28 aprile 2011 - 5:09 pm
Preambolo
Rieccoci per continuare di nuovo il nostro viaggio nell’affascinante mondo delle neuroscienze. Nei post precedenti abbiamo introdotto alcuni concetti del coma con delle considerazioni basilari (1, 2), questa volta, invece, ci focalizzeremo sul “risveglio” e dei possibili trattamenti.
Però, prima di ri-entrare nel merito dell’argomento, sono necessarie alcune considerazioni ovvie. Questo non è un blog medico come neanche l’autore di questo testo, quindi non c’è alcuna intenzione di fuorviare dalle terapie affidate da medici competenti, né tantomeno di procurare delle informazioni pericolose per automedicazioni improvvisate. Ogni riferimento di questo testo dovrebbe essere preso per quello che è, ovvero un ampliamento delle conoscenze di base, un pretesto per destare curiosità nell’ambito specifico, e dare un minimo di erudizione.
Cenni di anatomia
Di fatti, ‘svegliare’ qualcuno dal coma significa liberare o accendere il proprio ‘io’, ma se andate a cercare su un libro di anatomia, fisiologia, o neuroscienze dove si trovi effettivamente il nostro ‘io’ resterete delusi, per ora è ancora un mistero. La biologia della coscienza è uno dei processi mentali più complessi, e di conseguenza è anche il meno compreso. La nostra personalità ed il nostro stato di attenzione è deciso da un insieme di neuroni localizzati nel profondo del nostro cervello ed è difficile determinare come questi interagiscano per dare vita ad una unica personalità.
Grossolanamente, dividiamo il nostro encefalo in tre parti: il cervello, il cervelletto ed iltronco encefalico.
- Il cervello rappresenta l’85% del peso totale dell’encefalo ed è la parte più complicata del nostro organismo; controlla l’intelligenza, la ragione, la memoria, le emozioni, la visione ed i sentimenti, etc. Sicuramente detiene almeno una parte cospicua della nostra coscienza.
- Il cervelletto è la parte più piccola dell’encefalo. Risiede alla base della nuca e gioca un ruolo essenziale nella coordinazione, la postura ed il bilanciamento dell’organismo.
- Il tronco encefalico è la parte del nostro encefalo che connette il cervello con il midollo spinale ed è responsabile per il controllo di molte funzioni basilari come il respiro, pressione sanguigna, lo stato di veglia e l’attenzione.
Curiosamente, anche se non sappiamo esattamente dove sia il nostro ‘io’ all’interno del cervello, sappiamo che una parte del tronco encefalico è il suo ‘interruttore’. Numerose evidenze, infatti, hanno dimostrato che se vogliamo ‘accendere’ o ‘liberare’ il nostro ‘io’ dobbiamo interferire con una particolare regione del tronco encefalico, ovvero il romboecefalo. Le neuroconnessioni tra questa piccola regione del midollo allungato e la corteccia determinano lo stato di veglia, il sonno o lo stato comatoso.
Tuttavia queste informazioni sembrano quasi inutili se paragonate alla complessità del coma stesso.
Perché occuparsi del coma?
Tutti i vari stati di incoscienza sono sintomi di disfunzioni neurologiche severe. Infatti, é buona norma preoccuparsi seriamente ed indagare a fondo se osserviamo una persona che perde conoscenza improvvisamente e senza un alcun motivo apparente. Si potrebbe trattare di narcolessia, epilessia, stati di shock emotivi o patologie meno gravi del coma, ma in ogni caso possono comunque avere degli effetti indiretti drammatici durante la guida, il lavoro o semplicemente mentre si attraversa la strada.
Tra queste patologie sicuramente il coma é tra le più invalidanti sebbene possa essere una condizione transitoria.
Tra le più diffuse patologie che possono causare il coma in modo silente sono da ricordare il diabete mellito, la pressione sanguigna alta, i problemi renali, i disturbi al fegato oppure gli attacchi epilettici. Inoltre, sono da considerare anche l’abuso di alcool, traumi cerebrali, overdose da stupefacenti ed addirittura la carenza di zuccheri.
I sintomi premonitori
Esistono dei sintomi premonitori per il coma, ma purtroppo hanno delle caratteristiche molto diverse, ad esempio il coma può iniziare immediatamente senza alcun sintomo evidente, o si può sviluppare lentamente nel tempo con caratteristiche varie. Generalmente la progressione dello stato di incoscienza e come velocemente si sviluppa sono già dei possibili indizi su cosa l’abbia causato.
