Dov’è che i ricercatori guadagnano di più? Secondo un interessante report appena pubblicato dalla UE, l’Austria è il paese europeo dove, a conti fatti, il portafogli dei ricercatori rimane più gonfio.
Il report tiene conto non solo degli stipendi in valore assoluto, ma anche del loro valore relativo in funzione del costo della vita che, chiaramente, varia da un paese all’altro (tecnicamente si parla di purchasing power parity o PPP).
Da queste statistiche è chiaro che non sempre il conto in banca e la passione scientifica vanno d’accordo: ad esempio, l’Austria non brilla nell’agone internazionale fra i paesi a più alta produttività scientifica, e a occhio e croce non è fra i posti dove il ricercatore medio sogna di andare a lavorare.
In rapporto, però, si guadagna in media un buon 30% per cento in più rispetto agli UK, per molti la mecca europea della ricerca. Detta così sembra un pò la famosa statistica del pollo, ma se leggete bene il rapporto troverete anche analisi più approfondite, riguardo ad esempio alla forchetta fra le retribuzioni minine e massime, e fra uomini e donne (tranne che a Malta, sempre più basse per il gentil sesso).
E l’Italia? Se dicessimo che è fra le ultime in Europa anche per le retribuzioni medie dei ricercatori diremmo una cosa vera ma che somiglia alla solita, italica lamentela. E invece, non dobbiamo correre il rischio di confrontare pere con banane.
Se è vero che i ricercatori guadagnano poco, ma è anche vero che vivono in un sistema in cui potrebbero mantenere il posto anche senza produrre molto (anche se moltissimi producono scienza eccellente, cosa che, visti gli stipendi, fa loro doppiamente onore). Inoltre, il loro salario è generalmente a vita (almeno per i ricercatori pubblici) al contrario di colleghi che hanno stipendi più alti (vedi UK e USA), ma che sono sottoposti a verifica durante tutta la carriera. Stipendi più alti per i ricercatori sarebbero dunque cosa buona e giusta ma solo se legati ad una selezione meritocratica (che oggi manca) e alla verifica continua (manco a parlarne..). Altrimenti siamo alle solite.
Other Posts
- La UE scopre il rischio
- La lezione di Emergency
- Mussi, se ci sei batti un colpo.
- 5 per mille alla ricerca: un altro papocchio italiano
- La discesa dei Mongoli
- Fondi ERC: l’ultima chance per la ricerca italiana?
- La UE scopre il rischio
- La UE scopre il rischio
- Scaffali di sangue
Non buttiamoci giù così e non facciamo di tutta l’erba un fascio.
A fronte di Dipartimenti fantasma in cui i docenti e i ricercatori non si presentano mai, stilano registri falsi e non devono sottostare a nessun controllo, esistono molte realtà in cui la norma sono un’attività didattica di 2,3,4 o anche 5 corsi annuali tutti rigorosamente non retribuiti, presenza continuativa, controllo annuale delle ore lavorate e delle attività svolte, controllo triennale dell’attività didattica e di ricerca.
L’università di Milano (seguita da Roma La Sapienza, Bologna e Padova) è al settimo posto in Europa per produzione scientifica: se lavorassimo così poco e male questo non sarebbe possibile.
Accidenti e io che sono venuto qui in Spagna! :/
Sono ancora sotto la media europea… ma ormai ho rinunciato ad essere ricco, nel momento in cui mi sono iscritto a biotecnologie!
E’ pur vero che però all’estero se non hai risultati l’università ti dà i fondi per un anno, per due anni, magari arrivano al terzo anno, ma poi ti fanno vedere la porta, arrivederci e grazie!
Conosco moltissimi ricercatori italiani che lavorano per bene, il problema è che anche se sono la minoranza le mele marce rovinano tutto il sistema, sopratutto perchè spesso sono anche in posizioni decisionali piuttosto importanti.