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Bio-farmaci per infiammazioni intestinali


Anticorpi monoclonali combattono alcune forme croniche come la malattia di Crohn

Le malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD, dall'acronimo inglese di "Inflammatory Bowel Disease", costituite da malattia di Crohn e rettocolite ulcerosa) colpiscono 100-150 persone ogni 100 mila abitanti (8000 pazienti in Piemonte e 100 mila in Italia). La causa di queste malattie non è conosciuta e le terapie mediche tradizionali (cortisonici, aminosalicilati, immunosoppressori, antibiotici) sono rivolte soprattutto a ridurre l'infiammazione con meccanismi poco selettivi. Tuttavia l'ipotesi attualmente più accreditata è che in persone geneticamente predisposte la risposta immunitaria ad agenti esterni possa determinare una reazione infiammatoria cronica patologica. Negli ultimi anni, la ricerca e la comprensione dei meccanismi patogenetici hanno consentito di individuare i meccanismi alla base dell'infiammazione, tra cui alcune citochine (molecole in grado di "accendere" o "spegnere" l'infiammazione) e molecole di adesione (che consentono ai globuli bianchi di concentrarsi nelle aree più infiammate). Queste conoscenze hanno reso possibili lo sviluppo, la sperimentazione e l'applicazione di una nuova classe di farmaci (i farmaci biologici), in grado di inibire selettivamente l'azione delle citochine ad azione proinfiammatoria o di bloccare l'infiammazione a vari livelli. Il primo farmaco biologico per le IBD entrato in commercio è l'infliximab, utilizzato in Europa da quattro anni. L'infliximab è un anticorpo monoclonale ad azione specifica nei confronti di una citochina, il TNF-a (Tumor Necrosis Factor - alfa), che riveste un ruolo fondamentale nel causare infiammazione. Studi controllati ne hanno dimostrato l’efficacia nel 60-70 per cento dei casi di malattia di Crohn refrattaria alle terapie tradizionali. Inoltre la somministrazione di infliximab per via endovenosa ogni otto settimane si è dimostrata efficace nel mantenere la remissione ottenuta acutamente.
Negli ultimi due-tre anni, inoltre, i risultati delle ricerche di base hanno consentito la messa a punto di altri farmaci biologici che sono attualmente in fase di sperimentazione clinica. Alcuni di questi agiscono bloccando il TNF-a (per esempio adalimumab e CDP870), altri interagiscono con altre molecole coinvolte nel processo infiammatorio (come il natalizumab, che blocca le molecole di adesione). Ci troviamo dunque di fronte a una vera e propria rivoluzione nella terapia medica di queste malattie: dall'utilizzo di farmaci con azione anti-infimmatoria aspecifica, applicati anche in molte altre malattie, si è passati a farmaci selettivi, con meccanismo d'azione ben conosciuto, nei casi in cui vi sia una precisa indicazione. Inoltre i farmaci biologici, e in particolare l'infliximab, sono gli unici ad essersi dimostrati capaci di indurre la "guarigione endoscopica" delle lesioni intestinali. Restano però numerosi problemi che ne limitano l'uso e ne consigliano un uso prudente: I costi dei trattamenti: attualmente il costo annuo è di circa 10.000 euro per il mantenimento con infliximab; è stato fatto notare che se fosse possibile ottenere lo stesso risultato con un farmaco tradizionale i costi sarebbero pari ad appena il due per cento do quell’importo. La possibilità di sviluppare una reazione specifica contro questi farmaci (per esempio anticorpi diretti contro gli anticorpi monoclonali, che limitano l'efficacia del farmaco e aumentano il rischio di reazioni infusionali) . Il rischio di complicanze infettive. La mancanza di dati definitivi sugli effetti collaterali e su eventuali complicanze a lungo termine. Nel singolo paziente occorre valutare la possibilità di incidere posivitamente sulla malattia con farmaci tradizionali, meno costosi e più sperimentati. Se questo non fosse possibile si possono utilizzare i farmaci biologici, i cui meccanismi d'azione devono essere conosciuti a fondo dal medico prescrittore. Bisogna inoltre stilare un bilancio fra i costi del farmaco (strettamente legati alla molecola, ma anche derivanti dagli effetti avversi che possano danneggiare il paziente) ed i possibili vantaggi (inclusa la possibilità di ridurre il numero di giornate di ospedalizzazione, o la necessità di interventi chirurgici, o il numero di giornate lavorative perse a causa dell'acuzie della malattia), oltre a considerare i possibili effetti benefici sulla qualità della vita dei pazienti. È comunque necessario instaurare e mantenere un buon rapporto tra il medico e il paziente per poter discutere vantaggi e limiti dell'utilizzo di questi farmaci. I farmaci biologici sono un importante passo avanti nella terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali. Ma sarà possibile e forse necessario in futuro limitarne l'uso ai pazienti che abbiano maggiore probabilità di una risposta positiva, oppure che presentino un assetto immunopatologico che consenta una terapia su misura (terapia personalizzata). Infine, si sta sperimentando anche la possibilità di un impiego dei farmaci biologici sin dall'inizio della storia clinica delle malattie infiammatorie croniche intestinali, allo scopo di valutare se una maggiore aggressività terapeutica iniziale possa causare una drastica variazione della storia naturale di malattia, determinandone un decorso più mite. Per ora, anche in considerazione dei costi e dei possibili rischi e in ottemperanza alle linee guida ufficiali, l'utilizzo dei farmaci biologici va principalmente circoscritto all'interno dei centri che hanno una maggiore esperienza nel trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali e delle loro complicanze, per poter ottimizzare il rapporto costo-beneficio, dopo aver attentamente valutato le possibili alternative (mediche o chirurgiche). [TSCOPY](*)Fondazione Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, Torino.

Fonte: TuttoScienze (23/12/2004)
Pubblicato in Biotecnologie
Tag: IBD, Crohn, anticorpo monoclonale, intestino, infiamm%
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