Altre variabili che si tengono in conto sono il ritmo del respiro, le funzioni cardiovascolari, le caratteristiche della pelle, problemi evidenti agli arti, i riflessi oculari ed altre cose di questo genere. A volte, specifiche anormalità possono essere utili per identificare il problema cerebrale scatenante. Purtroppo però, nella maggioranza dei casi non si hanno informazioni conclusive, per cui sono necessarie delle indagini strumentali molto approfondite.
Come si può curare?
Sicuramente il trattamento del coma dipende da caso a caso, tuttavia se la causa è sconosciuta, i medici possono dare al paziente un cosiddetto “cocktail per il coma” che può essere utile in alcuni casi di emergenza. Questa terapia preliminare non è fatta di altro che da un insieme di vitamine, zuccheri ed alcuni farmaci; ovviamente non é una terapia efficace e tanto meno universale. Può essere utile per risolvere alcuni casi meno gravi degli stadi comatosi. Le vitamine aiutano i pazienti con problemi nutrizionali o di abuso di alcool, così come gli zuccheri che aiutano i pazienti con un calo di glucosio. La funzione delle altre sostanze presenti nel cocktail é quella di revertire l’azione dei narcotici più diffusi. Ovviamente in una seconda fase d’emergenza, bisogna indagare più a fondo per capire quale sia la causa del coma e trattarlo nel modo più opportuno possibile.
Il caso più intuibile é il coma indotto da un trauma cerebrale. Il rigonfiamento per edema che ne consegue incrementa la pressione intracranica e rallenta il flusso sanguigno in alcune aree con conseguente perdita della coscienza. Una variazione sul tema è un danneggiamento del cervello che causa lo spostamento di alcune aree cerebrali esercitando una pressione sui tessuti circostanti, comprimendo i vasi sanguigni locali. Questo evento particolare, chiamato ‘erniazione cerebrale’, può portare al coma ed in seguito alla morte se non trattato immediatamente.
Ovviamente il risveglio da questo tipo di coma potrebbe facilmente verificarsi spontaneamente in seguito all’abbassarsi della pressione intracranica che si può ottenere per riassorbimento spontaneo, terapia osmotica o chirurgica. La probabilità di recupero dipende ovviamente, dalle zone cerebrali interessante, dalla gravità del danno e dalla prontezza ad iniziare la terapia giusta. In genere questi casi traumatici possono facilmente portare a morte il paziente o ad un rapido recupero, tuttavia, ci possono essere delle rare eccezioni, come nel caso del sig. Donald Herbert, un pompiere andato in coma dopo essere rimasto sepolto sotto un crollo, che dopo 10 anni si risveglia spontaneamente e ritorna in piena attività. Probabilmente è stato il trauma cerebrale a causare il coma, ma é ancora un mistero cosa lo abbia effettivamente risvegliato dopo tutto questo tempo.
Purtroppo sono pochissime le storie con questo lieto fine. Ne é un esempio la sig.ra Christa Smith, andata in coma in seguito ad un attacco cardiaco per poi ‘migliorare’ lentamente fino ad entrare in stato vegetativo. La speranza che questa donna di 50 anni possa migliorare ancora è tanta, perché si è svegliata più volte dallo stato vegetativo ed altrettante volte è ritornata in stato di incoscienza. I parenti stanno ancora con le dita incrociate ed attendono, giorno dopo giorno con il fiato sospeso, qualche novità dall’ospedale.
Coma da intossicazione o infezione
Per il coma da intossicazione, invece, si possono avere dei sintomi che si sviluppano lentamente, da una leggera confusione con sintomi di sonnolenza, e/o ci possono anche essere dei repentini cambi di personalità fino al vero e proprio coma. Purtroppo, ancora oggi non si é chiaro cosa determini precisamente lo stato di coma e quindi non é noto neanche quale sia la procedura migliore per il ‘risveglio’.
Consideriamo tali pazienti come intrappolati nella propria mente, magari da un corto circuito neuronale o da una mancata neurotrasmissione. La cosa interessante é che in molti casi di ‘risvegli’ sono stati somministrati dei farmaci che interferiscono proprio con le neurotrasmissioni centrali. É stato il caso di Amy Pickard che entrò in coma per una overdose di eroina e che poi é stata risvegliata per puro caso dopo la somministrazione di un farmaco ipnotico che altera transitoriamente le neurotrasmissioni del SNC. Il suo coma è durato circa 6 anni e sarebbe potuto durare anche di più se questo farmaco non avesse causato un’interferenza tale da interrompe o alterare il corto circuito neuronale che provocava il coma.
