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Romeo Lucioni

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Einstein non era autistico.

Perché Einstein non era autistico.

Romeo Lucioni

Papini in “GOG”, il suo libro straordinariamente attuale, scientificamente preciso e culturalmente creativo, racconta l’incontro con Albert Einstein che, per chiarire subito il nucleo fondante del suo pensiero dice “… per natura io sono nemico della dualità”.
Proprio questa dichiarazione spiega perché lo scienziato non possa essere autistico: il suo “scopo supremo”, il suo “modello mentale” (diremmo noi psicoanalisti) è “sopprimere le differenze”.
Cercare l’unità:
§ nello spirito della scienza;
§ nella vita e nell’arte;
§ nell’amore;
§ nella metafora poetica
significa superare il dilemma esistenziale del bambino nella fase primitiva dello sviluppo. In questo “stadio”, invece, è confinato l’autistico che:
- nella sindrome di Kanner non possiede oggetti stabili e, quindi, la realtà è posta sempre di fronte al precipizio, al terrore di dissolversi nel nulla;
- nella sindrome di Asperger non riesce più a scegliere, a riunire, a unificare la realtà perché gli opposti (bene-male; giusto-ingiusto; bello-brutto) sono qualità che invadono contemporaneamente gli oggetti che, quindi, perdono valore, vengono rifiutati ed eliminati come inservibili.

Quando Einstein conclude “… spazio e tempo sono aspetti indissolubili di una sola realtà” ed enuncia la sua “ultima scoperta” nella “teoria del campo unitario” dichiara e grida non solo il suo “non essere autistico”, ma anche la sua “creazione mentale”: dare al mondo un senso (istintivo) ed un significato (intellettivo) che sono il vero modello paradigmatico del diventare uomo che, proprio nell’unità, trova l’amore.

Einstein, nel colloquio immaginario con Papini, dice che le scienze e, quindi, la natura e in essa l’uomo, possono essere tradotte in una sola formula “Qualcosa si muove”.
Papini sembra sconcertato e meravigliato di fronte ad una frase tanto semplice, ma che, per Einistein, contiene il senso della vita, cioè il Moto, mentre
per San Giovanni era il Verbo e
per Goethe l’azione.
In queste definizioni criptiche c’è dunque il senso della vita, incredibilmente semplice ed eticamente fondante:
da Dio-Verbo, unità iniziale, nasce l’Uomo che scopre l’azione, il “fare”, ma questo è possibile e acquista significato solo se posto al servizio dell’unità, dell’amore.

Il bambino autistico (Kanneriano) non può fare, cioè agire, creare, vivere, perché è limitato al gesto ripetitivo, alla coazione, allo stereotipo: deve “fare per non fare”.
Solo quando, con la terapia, potrà acquisire prerogative umanizzanti, che sono relazionali, sociali e valorative (timologiche), comincerà a … dare un calcio alla palla e sarà il primo passo verso il raggiungimento del proprio Sé, della propria umanizzazione e la spinta per uscire dall’autismo.


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