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Farmacogenetica e farmacogenomica, la strada verso terapie personalizzate

L'EMEA (Agenzia Europea dei Medicinali) ha definito la farmacogenomica come lo studio delle variazioni delle caratteristiche del DNA e dell'RNA correlate alla risposta ai farmaci e la farmacogenetica  come lo studio delle variazioni nella sequenza del DNA correlate alla risposta ai farmaci.
Entrambi questi ambiti di ricerca sono attualmente importantissimi per diversi motivi, primo tra tutti la variabilità individuale nella risposta ai farmaci.
Diversi fattori possono influenzare la risposta individuale ad farmaco:
• Età;
• Sesso;
• Stile di vita;
• Alimentazione;
• Concomitante assunzione di altri farmaci ed eventuali interazioni;
• Patologie;
• Fattori genetici.

Tutti questi fattori risultano essere ugualmente rilevanti, tuttavia, in alcuni casi, i fattori genetici sembrano assumere una maggiore importanza, fino ad essere responsabili (in particolari circostanze) del 95% della variabilità della risposta ad un farmaco.
Questo è stato dimostrato in seguito a studi condotti su gemelli omozigoti e eterozigoti che hanno permesso di individuare, per alcuni farmaci soggetti a intenso metabolismo, un ruolo preponderante di tali fattori nella risposta indotta ed eventuali effetti collaterali.

Proprio per via di questa variabilità alcuni individui possono essere meno responsivi ad un trattamento terapeutico, non manifestare alcuna risposta, o, addirittura manifestare risposte avverse.
Si è calcolato che negli Stati Uniti, circa il 7% dei ricoveri siano una conseguenza di tali risposte, con un notevole incremento dei costi, che si avvicinano a circa 100 miliardi di dollari l'anno.
Ne deriva inevitabilmente che la conoscenza della responsività individuale ad un determinato farmaco permetta sia di raggiungere l'obbiettivo terapeutico prefissato grazie ad una terapia personalizzata, sia di ridurre le probabilità di manifestare effetti indesiderati.
La farmacogenetica e la farmacogenomica sono due discipline che si occupano appunto delle basi genetiche della variabilità individuale nella risposta ad un farmaco. Questo tipo di studi permetterà forse in futuro di predire la risposta di un paziente ad un determinato farmaco sulla base di una "tessera genetica" individuale, che consentirà di creare dei percorsi terapeutici personalizzati evitando reazioni avverse, riducendo i costi e portando a migliori esiti clinici.
Grazie a test del DNA sarà, quindi, possibile per il medico sapere già in partenza se un particolare farmaco sarà efficace sul paziente, evitando di procedere per tentativi.

Per comprendere l'importanza di queste affermazioni basti pensare al trattamento dell'epilessia.
L'epilessia è una patologia poco diffusa, che colpisce circa lo 0.5% della popolazione, ed è caratterizzata dalla comparsa di convulsioni, che possono essere di diversi tipi, dovute a gruppi neuronali che vanno incontro a scariche elettriche asincrone e che costituiscono quello che viene definito "focus epilettico".
Esistono diverse forme di epilessia, generalmente curabili con i farmaci, tuttavia esiste una percentuale di pazienti che non risponde al trattamento farmacologico; in particolare, circa il 30% dei pazienti non raggiunge una remissione di lunga durata dopo un primo tentativo terapeutico. Questo sembra essere dovuto sia a fattori farmacocinetici, sia a fattori farmacodinamici, dipendenti a loro volta da caratteristiche genetiche del soggetto.
Ecco perché nella scelta della terapia da seguire, il medico procede per tentativi.
Si comincia generalmente somministrando un primo farmaco; in questo caso il farmaco potrà essere in grado di controllare le crisi (e quindi sarà utilizzato come terapia) o dare dei risultati insoddisfacenti. In quest'ultima ipotesi, il medico prescriverà un secondo farmaco e monitorerà per un certo periodo le condizioni cliniche del paziente, modificando, se necessario, le dosi somministrate.
Bisogna però sottolineare che, generalmente solo il 10-50% dei pazienti resistenti ad un primo farmaco riesce a raggiungere risultati soddisfacenti con il secondo tentativo, ecco perché di solito si utilizzano delle associazioni di medicinali.
Chiaramente, in questo caso, la possibilità di stabilire in anticipo quali farmaci saranno efficaci sulla base di test genetici, rappresenterebbe un grande passo avanti e permetterebbe di intervenire con una terapia mirata con maggiori probabilità di successo.
Il concetto si estende ovviamente anche a tante altre patologie nei confronti delle quali sia difficile stabilire da subito una terapia efficace.


Le variazioni genetiche responsabili delle diverse risposte ad un farmaco riguardano vari geni; in particolare:
- geni che codificano per enzimi coinvolti in processi metabolici o processi di assorbimento, distribuzione ed eliminazione del farmaco;
- geni che codificano per trasportatori;
- geni che codificano per recettori o modulatori;
- geni che codificano per canali ionici.

Nel primo caso le variazioni genetiche riguardano, per la maggior parte, geni che codificano per enzimi appartenenti alla famiglia del citocromo P-450 (famiglia di proteine più importante nei processi metabolici e di attivazione dei farmaci), ma possono anche riguardare geni che codificano per altri enzimi metabolici, quali acetiltransferasi, glutatione-S-transferasi, tiopurina metiltransferasi, butirrilcolinesterasi e uridin difosfato glucuroniltransferasi.
Mutazioni a carico del gene che codifica per l'acetiltransferasi, ad esempio, portano a differenze individuali nella capacità di acetilazione dell'enzima. Queste vennero individuate già negli anni '50, quando, dopo l'immissione in commercio dell'isoniazide si osservò un maggior rischio di manifestare neuropatie periferiche in individui che eliminavano con le urine una maggior quantità di isoniazide immodificata, rispetto al corrispondente acetilato.
Questo era essenzialmente dovuto al polimorfismo del gene NAT2 (N-Acetiltransferasi 2).