Forse anche per questo motivo in passato si é provato a dare dei cocktail di farmaci per il sistema nervoso centrale con la speranza di riuscire ad alterare lo stato comatoso e causare un risveglio. Purtroppo questi risultati, insieme allo shock elettrico, non hanno mai fornito dei risultati incoraggianti. Quello di Amy é stato un rarissimo caso positivo su un milione di tentativi. Forse é stata usata casualmente la dose o il momento giusto per la somministrazione, oppure il farmaco corretto per quel tipo di ‘blocco’ cerebrale. Più probabilmete era una combinazione di tutti questi fattori ed il particolare stato comatoso della paziente. Di certo non si é mai verificato un altro risveglio dal coma con lo stesso farmaco.
Casi eclatanti
Altri casi eclatanti sono stati Jesse Ramirez e Terry Willis che erano stati dati per spacciati dai medici poiché si trovavano stabilmente in coma da molti anni. In entrambi i casi si pensò di staccare il sondino gastrico per la nutrizione e da lì a pochi giorni Jesse Ramirez uscì dall’ospedale camminando da solo in pieno possesso delle proprie facoltà mentali, mentre Terry Willis è stato ‘meno fortunato’ poiché si è ‘semplicemente’ svegliato dopo 20 anni di coma, e per uscire dall’ospedale ha dovuto usare una sedia a rotelle.
Purtroppo devo sottolineare ancora una volta che i casi citati si possono contare con le dita delle mani. Nella quasi totalità dei casi non c’é la pagina finale del libro, e talvolta non si considerano le sofferenze fisiche dei pazienti in coma per decenni e le sofferenze psicologiche dei parenti. La frase ‘…e vissero tutti felici e contenti’ é sostituita da una lunga via crucis di piaghe, trattamenti, attese snervanti, ed in definitiva da una intrinseca sofferenza che si stenta a descrivere. Forse potremmo impropriamente racchiudere tutto questo nella frase simbolica ‘…a volte penso che sarebbe meglio se…’.
A tal proposito spesso si dimenticano anche altri tipi di storie, come il caso di Sarah Scantlin che in seguito ad un terribile incidente resta in uno stato vegetativo da incubo. Era in grado solo di battere le palpebre, e secondo le analisi il suo cervello era severamente danneggiato da non poter capire quello che succedeva intorno. Ebbene questa donna si ‘risveglia’ dopo 20 anni di coma/stato vegetativo e comincia a parlare, ricorda tantissimi fatti accaduti mentre era in stato di ‘incoscienza’ descrivendo anche la sua terribile sofferenza. Ovviamente non ha recuperato tutte le sue facoltà mentali, poiché i danni cerebrali erano troppo vasti, tuttavia è ancora in grado di ragionare, parlare, muoversi e sta lentamente riprendendosi la sua vita ‘interrotta’ 20 anni prima.
Sono i casi come questi che fanno ri-pensare seriamente al significato di ‘stato di incoscienza’ del coma o dello stato vegetativo e ricordano ancora una volta che il cervello non é del tutto ‘spento’ e perso durante il coma. Questo può dare speranza ad alcuni ed in altri può dare un certo grado di inquietudine per la condizione umana dell’ammalato.
Conclusione
Sicuramente il cervello è un organo estremamente complesso ed ogni suo ‘malfunzionamento’ può essere solo notato; é rarissima la possibilità di comprendere tali fenomeni, ancor di meno correggerli. Spesso ci troviamo come davanti ad un complesso ‘sistema televisivo’ che in qualche caso dà segnali di malfunzionamento. A volte basta un pugno nel punto giusto o una sequenza di tasti per poter riportare il sistema in funzione, tuttavia nella maggioranza dei casi il ‘guasto’ richiede delle risoluzioni più raffinate che ancora oggi non riusciamo a trovare.
Alla prossima
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15 luglio 2010 - 3:35 pm
Preambolo
Nel post precedente ci siamo occupati delle condizioni vitali che rendono discutibile il prelievo di organi da persone ancora in vita. In quei casi si può parlare di eutanasia o di omicidio a seconda del punto di vista. Oggi vedremo, invece, quando questo prelievo é possibile e soprattutto scopriremo che anche questo è un interessante argomento di neuroscienze.
