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Elia

Utente non registrato
Inserito il 17/02/2005   Segnala contenuto non adatto   Rispondi Quotando  Nuovo Commento 
Re: Sogno, funzione e interpretazione

Anche io ho studiato genetica e circa venti anni fa ho fatto una ricerca di ingegneria genetica sulle cellule vegetali.
Per quanto riguarda i sogni posso raccontare un episodio che riguarda l'applicazione terapeutica dei sogni.

L’EMATOMA CEREBRALE

Alcuni conoscenti mi fecero sapere che un loro parente era stato ricoverato d’urgenza in una clinica ospedaliera. Aveva subito un intervento alla scatola cranica perché i medici gli avevano riscontrato un ematoma cerebrale. L’intervento aveva provocato un’infiammazione ed il paziente era andato in coma.
Mi recai in ospedale e l’anestesista m’informò che il degente era uscito dal coma e respirava in modo autonomo, ma lo staff medico che lo seguiva era preoccupato per l’afasia e la deambulazione della metà destra del suo corpo.
Entrai nel reparto di Terapia intensiva insieme alla sorella del paziente e questa cominciò a parlargli; ma lo faceva così in fretta che non dava tempo al fratello di orientarsi. Le suggerii di parlare più adagio, seguendo il ritmo respiratorio del fratello, ma non era molto brava e perciò le chiesi di far parlare me.
Aveva gli occhi aperti e mi guardava mentre gli impartivo delle suggestioni ipnotiche (i pazienti sotto l’effetto d’anestetici o in uno stato di semicoscienza accettano le istruzioni meglio di qualunque altro).
Non era ancora in grado di orientarsi nel tempo e nello spazio e rinunciò a comprendere le mie parole. Gli suggerii che poteva comunicarmi qualcosa e non era davvero importante in che modo lo facesse: la cosa importante era comunicare. Dopo un po’ l’infermo fece muovere la maschera dell’ossigeno che aveva sul viso. Chiesi ad un’infermiera se poteva toglierla un momento perché il paziente voleva comunicare qualcosa. L’infermiera un po’ seccata della richiesta, acconsentì. Appena le tolse la maschera dell’ossigeno, il paziente alzò la testa e diede un bacio alla sorella e pronunciò alcune frasi.
Nel frattempo, però, avevo notato che le frasi che egli aveva pronunciato erano semanticamente ben formate.
Spiegai la cosa alla conoscente e affermai, con sicurezza, che il fratello non aveva subito alcun danno psichico o neurologico perché le stesse regole che controllano il linguaggio, controllano il comportamento.
Ero convinto che non appena il paziente si fosse orientato nel tempo e nello spazio, i suoi problemi si sarebbero risolti spontaneamente. Avevo delle ipotesi, le avevo fatte mentre elaboravo uno studio sui sogni. Pensavo che i pazienti sottoposti a terapia intensiva, a causa di traumi di una certa gravità, sospendono, per motivi di protezione, le funzioni dell’emisfero sinistro e, perciò, anche della fase R E M. Quest’ultima indica un sogno in atto ed è rivelabile all’esterno per i movimenti rapidi dei globi oculari sotto le palpebre.
Nella ricerca sui sogni (vedi fisiologia e interpretazione) ipotizzai che la funzione dei sogni consisteva principalmente nel farci orientare istantaneamente dopo il risveglio.
Avevo capito, inoltre, che il paziente non era afasico perché il linguaggio serve per rappresentare il nostro modello del mondo e per comunicarlo agli altri, poiché, il degente era in uno stato di disorientamento generale, non poteva rappresentare il suo modello e perciò non poteva comunicarlo. Oltre a ciò, la parte destra del corpo è controllata dall’emisfero sinistro, sede del linguaggio verbale e il movimento è una sua componente analogica.
Spiegai brevemente la questione alla sorella e pilotai un sogno al paziente. Gli suggerii che poteva fare dei sogni e che non era davvero importante se questi fossero stati belli o brutti, anche perché, poi, non li ricordiamo nemmeno. Dopo un po’ il paziente chiuse gli occhi e cominciarono a muoversi i globi oculari sotto le palpebre: era iniziata la fase REM. Alcuni minuti dopo, egli si svegliò e iniziò a parlare, a ricordare alcuni avvenimenti e a muovere la mano e la gamba destra.
Il giorno successivo, l’Aiuto primario ci riferì che durante la sua visita al reparto aveva notato con interesse il paziente, il quale mostrava dei leggeri movimenti alla mano destra, si era avvicinato, ma si era spaventato quando questi gli afferrò il braccio e glielo strinse con forza. Affermò, infine, che il malato non era ancora fuori pericolo e che gli occorrevano ancora diverse settimane di degenza.
Dopo il colloquio, la conoscente ed io ci recammo nel reparto, ma prima di entrare le dissi che il medico aveva bisogno di una risposta adeguata.
Parlai nuovamente al paziente. Gli raccontai la storia dei macrofagi: le cellule spazzine dell’organismo e li paragonai a dei netturbini che puliscono le strade di una città affollata, poi una sugli antibiotici ed un’altra sugli anticorpi.
Il giorno successivo, i clinici riferirono che il paziente stava bene e non aveva bisogno di un’altra TAC e, al più presto, sarebbe stato cambiato di reparto, ma dovettero ammettere di non aver ancora compreso le ragioni di simili risultati.
Chiesi, allora, alla mia conoscente se si ricordava che dovevamo dare al medico una risposta adeguata e lei replicò che l’avevamo data.
Presto nell’ospedale si sparse la voce circa il mio metodo di terapia ed una signora mi chiese se potevo provare anche con il marito che aveva un problema simile al fratello della mia conoscente, ma l’ematoma era stato provocato da un’emorragia cerebrale.
Andai a visitare il marito della donna in neurochirurgia. Si trovava in uno stato di semicoscienza e, alla presenza d’altri degenti e loro familiari, cominciai a parlare sotto voce e per circa venti minuti.
Il giorno successivo incontrai la moglie e la figlia del nuovo paziente, le quali mi ringraziarono, ma mi chiesero anche cosa avessi fatto. Dissi loro di aver suggerito al paziente, con una certa insistenza, di dover sorprendere tutti.
Le donne dichiararono che tutti erano sorpresi perché dalle ultime indagini, non gli erano state più riscontrate infezioni in atto.
Ritornai nella mia città e dopo alcuni giorni la conoscente telefonò per farmi sapere che il fratello stava bene, poteva camminare in modo autonomo e svolgere qualsiasi funzione.
Tratto dal mio libro: Elia tropeano, Terapie istantanee, manuale di neuro-programmazione digitale, Pitagora Editrice, 2004, Bologna, cap. 7.



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