Viaggio nella biologia cellulare e molecolare

Inside the Cell

3 March 2008 - 22:59

L’isotopo che aiuta

Una delle domande che prima o poi tutti ci siamo posti conoscendo il mondo biochimico o biologico-molecolare; è :
come si fa a riconoscere il metodo di sintesi delle sostanze metaboliche o i metodi di degradazione e le cinetiche enzimatiche? Come facciamo a immaginare la forma dei cromosomi, a riconoscere il cromosoma 1 dal 2 ecc.
i metodi ovviamente non sono ipotizzati solo sulla carta, vero è che oggigiorno i metodi computazionali , informatici ci sono di grande aiuto, ma quando siamo completamente a digiuno di intermedi biomolecolari, quando non si sa da che parte incominciare; la “radioattività” ci dà una mano, come diceva tempo fa uno slogan a tutti noi molto noto.
Infatti il riconoscimento delle sostanze intermedie di una catalisi oppure di un processo metabolico o anabolico si conosce per brevi passi, effettuando dei piccoli approcci e unendo tassello dopo tassello (facendo delle radiografie intermedie) possiamo avere alla fine un quadro completo di tutto il nostro “percorso” metabolico.
Bè il caso vuole che le cose non sono così semplici come si direbbero, infatti per conoscere la via metabolica di una sostanza si utilizzano dei metodi poco invasivi per la cellula anche perché non devono essere perturbate le condizioni fisiologiche della cellula.
Uno dei metodi per conoscere una via metabolica è di introdurre un metabolita marcato con un isotopo quali ad esempio un C13, ad esempio può essere utilizzato un gruppo glucidico come il glucosio in cui un atomo di C è stato sostituito con uno marcato, successivamente si andranno ricercare le altre sostanze che presenteranno una attività radio, così abbiamo determinato i possibilili metaboliti del glucosio.
Tale metodica chiamata di diagnosi nucleare non si ferma solo all’individuazione dei processi metabolici, ma trova ampio impiego in medicina.
Un metodo ampiamente studiato e impiegato consiste nell’approccio con un chelante bifunzionale (Bifunctional Chelating Agent, BFCA). Non vorremmo parlare sempre delle stesse cose, ma il caso vuole che la chimica biologica, spesso, si avvale di questi metodi; il chelante bifunzionale presenta da un lato un set coordinativo in grado di stabilizzare un metallo radioattivo, dall’altro un gruppo funzionale per l’ancoraggio covalente della biomolecola, che può essere diretto oppure mediato da uno spaziatore (linker), a dare il derivato BFCA(-linker)-BM. La scelta accurata del BFCA è uno degli aspetti fondamentali nella progettazione di radiofarmaci target-specifici.

In diagnostica ad esempio vengono utilizzati i cosiddetti radiofarmaci che sono delle sostanze radioattive in grado di legarsi e accumularsi sui tessuti bersaglio quali ad esempio organi interni come la tiroide e studiare, tramite visualizzazione di una lastra, la struttura dell’organo.

Una dei nuovi approcci clinici in ambito di medicina nucleare si basa sull’uso di globuli bianchi marcati, i globuli bianchi come bene o male tutti sappiamo hanno funzione immunitaria, e quindi si accumulano in settori in cui è in atto un processo infiammatorio, ciò è utile alla diagnostica dello studio di processi infiammatori in atto, questa tecnica si chiama “scintigrafia”.

Viene ad esempio utilizzata quando si vogliono conoscere lesioni dell’apparato osseo, oppure dell’apparato nervoso.

Oppure è una tecnica utilizzata anche per diagnosticare se l’attività farmacologia antibiotica in atto è stata efficace.
Comunque a mio avviso una delle future applicazioni degli isotopi, è la diagnostica tumorale, in particolare delle metastasi tumorali, infatti utilizzando un trasportatore specifico possiamo evidenziare la location delle metastasi tramite scintigrafia, questo (come vedremo in seguito, nei prossimi post) è possibile, utilizzando dei trasportatori specifici che riconoscono delle cellule tumorali.