Quando è possibile il prelievo di un organo?
Senza tanti giri di parole, il prelievo é intuibilmente possibile quando il paziente é morto; tuttavia dopo il collasso cardio-respiratorio la maggior parte degli organi si deteriorano in maniera irreversibile e non possono essere riutilizzati. Si rende necessario, quindi, una particolare condizione di morte che conserva almeno parzialmente la vitalità degli organi; una condizione che é relativamente rara.
Per capire bene di cosa parliamo dobbiamo definire grossolanamente quando un paziente può essere definito ‘morto’.
Tutti sanno, almeno per via intuitiva, che un organo o una persona si possono considerare morti quando non è più possibile ripristinarne la normale attività e c’è un progressivo disfacimento delle strutture biologiche, ma in quale momento si muore effettivamente?
Secondo la più antica tradizione pagana e cattolica, un individuo muore quando cessa di battere il cuore (morte clinica), ma oggi sappiamo che uno shock elettrico può farlo ripartire, anche un trapianto o un sistema di pompe può ridare una vita relativamente normale ad una persona con un cuore morto. Secondo i mussulmani è il respiro ad essere la fonte della vita, la morte sopraggiungerebbe con l’ultima esalazione; ma anche in questo caso esistono delle persone in terapia intensiva che possono respirare grazie a delle macchine di ventilazione forzata.
In conclusione tutti questi casi comprendono solo delle formalità non sostanziali per identificare la morte. Possiamo, infatti, ripetere questa analisi organo per organo e non trovare un metodo certo che identifichi l’effettivo passaggio dalla vita alla morte. Lo stesso Karol Wojtyla, papa Giovanni Paolo II, aggiornò la definizione di morte per la chiesa con la separazione dell’anima dal corpo; un momento condivisibile ma difficilmente identificabile.
Negli anni, il nostro mondo burocratico ha classificato la morte secondo tre diversi criteri:
La morte clinica
La classificazione più nota é la cosiddetta morte clinica, ovvero uno stadio clinico precario dove il cuore non batte spontaneamente, a cui può seguire una vera morte se non si riesce ad intervenire efficacemente. In effetti si tratta solo di una definizione ingannevole il cui uso ed abuso dalla letteratura ha dato origine a miti e leggende di tutti i tipi per storie che colpiscono l’immaginario umano. Una persona ‘clinicamente morta’ è solo una persona che non manifesta dei chiari sintomi di vita come il battito cardiaco, la respirazione spontanea e la risposta a stimoli esterni. Tuttavia è noto che questo stadio non coincide con la vera morte poiché può essere indotto e revertito totalmente entro certi limiti temporali.
Paragonare la morte clinica alla vera morte sarebbe come considerare morta una persona che non riesce a respirare. É ovvio che una persona in queste condizioni é ancora viva e, se si riesce a risolvere il problema in tempo, continua ad essere tale senza dover ‘resuscitare’. D’altra parte se il blocco respiratorio si prolunga troppo sopraggiunge un punto di non ritorno che possiamo considerare la morte effettiva.
La morte effettiva
La morte effettiva è il vero passaggio dalla vita alla morte ed è difficilmente identificabile con un unico istante. L’organismo, infatti, può morire tessuto per tessuto o organo per organo in tempi diversi, come anche il disfacimento delle strutture stesse. E’ noto che un paziente morto anche da diverse ore può donare le cornee, poiché le cellule da cui sono composte sopravvivono bene in assenza di ossigenazione, mentre diverso è il caso dei reni, poiché se non sono sufficientemente ossigenati e conservati, collassano entro pochi minuti.
L’argomento è ricco di riflessioni filosofiche, biologiche e pratiche, tuttavia rimane solo un concetto difficilmente identificabile.
Se da un lato è difficile identificare quando avviene il passaggio dalla vita alla morte effettiva, perché gli organi del nostro corpo muoiono in tempi diversi, credo sia anche intuitivo che l’unico organo effettivamente importante per la nostra identità, la nostra memoria e la nostra coscienza sia il cervello. Morto un cuore, lo si può sostituire, così come anche i polmoni, i reni etc etc senza alterare la personalità dell’individuo; è evidente invece che quando muore il nostro cervello l’identità è irrimediabilmente persa. In queste condizioni, tutti i misteri, i ricordi e quello che può essere contenuto in ognuno di noi si disperde in una diffusa necrosi cerebrale, anche se il resto dell’organismo continua a vivere per un po’. Sottolineo che non si tratta solo di pura filosofia sull’identità della persona perché il cervello sovraintende anche una serie di funzioni fisiologiche come il controllo termico, pressorio, ormonale, metabolico, di crescita, di risposta immune etc etc. Senza la ‘sala comandi’ l’organismo per quanto curato in maniera intensiva morirà di lì a breve, poco a poco.
