giovedì, dicembre 18, 2003
mercoledì 17 dicembre 2003 , di il Corriere della Sera
«ORA NATALINO È UN EROE MA IL PAESE LO CACCIÒ»
Il clochard che ha salvato 5 ragazze è stato una «vittima dell’intolleranza».
MASSAFRA (Taranto) - E’ stato un eroe, dicono tutti di Natalino Morea. Ed è vero. Ma quando si scopre com’è stata la vita di Natalino fino al giorno in cui lo hanno pestato a sangue, allora è difficile non riconoscere che quel «barbone» che a Roma ha preso le difese di cinque ragazze molestate da due bulli (o erano un branco?, sta cercando di capire il magistrato) è un eroe due volte. Perché, ecco la triste verità, Natalino Morea ha un segreto. Che in realtà non è un segreto, ma un tabù.
«Mio zio Natalino è un omosessuale, un diverso, un travestito. Deriso e scacciato da tutti, è andato via come un appestato, questa è la verità che adesso nessuno vuol ascoltare e tutti fingono di non conoscere». E’ commosso e arrabbiato, Angelo Morea, uno dei nipoti di Natalino, forse la persona che più di ogni altra gli ha voluto e gli vuol bene. Temeva che un giorno o l’altro qualcuno avrebbe fatto del male a quel suo zio un po’ eccentrico, ma sempre allegro, incapace di far male a una mosca e del quale era diventato amico, non più un semplice nipote. Un barbone, e per giunta gay, è il ragionamento di Angelo Morea, che fa l’operaio ma non è una persona incolta, è un eroe due volte se insorge per difendere la vittima di un sopruso.
Ma il fatto che Natalino non si sia adeguato a quel «totalitarismo dell’indifferenza» che sta svuotando le nostre vite e sta prendendo sempre più il posto di altri nefasti totalitarismi non è propriamente una cosa di cui a Massafra vanno fieri. Sì, il gesto è stato un nobile gesto, per carità, tutti d’accordo, ma in fondo questo Morea Natale, classe 1946, ultimo di sette figli, mamma e papà contadini, chi lo conosce? Anzi, a pensarci bene non lo conosce nessuno. Nemmeno gli amici di gioventù che lo invitavano ad andare a prostitute insieme con loro, come prova collettiva di virilità, e ai quali Natalino, per non sfigurare, nascondeva la verità. Giunto il suo turno, pagava la signora e la pregava di non dir nulla agli altri, se lui per quella sera e poi per tutte le altre sere non avrebbe consumato.
Era giovane, Natalino, un ragazzo di ventuno anni, quando decise di andarsene a Milano. Correva l’anno 1977, l’anno del Movimento e degli Indiani metropolitani e dell’Autonomia operaia. Natalino poteva dire che se ne andava nella grande città del Nord per la politica e la contestazione. O per trovarsi un lavoro. Invece no, confessò a suo nipote che se ne andava per vivere la sua vita, perché era gay e questo gli dava felicità, e poi perché era stufo. Non ce la faceva più a sentirsi chiamare «ricchione», una parola che gli rivolgevano sempre con cattiveria. E adesso, fatta la scoperta d’avere in casa un eroe, nessuno sa chi è e soprattutto com’è Natalino Morea. Nemmeno i suoi familiari.
E allora ecco che la vita agra e semplice di Natalino - un lavoro in una fabbrica milanese di bigiotteria che chiude e lo licenzia e poi, sette anni fa, il tentativo di tornare al paese, dove apre una sala giochi - viene raccontata come la vita misteriosa di una persona strana. Persino la sua seconda fuga dal paese, dove riesce a resistere un anno, viene motivata «per i troppi debiti». Bugie. Natalino fuggiva, ancora una volta, dal disprezzo. «E se fossi nato storpio, invece che gay?», urlò una volta, piangendo. «Sarebbe stato meglio», gli risposero. E Angelo, che sentiva queste cose di suo zio fin da quando era un bambino e non capiva, decise che un giorno avrebbe scoperto la verità. Aspettò e diventato maggiorenne prese un treno per Milano. Da quel momento, scoprì anche un grande amico. «Ridemmo insieme di tutti i pregiudizi, anche dei miei, e capii quanto valeva quell’uomo», dice Angelo. Risero anche del nome, Natale, che gli avevano dato perché era nato il 24 dicembre. Raccontò Natalino che c’è una leggenda, secondo la quale i nati nella notte di Natale sono destinati a trasformarsi in lupi mannari. «Guarda qua invece come riesco a trasformarmi io», disse Natalino. E mostrò ad Angelo alcune foto che lo ritraevano vestito, anzi travestito, da donna. «Dov’era il male? - dice Angelo -. Quello che gli hanno fatto, in tutti i sensi, quello sì, è il male».
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