Uno sguardo ai meccanismi della mente

Inside Neuroscience

9 dicembre 2009 - 11:30 pm

L’Orecchio: l’AP come nuova risorsa (Parte III)

L’Orecchio: l’AP come nuova risorsa (Parte III)

Continuo di: L’Orecchio: Piccoli Dettagli (Parte I)

Continuo di: L’Orecchio: Assoluto o Relativo? (Parte II)

Preambolo

Nei precedenti post 1 e 2 ci siamo occupati di due argomenti apparentemente casuali: le origini delle note musicali e di questa strana caratteristica chiamata Orecchio Assoluto. Ora ci occuperemo della correlazione tra le due cose e vedremo cosa ne uscirà fuori.

Buona Lettura

Qual è l’interesse neuroscientifico dell’AP?

cervelloLeggendo i post precedenti sembra esserci un interesse puramente musicale nell’AP e nelle origini delle note stesse, ma in realtà c’è un discreto interesse neuroscientifico. L’orecchio assoluto, infatti, è un chiaro esempio di come un’abilità possa essere così strettamente correlata ai processi neuronali del cervello fino ad ora ignoti.

Ora cercheremo di concentrarci su dove possa poggiare l’AP per i suoi effetti.

In altre parole, da cosa dipende l’AP in un soggetto?

Differenze della struttura dell’orecchio?

La prima domanda è se la percezione della musica intesa come struttura dell’orecchio e la generazione del segnale che arriverà al cervello è la stessa in soggetti AP e soggetti non AP. I dati scientifici obiettivi indicano che entrambi i gruppi sperimentali hanno delle orecchie che generano gli stessi segnali e non c’è alcuna differenza significativa nella qualità (risoluzione) del suono percepito.

Suono differito?

Orecchio AssolutoUna cosa fondamentale per la percezione è sempre la velocità di flusso del segnale percettivo dalla periferia al cervello e poi, non meno importante, la simmetria dell’effetto stesso. Anche una lieve differenza tra le velocità dei segnali che raggiungono l’emisfero destro e sinistro può portare a ‘malessere’ o cattiva percezione ed interpretazione della sensazione.

Nel caso dell’orecchio c’è una fisiologica differenza di velocità del segnale dai sensori del suono fino agli emisferi, in pratica in tutti noi il segnale sonoro percepito raggiunge prima l’emisfero sinistro e dopo l’emisfero destro, questo tempo intercorso tra le due percezioni possiamo definirlo ‘differimento’.

Nei soggetti non-AP c’è un notevole aumento del tempo di differimento, in altre parole il segnale sonoro percepito raggiunge l’emisfero destro con maggiore lentezza rispetto ai soggetti AP.

Questa analisi è addirittura in accordo con gli studi fatti sulla mancanza di specularità delle capacità di identificazione del suono da entrambe le orecchie. I soggetti non-AP sbagliano più frequentemente quando ascoltano il suono solo con l’orecchio sinistro rispetto all’orecchio destro, suggerendo che è proprio l’emisfero destro ad essere più inefficace nell’identificazione del suono.

Differenze cerebrali?

Gli studi neuroanatomici hanno mostrato da tempo che i soggetti AP mostrano una maggiore asimmetria cerebrale nell’estensione tra regioni di destra e di sinistra in alcune aree che sono strettamente correlate alle funzioni verbali, come ad esempio nel planum temporale. C’è anche uno studio che dimostra una corrispondenza tra la grandezza assoluta del planum temporale destro e la possibilità di essere un AP. Anche questi studi contribuiscono ad attribuire all’emisfero destro un ruolo principale nell’AP.

Causa o effetto?

Sappiamo bene che il cervello è un organo plastico e che può ipertrofizzare o atrofizzare in relazione con l’esercizio o la stimolazione. Non è chiaro dunque se le differenze morfologiche cerebrali tra i soggetti AP e soggetti non-AP determinano di per sé una differenza nelle capacità cognitive oppure è la capacità di capire le note che ipertrofizza alcune aree cerebrali.