Per queste ragioni si definisce un individuo morto dal punto di vista legale, quando muore il suo cervello, anche se il suo corpo continua a vivere. A differenza della morte effettiva che è solo una definizione concettuale difficilmente identificabile, la morte legale, invece, è un concetto chiaro ed obiettivo. Le informazioni e le tecniche di indagine sulla morte cerebrale appartengono ad un importante campo neuroscientifico fatto di un intenso lavoro.
Le parole che ingannano
Una volta chiarita per sommi capi la definizione di morte, può essere più chiara la definizione di coma irreversibile che si presenta con la morte cerebrale a cui segue la morte dell’organismo per le ragioni sopra descritte. In effetti il coma irreversibile è sommariamente sovrapponibile alla morte legale, le minime differenze possono essere tralasciate in questo post divulgativo.
Bisogna sottolineare che purtroppo il termine ‘coma irreversibile’ é alquanto ingannevole per i non addetti ai lavori, poiché contiene la parola coma che ricorda qualcuno ancora in vita, e la parola irreversibile che potrebbe indurre a pensare ad un coma molto lungo (vedi coma persistente).
A mettere benzina sul fuoco sono le centinaia, se non migliaia, di casi ‘miracolosi’ in cui il paziente é improvvisamente uscito da un lunghissimo coma di decine di anni. Le storie sono poi condite dalla mancanza di speranze dei medici seguita dallo stupore, preghiere, sogni premonitori ed ovviamente la mancanza di spiegazioni scientifiche. Quanta ignoranza in questa confusione. Nessuno sottolinea abbastanza, e ancor di meno, nessuno ricorda mai che tutti questi pazienti menzionati erano in coma persistente, già citato nel post precedente, ed il risveglio o l’evoluzione allo stato vegetativo sono il suo normale sviluppo.
Ovviamente il passaggio da un coma persistente ad un risveglio è un caso molto raro, per cui i medici non danno mai troppe illusioni ai parenti dei pazienti in questo stato. Quando questo succede c’è lo stupore di vedere un caso su un milione e la mancanza di spiegazione scientifica per il risveglio è data dalla mancanza di informazione su cosa tiene in coma una persona e cosa la può svegliare; nulla di miracoloso.
In definitiva mentre un coma persistente è una persona in stato di incoscienza a cui basterebbe un qualcosa, per ora ignoto, per tornare a rivivere una vita ‘normale’, il coma irreversibile é di fatto una tipologia morte. Basti pensare che per quanto intensamente curato, un coma irreversibile, non può mai arrivare ad anni di simil-vita, nella maggioranza dei casi l’organismo muore nel giro di ore, o giorni. Inutile rimarcare che nessun paziente si é mai svegliato da un coma irreversibile.
Il compito del medico è quello di identificare il coma e distinguerlo dal coma irreversibile (o morte legale) e comportarsi di conseguenza. Nel primo caso si assiste il paziente per quelle che sono le attuali conoscenze mediche, nel secondo caso si attiva la procedura della donazione degli organi.
Conclusione
In questo breve post abbiamo introdotto alcuni concetti di morte e li abbiamo distinti dal coma. Abbiamo anche visto che tutte le forme di coma, insieme alla morte clinica, non sono compatibili con la donazione degli organi poiché il donatore è ancora vivo. L’unica condizione che rende possibile la donazione degli organi è rappresentato dalla morte legale, o coma irreversibile, di un paziente che conserva ancora la vitalità degli organi. Questo è ovviamente un campo neuroscientifico di notevole interesse sotto molti aspetti (bioetico, medico, legale, scientifico, filosofico, etc)
Nel prossimo post, se vi farà piacere di leggerlo, vedremo a che punto è la ricerca neuroscientifica in questo campo e soprattutto cosa ci si aspetta dal futuro.
