Uno sguardo ai meccanismi della mente

Inside Neuroscience

16 aprile 2010 - 2:37 pm

Memento

Preambolo

Oggi vi scrivo, ahimè, dal letto poiché ammalato. Con tanto tempo a disposizione e poco altro da fare ho scritto un nuovo post, spero per voi, interessante. Oggi parleremo della memoria e dei suoi aspetti più curiosi. La parola chiave di oggi è ‘Memento’, un termine latino ed inglese che significa “ricordati” e che tra l’altro è anche un titolo di un film utile da commentare.

Memento

Il film Memento, diretto da Christopher Nolan nel 2000, parla di un ragazzo di nome Leonard Shelby impegnato nel vendicarsi di alcuni criminali che violentarono ed uccisero la moglie durante una rapina andata male. Tentando di salvare la moglie dai due malviventi, Leonard rimane gravemente ferito alla testa, e  tale trauma gli causa l’impossibilità di accumulare nuovi ricordi (‘amnesia anterograda’). Leonard ricorda proprio tutto quello che è successo poco prima dell’incidente, ma è incapace di fissare nuovi ricordi. Per immedesimarsi meglio nel protagonista, il montaggio del film replica proprio il suo punto di vista. In pratica il film procede su due binari: le scene si susseguono alternativamente dall’ultima in ordine cronologico, poi alla prima, poi la penultima, poi la seconda, e così via. In questo modo lo spettatore insieme al protagonista vive il momento sospeso nel tempo e senza poterlo inquadrare in un contesto cronologico. L’intreccio, montato lungo tutto il film, verrà sciolto solo alla fine con una scena chiave. Consiglierei la visione di questo film agli appassionati di puzzle, ed a quelli che hanno un’ottima memoria.

Henry Gustav Molaison

Tra le altre cose il protagonista del film ricorda dettagliatamente la storia di un certo Sammy che ha avuto il suo stesso problema di memoria. I frammenti di questa storia nella storia sono sparsi lungo tutto il film, ed è volutamente confusa da molte scene di pochi secondi che insinuano dubbi e perplessità nello spettatore.

Una cosa molto curiosa è che la storia di Sammy narrata dal protagonista nel film è ispirata da un fatto vero e che ha fatto molto eco nel campo delle neuroscienze. Si tratta di Henry Gustav Molaison, sicuramente uno dei più grandi contributori nel campo delle neuroscienze. Come avete capito, non si tratta di un grande ricercatore e neanche di un coraggioso eroe, bensì si tratta di una persona davvero molto sfortunata, che suo malgrado ha rivoluzionato il campo nelle neuroscienze degli ultimi 50 anni. La sua storia e la sua patologia è stata studiata dettagliatamente da neurologi, psichiatri e da tanti studenti di medicina per tantissimi anni. Per capirne l’importanza basta dire che su di lui ci sono centinaia di pubblicazioni su importanti riviste scientifiche internazionali che vanno dagli anni ’50 fino a pochi anni fa. Henry è stato definito da tutti il più importante paziente nella storia delle neuroscienze. Lo stesso prof. Eric Kandel, uno dei più grandi neuroscienziati moderni, definì lo studio di Brenda Milner sul paziente H. M. come una pietra miliare nella storia delle neuroscienze moderne per capire la memoria umana e le patologie ad esse correlate.

Andiamo con ordine

La storia di Henry, noto alla ricerca come paziente H.M., incomincia nel 1935 all’età di 9 anni con un incidente ciclistico che gli procurerà delle pericolose crisi epilettiche. All’età di 27 anni è costretto ad una operazione chirurgica per ridurre le crisi epilettiche e gli svenimenti che avrebbero potuto portarlo alla morte. C’è da dire che a quel tempo non c’erano ancora dei farmaci per trattare efficacemente le crisi epilettiche e tanto meno si conoscevano le dettagliate funzioni cerebrali. A quel tempo il campo delle neuroscienze era molto rudimentale, anche se in piena crescita esponenziale. Fu il chirurgo William Scoville, dell’Hartford Hospital a rimuovere parte dei lobi temporali mediali per tentare di curarlo. In seguito all’operazione Henry perse, oltre ad una parte dei lobi temporali mediali, circa due terzi dell’ippocampo, il giro paraippocampale e l’amigdala.

Il risultato dell’operazione fu un successo dal punto di vista delle crisi epilettiche ma i 2 cm di ippocampo che rimasero si atrofizzarono velocemente a causa dell’interruzione di alcune vie nervose della corteccia entorinale. Al risveglio dall’operazione ci si rese subito conto dei nuovi problemi che Henry aveva acquisito.

Da quel 1 Settembre 1953 la sua memoria si fermò e si aprì davanti a lui un lungo ed inconsapevole calvario tra tanti medici e ricercatori che se lo contesero per anni. Henry, a distanza di decine di anni ricordava perfettamente tutta la sua storia fino all’operazione chirurgica, ricordava tutti i dettagli della sua famiglia, dei suoi problemi e della sua storia, ma era incapace di riconoscere i medici e gli amici che sono stati accanto a lui per i successivi 55 anni dopo l’incidente. Ha partecipato, senza ricordarsene, a centinaia di studi ed ha aiutato a capire tantissime caratteristiche della memoria fino ad allora del tutto inattese.

