio a produrre una simbiosi che si rivelò stremamente efficace. Il batterio resistette alla digestione, e in cambio delle sostanze nutritive che il progenitore eucariote andava procacciando, il batterio le respirava, ricavando ulteriore energia dalle molecole che prima sarebbero state solamente scorie. Col passare dei milioni di anni, molti geni vennero trasferiti dal batterio al genoma nucleare (molti geni mitocondriali sono contenuti nel DNA nucleare), ma non tutti: ancora oggi il mitocondrio conserva un completo apparato per dividersi (come una cellula), replicare il proprio DNA e sintetizzare le proprie proteine.
Tanto più che è possibile – oggi che i genomi di sempre più organismi vengono completamente sequenziati, con una velocità impensabile fino a pochi anni fa – comporre un vero e proprio “albero genealogico” e trovare i “parenti prossimi” dei mitocondri, ossia i discendenti di quei batteri che non vennero fagocitati dal vorace progenitore delle cellule eucariote, del basilico e del pollo arrosto.

 

Parentela tra mitocondri e alfaprotobatteri. Evolvendo, si imparano cose nuove ma se ne dimenticano anche alcune. Credito: Molecular Biology and Evolution

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Scritto da Piermatteo Barambani Pubblicato il 18 luglio 2011

 

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