Alla prossima
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28 giugno 2010 - 7:28 pm
Preambolo
Un po’ di tempo fa mi é capitato di discutere con una persona dell’etica medica riguardo la donazione degli organi dei pazienti in coma. In particolare c’erano forti dubbi sul perché alcuni medici stacchino subito la spina per l’espianto degli organi, mentre in altri casi attendano anni. In seguito a questa discussione mi sono accorto ben presto che la maggioranza delle persone non ha una chiara idea di cosa sia effettivamente un coma e quando sia possibile espiantare gli organi. Non entro nel merito delle ragioni, ma credo che per avere una qualsiasi legittima opinione bisogna quantomeno essere certi di conoscere bene l’argomento. Tralasciando i pareri personali che sono propri ed inoppugnabili, ecco quanto segue in termini più o meno tecnici e divulgativi. A voi farvene una opinione.
Definizioni
Come avrete sicuramente intuito, oggi parleremo di un argomento piuttosto difficile, portato alla più ampia diffusione da un evento di cronaca. La parola d’ordine di questo post sarà ‘coma‘, dal greco κῶμα (koma, sonno profondo), che si definisce semplicemente come un profondo stato di incoscienza simile al sonno che però non è suscettibile di risveglio. Da questa parola deriva poi lo stato comatoso che si definisce come un’apparente condizione simil-dormiente in cui l’individuo non è in grado di rispondere agli stimoli esterni.
Le definizioni sono alquanto generiche perché comprendono vari stadi di gravità (profondità del coma) e dobbiamo definire ulteriori limiti per capire meglio.
Cosa NON è il Coma
Ci sono 5 casi che rispondono apparentemente allo stato comatoso ma non sono tali:
- Il sonno non è coma poiché lo stato di incoscienza è solo parziale e facilmente reversibile con un rumore, con il tatto o con un’abitudine.
- La morte che appare come la suddetta definizione, ma é una situazione evidentemente diversa.
- La sindrome locked-in, in cui i muscoli volontari dell’individuo sono completamente paralizzati, e non c’é possibilità di interagire con l’ambiente. Il paziente è pienamente cosciente di sé, sveglio e vigile, ma letteralmente immobile.
- Lo stato vegetativo, dove il paziente appare sveglio, ma non risponde agli stimoli esterni. Le funzioni di base come la respirazione, il ciclo biologico di sonno veglia restano intatte. Raramente possono anche afferrare degli oggetti in maniera istintiva.
- Lo stato stuporoso, un effetto transiente simile allo stato vegetativo, dovuto generalmente ad uno shock. Può essere facilmente interrotto o revertito mediante stimoli che attivino meccanismi istintivi ed irrazionali (es. pizzicotto).
Cosa è il Coma
Una volta definito cosa non è il coma, ora passiamo a capire meglio quale condizione possa essere definita tale.
Nel coma abbiamo una scissione della coscienza dal mondo esterno in maniera simile ad un’anestesia generale. Il meccanismo esatto che spegne i canali di comunicazione tra alcune zone del cervello, e che causa lo stato comatoso, è tutt’ora ignoto; si sa solo che è implicato il danneggiamento o l’inibizione della regione reticolare del romboencefalo. Questa zona del cervello, tra le altre cose, partecipa al ciclo sonno-veglia ed indirettamente partecipa allo ‘spegnimento’ della coscienza durante il sonno. Forse é per questo meccanismo condiviso che nel coma il cervello può percepire incoscientemente il mondo esterno in maniera simile a quanto avviene durante il sonno. Tuttavia, la differenza più significativa tra un paziente che dorme ed uno in coma è che quest’ultimo potrebbe subire un’operazione chirurgica senza rendersene conto e soprattutto senza svegliarsi.
Non tutti i coma sono identici così come non sono simili le cause scatenanti. La metodica più elementare per valutare la ‘profondità’ del coma è la Scala di Glasgow (GCS) che si basa sulla risposta agli stimoli oculari, verbali e motori. Ad ognuno di questi viene assegnato un punteggio la cui somma costituisce l’indice GCS. L’indice può andare da 3 (coma profondo) a 15 (paziente sveglio e cosciente).
