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Alghe cannibali di CO2


La mappa del genoma di una minuscola alga oceanica potrebbe avere ripercussioni importanti sulle modalità scientifiche di difesa dei mari del pianeta dai gas serra. La diatomea è un microrganismo unic

La mappa del genoma di una minuscola alga oceanica potrebbe avere ripercussioni importanti sulle modalità scientifiche di difesa dei mari del pianeta dai gas serra. La diatomea è un microrganismo unicellulare a forma di cappelliera. Malgrado le dimensioni ridotte, questa specie genera il 40 per cento dei 50 miliardi di tonnellate di carbonio organico prodotti ogni anno dalle acque terrestri, inghiottendo anidride carbonica e rilasciando, in cambio, ossigeno. Complessivamente, tutte le diatomee del pianeta svolgono un’attività di fotosintesi pari a quella di tutte le foreste pluviali del mondo messe insieme. «Tali organismi, sebbene così piccoli, giocano un ruolo di straordinaria importanza per la salute della Terra», spiega Virginia Arbrust, docente di oceanografia alla University of Washington e principale autrice di uno studio sul patrimonio genetico di quest’alga, pubblicato il 1 ottobre sulla rivista Science.

Nel decodificare il genoma della diatomea, la Arbrust e gli altri 44 scienziati impegnati nel progetto hanno scoperto che questo microrganismo processa l’azoto proprio come l’uomo: attraverso un ciclo di urea e la disintossicazione degli scarti di ammoniaca e composti azotati.
I ricercatori non si sarebbero mai immaginati che un essere così piccolo potesse avere un ciclo di urea. Secondo la Arbrust una scoperta del genere dovrebbe indurre a ulteriori e sempre più approfondite ricerche. «Non ce l’aspettavamo, ma ora che lo sappiamo, dobbiamo darci da fare per capire cosa un indizio simile possa significare nel funzionamento biologico di tali organismi», spiega. Gli esperti di ambiente suggeriscono di manipolare le diatomee, fertilizzandole con quantità extra di azoto, per far sì che possano assorbire dall’atmosfera l’anidride carbonica in eccesso. Ma molti temono eventuali effetti imprevisti di un’eventuale attuazione della proposta sull’ecosistema. D’altra parte, ribatte la Arbrust, rinunciare potrebbe rivelarsi un problema anche maggiore.

La temperatura superficiale degli oceani sta aumentando, e ciò finirà per determinare un calo nella presenza dei nutrienti necessari allo sviluppo di diatomee e altri organismi. «Con la nostra ricerca speriamo di capire meglio come funziona questa specie, in modo che si possa sapere una volta per tutte qual è la cosa migliore da fare, e si possano prendere decisioni più efficaci», continua la Arbrust. «Non credo che esistano delle risposte univoche». I ricercatori che hanno effettuato lo studio hanno scoperto che il genoma della diatomea è composto di 11500 geni, circa un terzo del genoma umano. Senza contare che anche l’uomo, ormai si sa, non ha un numero esorbitante di geni: nel 2001, il Progetto Genoma Umano ne ha contati 30 mila, la stessa cifra del topo e appena il 15 per cento in più di un rametto di senape.

Fonte: Boiler (19/10/2004)
Pubblicato in Ecologia e Ambiente
Tag: CO2, alga, diatomea, gas serra, inquinamento
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