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Per Time è il simbolo dell'emigrazione degli scienziati europei


Sandra Savaglio: «Da noi avevo vinto un concorso: ma chi voleva il mio posto mi ha fatto processare

La sua è una storia di ordinaria nostalgia,ma anche di delusione e rassegnazione. «Vivo e lavoro in America, e sono un’emigrata di successo perché il mio lavoro mi sta dando grandi soddisfazioni. L’Italia? E’ dove sono nata, è il mio paese, è dove mi piacerebbe lavorare. Certo che tornerei, ma a fare che cosa?». La sua missione è scrutare le stelle, le galassie lontane, il blu dell’infinito. E’ una passione nata con Asimov, letto quasi per caso a 17 anni, in quarta liceo scientifico, e concretizzata, per ora, con un contratto a termine alla Johns Hopkins University di Baltimora, nel Maryland.

Il suo volto - bello, fiero, solare - campeggia sulla copertina del settimanale americano «Time», uno dei periodici più autorevoli del mondo. Lei, promossa star sul campo, si chiama Sandra Savaglio, è calabrese, ha 36 anni. Una settimana fa, Usa Today ha pubblicato i risultati di una ricerca effettuata con il telescopio Gemini, nelle Hawaii, da cui emergono nuove teorie sull’origine delle galassie più antiche: tra i ricercatori, appare anche il nome della dottoressa Sandra. Poi è arrivato Time , con la sua faccia sbattuta in copertina e, sullo sfondo, due bandiere, Europa e America, un bivio davanti al quale molti non hanno avuto dubbi.

Il titolo dell’inchiesta punta dritto al cuore del problema: «Così l’Europa perde le sue "stelle" della scienza». Nel mondo scientifico, anche in Italia, forse ci si sta domandando come sia possibile che una come lei, laureata in fisica a pieni voti, esperienze all’estero, molto da raccontare in campo astronomico, abbia dovuto fare i bagagli e trasferirsi altrove per poter «lavorare con tranquillità». «Ciò che fa la differenza tra America e Italia - dice l’astronoma - non sono l’esperienza, l’età, i gradi, ma la tua capacità di lavorare e raggiungere gli obiettivi». Savaglio non è la sola a pensarla così. Savaglio è una delle tante tessere di quel grande mosaico che racconta la fuga di tanti cervelli europei verso l’America. Via per convenienza, ma anche per rassegnazione: «Ho provato sulla mia pelle che cosa significhi sacrificarsi per nulla, studiare tanto, lavorare il doppio, per poi sentirsi soli e abbandonati a se stessi. Qui in America si lavora anche di più, però ti vengono riconosciuti la bravura e il talento. Come si chiama? Meritocrazia? Ecco, chi ha il coraggio di dire che in Italia esiste la meritocrazia?».


E’ finita su «Time» con tanti altri, italiani e non, scienziati da 110 e lode che si occupano di cose importanti ma hanno intrapreso un viaggio senza biglietto di ritorno, destinazione Stati Uniti. C’è Michele Pagano, professore associato di patologia alla New York University, che dice «se tu sei uno scienziato e vuoi lavorare seriamente, l’America è il posto dove puoi trovare la migliore collocazione». C’è Valerio Dorrello, anch’egli medico, anch’egli alla NYU, che culla il sogno di aprire un laboratorio di ricerca nella sua Napoli «ma con tecnologie e organizzazione americane». Ci sono spagnoli, tedeschi, ungheresi, finlandesi. E c’è lei, Sandra Savaglio, andata via dall’Italia per manifesta insofferenza nell’accettare «sistemi antichi, dove il valore dei singoli viene in secondo piano, e tutto affoga nel mare delle convenzioni e delle convenienze». Sono 400 mila gli scienziati europei che vivono attualmente negli Stati Uniti. Il paradosso è che l’Europa necessita di almeno 700 mila ricercatori entro il 2010. «E se non cambia la situazione - commenta l’astronoma - la tendenza si rafforzerà nei prossimi anni».