Un paziente in coma può ripetutamente svegliarsi, guardare intorno, afferrare qualcosa, magari farfugliare qualche parola e persino muoversi, senza però potersi definire fuori dal coma. C’é da dire, però, che tutti questi sintomi non sono innescati da eventi esterni come ad esempio un rumore, la vista di un oggetto etc, e neppure da un apparente ciclo spontaneo. Ogni condizione fisiologica guidata dall’encefalo é soggetto a stimoli apparentemente casuali ed imprevedibili, persino la respirazione in queste persone è soggetto a discontinuità. E’ da sottolineare che l’individuo è vivo, ha una coscienza, la sua memoria e tutto quanto sia parte della sua personalità resta intatta; c’è solo un problema nel ‘svegliarlo’ o comunque collegare la sua coscienza con gli stimoli esterni.
Cosa succede ‘dopo’?
Una volta inquadrata la patologia per schemi intuitivi ed in maniera molto generale ora vediamo cosa può portare al coma e cosa avviene dopo.
Tra le cause più comuni che possono portare al coma ci sono le intossicazioni (stupefacenti, alcool, tossine etc), le alterazioni del metabolismo (ipoglicemia, iperglicemia, chetoacidosi) o danni e malattie del sistema nervoso centrale (ictus, traumi cranici, ipossia, edema etc). L’induzione in coma, specie se traumatico, può portare direttamente alla morte nella fase acuta, oppure può seguire due vie più o meno lunghe:
- recupero della coscienza con un ritorno parziale o totale alla normale vita quotidiana
- evolvere nello stato vegetativo.
Tranne per il coma post-traumatico e quello indotto farmacologicamente, lo stato comatoso raramente persiste per più di 4 settimane, e per lo più il ripristino delle normali facoltà mentali è spontaneo. Se ne deduce che il risveglio è molto probabile nelle prime 4 settimane, anche se il recupero può non essere totale. Quando il coma supera abbondantemente le 4 settimane si definisce ‘coma persistente’ poiché è noto che le probabilità di risveglio spontaneo diventano molto scarse, anche se non impossibili. La maggioranza delle persone ‘miracolosamente’ uscite dal coma, infatti, appartengono a questo gruppo.
Ad ogni modo dobbiamo sottolineare che un paziente in coma NON è morto e quindi non è possibile effettuare alcun espianto di organi. Il risveglio, seppur estremamente improbabile, è ancora possibile come anche il ritorno ad una vita ‘normale’.
Purtroppo l’alternativa più frequente al ritorno ad una vita normale dal coma è l’evoluzione allo stato vegetativo. Questa complessa situazione, già definita prima in maniera intuitiva, é facilmente distinguibile dal coma stesso. Nello stato vegetativo, infatti, le funzioni biologiche tornano ad una ‘apparentemente normalità’, l’individuo mostra uno spontaneo ciclo di sonno veglia, può osservare degli oggetti intorno, ed in alcuni casi può camminare, piangere, ridere ed altro. Raramente ci possono essere delle condizioni esterne che possono alterare queste funzioni biologiche.
Alcuni definiscono questi pazienti come dei gusci vuoti senza volontà e senza sentimenti. In alcuni casi questo corrisponde ad una obiettiva realtà, come ad esempio nelle persone che hanno subito un grave danneggiamento cerebrale delle funzioni superiori. Tuttavia ciò non é vero per tutti gli altri pazienti.
Anche in questo caso il ritorno miracoloso ad una vita ‘normale’ dopo lo stato vegetativo è relativamente raro ma non impossibile. Chi è affascinato dalla ricerca e dalla filmografia potrebbe vedere il film “Risvegli” con Robin Williams e Robert De Niro, basato su fatti realmente accaduti, che esplicano bene il risveglio di un gruppo di persone da uno stato vegetativo a cui erano state tolte tutte le speranze da tantissimi anni. Purtroppo ancora oggi non abbiamo ancora trovato un metodo efficace ed universale per sbloccare il corto circuito cerebrale che avviene in questi pazienti, ma c’é sempre la speranza di ritrovare un metodo in futuro.
C’é da dire che l’espianto di organi equivale ad uccidere il paziente o ad una eutanasia, secondo il vostro punto di vista, per cui il medico é impossibilitato a ‘staccare la spina’ per espiantare gli organi.
Conclusioni
In questo breve post introduttivo abbiamo definito il coma per via intuitiva ed esaminato alcune condizioni tratte dall’esperienza senza entrare nel merito dell’etica. Abbiamo visto anche che l’espianto di organi di questi pazienti è alquanto discutibile poiché non sono ancora morti e in opportune condizioni potrebbero essere recuperati.
Nel prossimo post, invece, vedremo quali sono le condizioni che la medicina considera opportune per l’espianto degli organi.
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