Tags: analisi biomolecolare, chelanti bifunzionali, citologia, immagini molecolari, istologia, scintigrafia
18 February 2008 - 20:58

Chelanti endogeni

Visto i commenti che sono saltati fuori in merito ai composti chelanti, mi sembra giusto fare un po’ il punto della situazione con questi composti semplici funzionalmente ma dagli effetti fondamentali. Un tipico esempio di chelazione nei processi biochimici fisiologici è l’emoglobina, una proteina che contiene al suo interno dei gruppi –eme cioè delle strutture peptidiche (globina) contenenti, chelato, un atomo di ferro, e come tutti sappiamo la funzione del ferro legato alla globina e la formazione della emoglobina è il meccanismo fondamentale di trasporto dell’ossigeno alla cellula. Altro chelante endogeno, naturale, che la cellula da sola produce è la lattoferrina.La lattoferrina e’ una proteina chelante il ferro che e’ interessata in numerosi meccanismi biologici. È una proteina basica appartenente alla famiglia delle ferritine “non eme” cioè prive del gruppo eme, (polipeptide chelante il ferro), queste proteine, sono in grado di legare il ferro a PH neutro o alcalino e lo rilasciano a PH acido. Sono sintetizzate da particolari strutture esocrine come le cellule ghiandolari mammarie, e altri cellule secretive quali: lacrime, sudore, la bile, il liquido seminale e il succo pancreatico. Viene accumulata nei granulociti, e praticamente le ghiandole di tutti la classe dei mammiferi riescono a produrre questa proteina.

A questo punto corre in mente una domanda! ma perché la cellula produce lattoferrina? Cioè, qual è la funzione della lattoferrina? Perché il gene che codifica questa proteina si trova in particolare nelle cellule e ghiandole mammarie? Evidentemente visto che la molecola non contiene ferro, la sua funzione non sarà sicuramente quella di trasportarlo, o evidentemente di trasportare ossigeno. Anzi! La sua funzione è proprio quella di eliminare il ferro dal tessuto circostante nella quale si trova. Essa agisce legandosi e assorbendo il ferro, sostanza fondamentale per il nutrimento dei batteri; questi ultimi, privati del cofattore, muoiono. Questo meccanismo viene ormai utilizzato o sfruttato in farmacologia in quanto i batteri, privati dal ferro, sono costretti ad abbandonare le colonie, che spesso tendono a formare, diventando così più vulnerabili alle terapie farmacologiche. Infatti, i biofilm, hanno una massa batterica tale, da rendere inefficaci anche i più potenti antibiotici: questo ha sviluppato una tecnica farmacologica nell’integrazione o associazione degli antimetaboliti (antibiotici) con le lattoferrine.

