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Cellule staminali, dopo la moratoria


Quale futuro per la ricerca, parla Carlo Alberto Redi, direttore del laboratorio di biologia dello s

Dopo il voto del parlamento europeo che aveva espresso un giudizio favorevole al finanziamento per la ricerca scientifica anche sulle cellule staminali derivate da embrioni sovrannumerari, il consiglio dei ministri Ue - lo scorso 3 dicembre -, a Bruxelles, non ha saputo prendere una decisione. Di fatto l'Italia insieme a Germania, Austria e Portogallo ha mantenuto la moratoria che è scaduta il 31 dicembre. Del futuro della ricerca sulle cellule staminali, abbiamo parlato con Carlo Alberto Redi, direttore del Laboratorio di biologia dello sviluppo dell'università di Pavia e presidente del comitato scientifico dell'Istituto di biorigenesi e European Network.
Professor Redi, cosa succederà ai fondi europei per la ricerca e al VI programma quadro?
Dopo la moratoria voluta dall'Italia e da pochi altri, comunque sarà dato il via libera ai finanziamenti per la ricerca. Anche sulle cellule staminali derivate da embrioni, in tutti quei paesi che lo consentiranno.
I ricercatori italiani usufruiranno di quei soldi?
Questa è la questione da dirimere. Perché tutti i contribuenti europei dovrebbero pagare la ricerca che poi solo alcuni stati permetteranno e che beneficerà solo alcuni? I ricercatori italiani non capiscono perché le loro competenze non possano entrare in gruppi di ricerca europei avanzati. Tuttavia non credo sia possibile bloccare il nostro lavoro, altrimenti si innescherebbero una serie di controlli e di verifiche veramente pesanti. Nel nostro paese ci sono eccellenze scientifiche che primeggiano a livello internazionale nella ricerca in questo settore, solo per citarne alcuni: Angelo Vescovi, Giulio Cossu, Elena Cattaneo e Laura Calzà.
Ma i problemi sono altri. La confusione dettata da pregiudizi ideologici sovrasta la proposizione scientifica, inoltre è scarsa l'attenzione dei finanziamenti verso questo tipo di ricerca. Se restasse tutto in mano a poche multinazionali nel mondo e non ci fossero investimenti di denaro pubblico, non riusciremmo a governare i risultati e riproporremmo l'errore fatto con gli organismi geneticamente modificati.
Esistono compromessi possibili?
Un sano compromesso potrebbe essere quello di non creare embrioni destinati alla ricerca e di non utilizzare nuovi embrioni soprannumerari, oltre quelli già congelati. Ma dobbiamo rispettare questi ultimi, rendendoli utili per derivare linee cellulari. Nel lungo periodo, penso che si arriverà a una soluzione. Proprio come è successo negli Stati uniti d'America.
Cosa è successo?
Durante il suo ultimo convegno l'American Medical Association, un'organizzazione solitamente molto cauta e seria, ha espresso pareri in contrapposizione con Bush, stabilendo che le cellule staminali derivate da embrioni possono essere utilizzate per la ricerca. Il problema è che si deve agire in fretta.
Cosa intende?
Le poche linee cellulari derivate da cellule staminali fino a oggi rischiano di non essere più utili. Sono state contaminate con cellule di topo perché non si sapeva bene il sistema per derivarle. Quindi non solo sono poche, ma anche inutilizzabili. Allora il principio di precauzione dovrebbe intervenire e dirci di non utilizzarle neanche in modelli animali, perché contaminati. Anche il presidente Bush si è dovuto ricredere. Infatti, ha stanziato fondi federali, pubblici, per utilizzare le 76 linee cellulari già derivate. Ma subito dopo i National Institutes for Health gli hanno fatto notare che le linee utilizzabili erano solo 23. E se devo dirla tutta, oggi ne restano in realtà solo quattro o cinque derivate in modo sicuro. Noi potremmo richiederle per scopi esclusivamente di ricerca. C'è scritto sul loro sito Internet come fare. Ma la cosa migliore per l'Europa è mettere insieme risorse umane e finanziarie per derivarne di nuove, con le tecnologie più avanzate e più sicure.
Nell'immediato, a livello internazionale, quali sono le strade da percorrere?
Da una parte derivare il più alto numero di cellule staminali, ma anche cercare di non incontrare obiezioni. Una soluzione potrebbe essere il citoplasto artificiale. Se infatti è provato che la cellula uovo umana o di femmina di mammifero è in grado di riportare a una fase iniziale il nucleo di una cellula che sta formando per esempio la pelle, o il fegato, ovvero una cellula differenziata, allora vuol dire che nella cellula uovo c'è un sistema che è in grado di compiere quest'operazione. Ma noi non lo conosciamo. La nostra proposta allora è quella di identificare queste molecole e di provare a riproporne il comportamento in provetta. In questo modo a partire da una cellula con l'aggiunta di opportune sostanze sintetizzate in laboratorio sarà possibile realizzare cellule staminali. Ovviando così ai dilemmi etici e ai problemi legati alla effettiva capacità di quelle cellule di moltiplicarsi.

Fonte: Il Manifesto (08/01/2004)
Pubblicato in Biotecnologie
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