Nel secondo caso, le variazioni genetiche interessano principalmente geni che codificano per proteine coinvolte nel trasporto di farmaci, come, ad esempio proteine appartenenti alla famiglia ABC, ATP-binding cassette, che svolgono un ruolo molto importante nella regolazione del trasporto transmembrana e influenzano i processi di assorbimento, distribuzione ed eliminazione dei farmaci.

Nel terzo caso le variazioni di geni che codificano per recettori o modulatori possono portare a variazioni nell'espressione, nella struttura o nel funzionamento di una specifica molecola, con annesse conseguenze.
Per esempio, individui che presentano un polimorfismo del gene che codifica per l'ACE (angiotensin converting enzyme), enzima responsabile della conversione dell'angiotensina I in angiotensina II (potente vasocostrittore e induttore del rilascio di aldosterone), manifestano un'alterata risposta agli ACE-inibitori e ai beta bloccanti.

Infine, nel quarto caso, mutazioni a carico dei geni che codificano per canali ionici possono anch'esse provocare alterate risposte ai farmaci.
Un esempio è dato da individui che presentano polimorfismo dei geni che codificano per i canali del k+ e che, in risposta all'assunzione di vari tipi di farmaci (tra cui antistaminici, antibiotici, antipsicotici e antiaritmici), possono andare incontro alla sindrome del QT lungo iatrogeno.

Studi di farmacogenetica possono essere molto utili in questi casi e permettere di evitare di intraprendere terapie poco efficaci o addirittura dannose.
Da un punto di vista storico, la farmacogenetica vanta ben 60 anni di studi. Questa disciplina ha avuto, infatti, origine negli anni '50, in seguito ad una serie di scoperte, tra cui la tossicità dell'isoniazide e le reazioni di idiosincrasia indotte dalla succinilcolina in individui che presentavano un polimorfismo del gene che codifica per la butirrilcolinesterasi (enzima deputato alla degradazione della stessa succinilcolina).
La succinilcolina è un farmaco in grado di indurre rilassamento muscolare di breve durata, in quanto rapidamente metabolizzata dalla butirrilcolinesterasi plasmatica. Tuttavia, pazienti con un polimorfismo del gene che codifica per questo enzima, presentavano una butirrilcolinesterasi meno efficace nel degradare la succinilcolina, con conseguente reazione idiosincrasica, caratterizzata da prolungato rilassamento muscolare e apnea (anche per alcune ore).
Negli anni '70 e '80 ulteriori scoperte nel campo della biologia molecolare, le tecniche di "DNA ricombinante" e lo Human Genome Project (impresa che nel 2001 ha portato alla decodificazione di quasi l'intero genoma) hanno accentuato l'interesse nei confronti di questa disciplina e hanno aperto in ambito farmacologico nuove e interessanti prospettive.

Sono diversi i possibili campi di applicazione di farmacogenetica e farmacogenomica; tra questi possiamo citare:
- cardiologia;
- pneumologia;
- immunologia;
- psichiatria;
- neurologia;
- oncologia.
Per quanto riguarda l'oncologia, il problema della variabilità individuale nella risposta ai farmaci è particolarmente importante, dal momento che i farmaci utilizzati hanno un indice terapeutico molto ristretto e numerosi effetti collaterali.
In questi casi, variazioni genetiche che comportino variazioni nei processi metabolici, di assorbimento, distribuzione ed eliminazione del farmaco possono modificare in misura notevole gli effetti terapeutici e aumentare ulteriormente lo spettro, già ampio, di effetti avversi.
E' quindi abbastanza evidente l'importanza nella terapia antineoplastica dei test farmacogenomici, che permetterebbero di individuare più facilmente una terapia efficace, personalizzando il dosaggio e  riducendo gli effetti indesiderati.
Inoltre, questi studi potrebbero lasciar intravedere un barlume di speranza per la cura di patologie neurodegenerative come l'Alzheimer, il Parkinson o la sclerosi multipla, che ancora non hanno trovato un'efficace terapia.
Già per alcuni farmaci, l'utilizzo del test genetico pre-trattamento è stato reso obbligatorio dall'EMEA, tuttavia non si possono non tenere in considerazione, per questo tipo di studi, problemi etici inerenti la tutela della privacy, costi per la sanità pubblica, la correttezza dell'informazione, le modalità e i tempi di conservazione dei campioni di DNA.

La speranza è che in futuro sarà possibile personalizzare le cure applicate evitando terapie inefficaci ed eventuali ricoveri causati dagli effetti avversi dei farmaci.


Carmen Cristina Piras
BIBLIOGRAFIA:

- Annunziato, Di Renzo, "Trattato di farmacologia" II vol., CE Idelson Gnocchi;
- Fumagalli, Clementi, "Farmacologia generale e molecolare", UTET;
- EMEA/CPMP/3070/01, "Position Paper on terminology in pharmacogenetics", London 21 November 2002;
- Sadee W., Dai Z., "Pharmacogenetics/genomics and personalized medicine", Human Mol.;
- www.laboratoriogenoma.it;
- www.gene-news.blogspot.com;
- www.medinews.it







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