Ma vediamo come è formata questa relativamente piccola, quanto importante proteina. Locus dello ione carbonatoLa struttura tridimensionale della lattoferrina umana, costituita da una singola catena polipeptidica di 692 aminoacidi, è organizzata in due lobi globulari, corrispondenti rispettivamente ai residui aminoacidici 1-333 (lobo N-terminale) e 345-692 (lobo C-terminale), uniti da una struttura ad alfa-elica comprendente i residui aminoacidici 334-344. Ciascuno dei due lobi della proteina è costituito da due domini. La proteina è strutturata in modo tale da disporre di un singolo sito di legame per il ferro per ogni lobo, situato in ciascuna delle facce interne dello spazio intra-dominiale. Le proprietà leganti della lattoferrina si sviluppano attraverso l’azione combinata di 4 residui aminoacidici identici per ciascun lobo (Asp58, Tyr93,Tyr193 e His254 nel lobo N-terminale, Asp396, Tyr434, Tyr527 e His596 nel lobo C-terminale) ed includono, oltre allo ione ferrico, un controione (normalmente un CO32-), sinergico per ogni Fe3+ e con la stessa attitudine ad accettare una gran varietà di cationi, in particolare Zn2+ e Cu2+ in luogo del ferro Questo set di ligandi è chimicamente e geometricamente ideale per un alta affinità di legame reversibile con il ferro e la presenza di un elemento non proteico (CO3 2-) sembra essere una condizione necessaria sia ai fini del legame, che del rilascio del ferro. Infatti, attraverso la neutralizzazione della carica positiva di un residuo di arginina (Arg121 nel lobo N) e della alfa-elica associata, l’anione CO32- facilita l’aggancio del ferro ai quattro ligandi raggruppati insieme sulla superficie laterale del dominio N2. Inoltre la protonazione dello stesso anione CO32- rappresenta probabilmente il primo step nel rilascio del ferro a bassi valori di pH.Una successiva protonazione della His in posizione 253, indebolisce ulteriormente il legame con lo ione ferrico, cui segue una dissociazione dei ligandi e una separazione dei domini, che realizzano il completo rilascio del ferro. Sito canonico di legame per il Fe3+ osservato nella lattoferrina. I due lobi della proteina nativa (non legata al ferro) possono assumere conformazione aperta o chiusa, e passare da una forma all’altra per effetto dei comparabili livelli energetici che caratterizzano i due stati. Generalmente le differenze nella struttura terziaria della proteina riguardano il lobo N-terminale, che nella apo-lattoferrina assume una conformazione aperta, mentre il lobo C-terminale resta chiuso. Probabilmente, il legame con il ferro si realizza quindi proprio nella forma aperta dell’apo-proteina, poiché essa consente un più agevole accesso agli ioni Fe3+ liberi o complessati. Coniugata al ferro si caratterizza invece per una conformazione chiusa dei due lobi.

Attualmente si conoscono le sequenze aminoacidiche, determinate sia a livello proteico sia deducendole dalla sequenza nucleotidica, della lattoferrina umana, costituita da 692 aminoacidi. La lattoferrina umana possiede due potenziali siti di glicosilazione, uno in ciascun lobo. I residui glicosidici che contraddistinguono la proteina sono rappresentati essenzialmente da esossammine (fino all’1%) e zuccheri esosi (fino al 3%), in particolare mannosio comunemente legato ad un residuo terminale di fruttosio. L’elevato grado di glicosilazione proteica sembrerebbe attribuire alla lattoferrina una elevata resistenza all’attacco delle proteasi e all’abbassamento del pH, e sebbene possa significativamente influenzare l’interazione con molecole ligandi, la glicosilazione sembrerebbe non interferire con molte proprietà funzionali della lattoferrina. La concentrazione della lattoferrina varia ampiamente nelle diverse specie. In tutte le specie, comunque, tale concentrazione è più elevata nel colostro e può aumentare notevolmente durante una infezione intramammaria.

Tags: antibiotici, chelanti, ferritina, proteina
13 February 2008 - 10:14

Mi presento, sono Vincenzo

» di in: Varie

Salve a tutti io sono Vincenzo Messina e pare che, indegnamente, da oggi affiancherò o aiuterò Lorenzo in questo blog.

Sono laureato in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche all’università di Catania, con una tesi sulla sperimentazione di due farmaci chelanti il ferro.

emoglobina in 3D con in evidenza i 3 gruppi eme

Adesso sto portando avanti un altro progetto di analisi predittiva del tumore all’utero (in corso d’opera) con dei ragazzi di farmacologia cellulare e molecolare.

Le mie intenzioni per questo BLOG, già reso importante e interessante da Lorenzo, sarà sicuramente quello di analizzare un po’ l’attività bio-molecolare della cellula e magari gli sviluppi farmacologici che ne potrebbero scaturire, perché no, magari analizzare l’origine di patologie a livello molecolare, spero di avere tanti amici, collaboratori, interessati all’aspetto “Inside the Cell”.

Tags: blog, inside-the-cell