Il suo contratto con la Johns Hopkins scadrà nel prossimo settembre. E’ arrivata nel Maryland due anni fa. Se glielo concederanno, continuerà a lavorare lì, ogni giorno dalle 9 alle 18 con una pausa di un’ora per il pranzo. «In Italia ho conservato il posto di lavoro, senza stipendio ovviamente, all’Osservatorio di Monte Porzio, vicino Roma. Non so se tornerò, ho avuto esperienze molto negative, e ho capito che lì non c’è posto per me». Si racconta senza peli sulla lingua, con dati, cifre e nomi snocciolati in sicurezza. In questo, Sandra è molto americana: «Ho conquistato quel posto vincendo un concorso, ma sono finita sotto processo per truffa. Nel maggio del 2003 sono stata assolta perché il fatto non sussiste. Era successo che qualcuno, che aveva interesse a sistemare la propria figlia, aveva fatto ricorso. Il concorso è stato comunque rifatto, e io l’ho rivinto. Devo dire che il direttore dell’Osservatorio, Roberto Buonanno, ha cercato di aiutarmi, di starmi vicina, ma nel frattempo era maturata in me l’idea di allontanarmi dall’Italia».
Lavorava già a Baltimora, peraltro in stretto collegamento con l’Osservatorio di Monte Porzio, quando un collega le invia una mail dall’Italia: «Stavo completando con lui un lavoro sui "gamma-ray bursts", cioè le esplosioni di stelle massicce simili a supernove.

Avevo lavorato duro per trovare cose che si sono rivelate estremamente interessanti. Mi chiama questo collega, non un superiore, ma un collega di poco più anziano, e mi dice: "Sia chiaro che se pubblichiamo la ricerca, ci deve essere il mio nome come primo autore". Capito? Voleva mettersi in prima fila ancor prima di conoscere i risultati di una ricerca in gran parte svolta da me. L’articolo doveva comparire su "Nature", una rivista seria e importante. Non se ne fece nulla. Ecco come funziona in Italia. Ecco perché chi vuole lavorare seriamente deve scappare via e venire in America. Qui lavoro sodo per raggiungere un obiettivo e ho un capo che non si permetterebbe mai di appropriarsi dei miei risultati. E’ una questione di rispetto e di cultura che in Italia, forse, non impareremo mai».

E’ il sistema, accusa Savaglio, a bloccare carriere e a spegnere gli entusiasmi: «Dovevo capirlo subito. Quando mi sono laureata a Cosenza, la mia città, il relatore mi disse con chiarezza che se volevo avere sviluppi interessanti nella mia carriera sarei dovuta andare all’estero. E così ho fatto: sono stata in Germania, a Monaco, all’European Southern Osservatory già diretto dal premio Nobel Riccardo Giacconi, un altro cervello italiano che si è fatto onore lontano dall’Italia. Non è bello ma va detto: fin da giovani, coloro che amano la ricerca scientifica capiscono che il futuro non è l’Italia, non è l’Europa».

Una situazione senza rimedio? «Bisogna che cambi la mentalità, bisogna premiare il merito. E non è una questione di soldi: io a Baltimora prendo il triplo di quello che guadagnerei in Italia, ma sarei disposta a tornare e guadagnare anche molto meno se in Italia si cambiasse registro. Basta con le carriere legate a gerarchie immutabili. E basta con la burocrazia: a Roma per avere una penna nuova si deve compilare un modulo, qui vado nell’armadietto della cancelleria e la prendo». E’ un esempio minimo, ma anche dietro le piccole storture quotidiane può nascondersi una filosofia di lavoro e di comportamento difficile da accettare. Basta poco, a volte, per sentirsi apprezzati. Basta un niente per avere voglia di tornare a casa.

Fonte: Corriere della Sera (26/01/2004)
Pubblicato in Percezione e problemi biotech
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