Rispondere a questo punto non è facile.

Differenze funzionali?

PET-imageCome abbiamo visto, basarsi sulle dimensioni e sulle velocità di conduzione del segnale nervoso non basta, bisogna anche collocare la funzionalità cerebrale con l’AP. Per fare questo è possibile utilizzare una tecnica che permette di visualizzare le zone del cervello messe in funzione al momento dell’esecuzione di un compito preciso; trattasi della tomografia a emissione di positroni (Pet).

Attraverso esperimenti fatti con questa tecnica, si è visto che la corteccia prefrontale dorsolaterale sinistra, area coinvolta nella memoria associativa condizionale, é iperattiva fra gli “assolutisti” in fase di ascolto. Il tipo di memoria di quest’area cerebrale sarebbe proprio quella che ci si aspetterebbe quando si devono dare risposte diverse ad altrettanti stimoli diversi, come avviene nell’AP.

Aggiungendo questo forte indizio con i precedenti, potremmo dedurne che il cervello sinistro contribuisce con una memoria quasi istintiva allo stimolo, mentre il cervello destro contribuisce all’associazione sonora.

Come avviene il riconoscimento delle note?

RiconoscimentoUn piccolo spiraglio emerge dalle ricerche fatte. Partendo dal presupposto che non ci sono differenze nella risoluzione delle frequenze dei suoni percepiti (qualità), potremmo ipotizzare delle differenze nell’abilità di riconoscimento del nome della nota, piuttosto che il suono stesso. Bhé, insomma, io potrei vedere un conoscente, individuarlo e sbagliarne il nome, oppure potrei vedere un conoscente e percepirlo come un’altra persona e quindi dare un nome diverso. Non è facile capire quali dei due meccanismi è fallace nei soggetti non-AP tra il riconoscimento della frequenza e l’associazione del nome della nota.

Recentemente, un lavoro pubblicato su Plos One ha dato degli interessanti sviluppi a tal proposito. Partendo dal presupposto che il nome delle note è perfettamente casuale (vedi post precedente), ci dovrebbero essere le stesse difficoltà nel riconoscere tutte le note Do, Re, Mi… ma questo non è vero.

Seguendo la logica, infatti, ci si aspetterebbe che un soggetto confonda più frequentemente suoni che hanno una frequenza molto simile a quella di riferimento es Do-Re (261-293 Hz) oppure Sol-La (392-440 Hz). Nella realtà, invece, è più frequente la confusione tra note che hanno le stesse vocali nel proprio nome, es Do-Sol (261-392 Hz) rispetto a Do-La (261-440 Hz) sebbene non ci sia alcuna maggiore o minore somiglianza nella frequenza della nota stessa.

A supporto di questo strano comportamento bisogna dire anche che quando il soggetto non-AP è portato a scegliere tra due risposte, migliora la propria performance se sono presenti due note con vocali diverse Do-La, ed ha quasi un 50% di performance quando sono presenti due note con vocali uguali Do-Sol. Anche questi risultati sarebbero incomprensibili senza tener conto di un effetto psicologico ed interpretativo causato dal nome delle note stesse piuttosto che da una propria percezione. Secondo uno studio fatto su più di 2.000 persone, la nota più facilmente riconosciuta da soggetti AP e soggetti non-AP è il Re, probabilmente alla luce di questi dati potremmo interpretarlo come molto probabile, poiché è l’unica nota della scala musicale ad avere la vocale ‘e’ nel nome, quindi c’è minor rischio di confusione. D’altra parte le note diesis o bemolle presentano una frequenza di riconoscimento tra le più basse.

Come si comportano gli anglosassoni?

