Diario personale di un piccolo scienziato pazzo
 
Riccardo - atreliu pazzo
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Rivanga nel mio passato:





sabato, ottobre 18, 2003

Per il ciclo discriminazioni, all'insegna di una maggior apertura, comprensione e riflessione di alcuni fatti,
ecco una interessante lettera e risposta, presa da La Repubblica di vien 17 Ottobre:
LA FATICOSA SFIDA DI ESSERE GAY


Ho 30 anni e mi chiedo per quale motivo nel testo costituzionale che viene propinato come l'espressione somma del nostro Paese mi si parla di un'uguaglianza che non ho mai visto e di una giustizia che non è affatto uguale per tutti. Io che ho sempre creduto nel mio Paese, sono stufo di viverci e di vivere. Mi sembra che io debba sempre guardarmi intorno e chiedere, Posso esistere? Posso amare? Posso costruire qualcosa di affettivamente resistente alla Sacra Chiesa, alle encicliche papali, al governo di centro-destra, e soprattutto alla gente che sin da quando ho detto di essere gay crede che io sia condannato all'Hiv?
Non ho un futuro, non ho tappe da costruire e i miei sogni si fermano con il lavoro e con un rapporto di coppia che non ho mai incontrato e che colassero perché non sarà mai normale. lo non sono normale. Qualcuno scherzando mi dice che non sono normale. Forse ha ragione. Io sono diverso dagli altri, come un handicappato che sin da quando è consapevole del suo handicap sa che non avrà mai gli stessi diritti degli altri, che non potrà mai avere una famiglia regolare, che non potrà mai sentirsi chiamare papà. E le pare poco?
Quello che mi disgusta è che oggi gli omosessuali non hanno proprio voglia di combattere, sono contenti e felici così. Hanno i village, i siti, i locali, il loro acquario meraviglioso dove come pesci in cattività si mescolano finché l'acqua puzza e cambiano acquario. Se lei parla con la maggior parte di loro, non vogliono figli e sono felici dì essere gay, parola che odio perché vuole dire felice, ma felice di che? Vorrei che domani, a 40. 50 anni, non dovessi chiedermi, perché ho vissuto? Per passare da un uomo all'altro tentando disperatamente di rubare attimi di felicità da una vita resa da uno stato antidemocratico indegna di essere vissuta?

La risposta da parte di Aspesi:
La ringrazio per la sua bella lettera. Io non ho modi non dico per aiutarla, ma neppure per consolarla, perché oggi siamo in tanti a non essere normali, se la normalità è l'ipocrisia, e a essere diversi, se la diversità vuole dire non accettare e non essere accettato. Ci furono secoli in cui le donne che sognavano la libertà di essere se stesse non potevano far altro che rifugiarsi nei conventi di clausura; nel XVI secolo in Francia, durante le guerre di religione, la protestante Marie Dubois, incarcerata per 40 anni, incise sulla pietra del pozzo: «Resistere alla stupidità è eroico come resistere a un nemico armato». Lei fa semplicemente parte di una delle tante minoranze, e le minoranze sono sempre servite come capro espiatorio su cui la società scarica le sue frustrazioni. Un mio amico omosessuale mi prega di dirle questo: quando gli omosessuali sono i primi a rendersi gay, divertenti, la società li accetta volentieri come macchiette. Lei non dovrebbe lasciarsi andare a sogni consumistici (e oggi la famigliola come ci viene proposta lo è), ma vivere la sua condizione come l'hanno vissuta tutti quelli che hanno rifiutato le regole del potere e dell'appiattimento. Per secoli lo hanno fatto anche le donne.
Lei ha una vocazione alla dignità e alla qualità, e questo è un privilegio: non ci sono scorciatoie, viva la sua resistenza intellettuale e umana, sapendo che comunque, a nessuno è garantita la felicità. So di non averle risposto, ma forse ho risposto a me stessa.


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