Tenendo per buoni questi dati scientifici, potremmo osservare gli anglosassoni che non hanno dato alle note alcun nome, rimanendo quindi ancora con le lettere dell’alfabeto C, D, E, F, G, A, e B. Le possibili confusioni tra le note sono le stesse dei latini? La risposta è no.

Si mantiene la capacità di discriminare il Do (C) con il La (A), ma non il Do (C) con il Re (D). Indagando bene, le note C, D, E, G e B condividono egualmente la vocale ‘/i:/’ nella pronuncia inglese e quindi sono egualmente confuse nei soggetti non-AP e presentano anche una eguale maggiore frequenza di errore nei soggetti AP. Le note F (pronunciata con /e/) e A (pronunciata con /ei/) sono le note maggiormente riconosciute dagli anglosassoni, probabilmente perché presentano anche vocali uniche.

Come si comportano gli asiatici?

Gli asiatici hanno note con nomi totalmente diversi da quelli a cui siamo abituati a pensare. Lì purtroppo tutti i nomi delle note presentano la stessa vocale, generalmente la ‘/a/’, anche se si usano tonalità diverse per i nomi. Sebbene queste condizioni non soddisfino a pieno la teoria delle vocali, questa teoria è l’unica a spiegare molto bene la diversa capacità delle note di essere riconosciute e soprattutto la diversa capacità di riconoscere le note tra popolazioni geneticamente molto simili e che usano solo annotazioni musicali diverse.

Conclusioni

Ovviamente non c’è alcuna presunzione di raccontare una verità assoluta, né di essere certi di aver interpretato tutto. L’AP è un fenomeno che andrebbe indagato più a fondo, fino alle radici verbali, dove probabilmente scopriremo nuovi processi cerebrali di formazione del linguaggio, di memoria e di interpretazione che tutt’oggi ci sfuggono.

Per ora immaginerei un mondo in cui ciascuna nota avesse un nome con una vocale diversa… magari in questa popolazione ci potrebbe essere una percentuale di soggetti AP maggiore rispetto a quella dell’attuale popolazione mondiale (0.0001%).

Alla Prossima

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  • maddalena bertante - 15 marzo 2010 # 1

    l’orecchio assoluto
    Io ho una nipotina con orecchio assoluto,cene siamo accorti abbastanza presto ,perchè i genitori entrambi musicisti, ma privi di orecchio assoluto, le hanno fatto ascoltare tanta musica,dando il nome alle note ,ci siamo così accorti che riconosce le note, anche 3 note insieme,non sbaglia mai ,qualsiasi suono le venga proposto lo traduce in note,devo precisare che ha sentito musica continuamente anche quando era nella pancia della mamma che è una cantante ed ha cantato fino a poche ore prima della sua nascita. Inoltre ,purtroppo, la bimba a causa di una malattia genetica della retina è praticamente cieca per cui i rumori per lei sono un mondo che tra l’altro gli permettono di riconoscere le persone ed evitare dei pericoli, così il tatto e l’odorato.Non so cosa si debba dedurre da ciò ,ma in lei ci sono un po’ tutte le condizioni di cui si parla in questo articolo.

  • Neuroscience - 15 marzo 2010 # 2

    Ti ringrazio per il tuo contributo

    n.

  • enrico - 30 marzo 2010 # 3

    sono musicista, suono il piano e fin da piccolo son sempre riuscito a riconoscere le note all’istante senza ragionamenti.
    La domanda che volevo fare era perchè le note alterate non sono così istintive come le altre, che relazione cè?
    Almeno, personalmente le note alterate richiedono quel piccolo passaggio in più per riconoscerle (spesso facendo riferimento alle 7 note non alterate).
    Sono molto curioso, spero in una risposta!
    Grazie, saluti
    PS bell’articolo!

  • franco - 9 luglio 2010 # 4

    articolo molto interesante…ho trovato utili anche i tool online per lìear trainng qui:http://gargolla.blogspot.com/2010/07/le-3-migliori-applicazioni-online-per.html