Per inquadrare meglio il periodo storico, bisogna considerare che agli inizi del 1900 il campo delle neuroscienze era pura alchimia, non c’erano colture in vitro di neuroni, niente TAC, niente NMR, niente PET etc… Non c’era modo di guardare dentro il cervello di una persona viva e tanto meno potevano essere prevedibili gli effetti di contusioni ed operazioni chirurgiche alla testa. A quel tempo, mentre Freud sviluppò la contestata psicoanalisi, i neurologi si affacciavano all’immensità del campo delle neuroscienze.

La memoria

La teoria che andava per la maggiore all’inizio del secolo scorso era che la memoria fosse un’entità unica distribuita in modo uniforme in tutto il cervello, per cui si pensava che un trauma cerebrale poteva intaccare una determinata zona del cervello rendendo inaccessibile una parte della memoria passata. Da questo si poteva anche dedurre che eliminando una parte dell’encefalo si poteva rimuovere parte dei ricordi passati senza intaccare la funzionalità della memoria stessa. Non ci si deve meravigliare, quindi, se all’inizio il caso clinico di Henry fu accesamente discusso da chi pensava che fosse l’incidente traumatico che causò l’epilessia a condizionare il suo cervello oppure ad errori post-operatori. Tutti i test proposti e poi svolti su Henry dimostrarono che il paziente aveva una memoria pienamente intatta e funzionante in ogni aspetto fino al giorno dell’incidente per cui non è stata rimossa o resa inaccessibile la zona in cui la memoria vi è contenuta. Il problema mnemonico riguardava solo il meccanismo che fissa i nuovi ricordi.

La complessità della memoria

Presto i ricercatori però si accorsero che il problema era molto più complesso di quanto si pensasse, sebbene il paziente non ricordava alcunché di quello che aveva fatto, era in grado di imparare nuove cose. Si sapeva, infatti che Henry andava in bicicletta quando era ragazzo e la sua memoria aveva fissato il meccanismo prima dell’incidente, quindi era normale che riuscisse a farlo anche dopo. Tuttavia alcuni medici sapevano anche che Henry non aveva mai visto il mare e tanto meno sapeva nuotare. I medici provarono ad insegnarglielo e con grande sorpresa notarono che riusciva ad imparare la nuova tecnica. Ogni giorno Henry si stupiva nel vedere una piscina per la prima volta, e sorprendentemente scopriva anche di saper già nuotare. Lo stesso succedeva per esercizi di abilità.

I risultati dimostravano chiaramente che la memoria poteva essere divisa grossolanamente in memoria a breve termine ed a lungo termine, con meccanismi indipendenti. Tuttavia, l’altra scoperta ancora più interessante é che esiste anche una ulteriore suddivisione della memoria in procedurale e cognitiva.

Le sorprese non finiscono qui, poiché mentre il mondo si chiedeva quale fosse il limite tra la memoria breve termine quella a lungo termine, e poi cercava di dare una definizione alla memoria procedurale, alcuni ricercatori scoprirono che Henry era in grado di disegnare una piantina topografica della sua abitazione. Sicuramente fu una nuova scoperta sensazionale, poiché Henry non è mai stato in quella casa prima dell’incidente. Fu coniata così anche un altro tipo di memoria, detta spaziale, che interagisce con le altre tipologie di memoria pur rimanendone separata.

Se pensate che le suddivisioni della memoria finiscano qui siete ben lontani dalla realtà, proprio pochi anni fa sono state definite 2 nuove sottocategorie. E’ stato identificato un paziente, definito C.L., che soffre di una selettiva amnesia anterograda. Il paziente C.L. è in grado di avere una discreta capacità di acquisire nuove semplici informazioni oggettive. La cosa incredibile è che la sua capacità di fissare i ricordi correlabili con il tempo o con lo spazio è praticamente nulla. Nel giro di diversi mesi, infatti, i ricercatori sono stati in grado di insegnargli nuove parole ed aumentare le sue informazioni di cultura generale, però il paziente non è riuscito a manifestare alcun progresso nel ricordare dove fosse stato e cosa fosse successo pochi minuti prima. I ricercatori hanno definito così una memoria episodica, correlata con il tempo, ed una memoria semantica, correlata con semplici informazioni indipendenti dal contesto temporale. Ancora oggi si discute sull’esistenza reale di queste sottocategorie ed i limiti per definirle.

Purtroppo è improbabile trovare un modello animale in cui studiare la memoria a questi livelli di categorizzazione, attualmente le uniche possibilità per capire queste effimere differenze sono limitate dalla scoperta di pazienti affetti da forme di particolari di amnesia e da esperti ricercatori che riescano ad identificarle. È ipotizzabile quindi che le ulteriori suddivisioni e categorizzazioni della memoria sono solo all’inizio del loro percorso,

Riprodurre il fenomeno?

Si può riprodurre l’amnesia anterograda? E’ noto che alcuni farmaci e l’intossicazione da alcool possono riprodurre l’amnesia anterograda in maniera transitoria, ma non danno un’idea chiara del meccanismo molecolare su cui si basa. Oggi si sa che i circuiti neuronali presenti nei lobi temporali mediali sono coinvolti in questa patologia, ma si sa anche che si può ottenere lo stesso deficit mediante il danneggiamento selettivo di altre aree cerebrali. C’è da aggiungere che l’interruzione dei circuiti cerebrali dei lobi temporali non causano sempre dei danni alla memoria anterograda, quindi si tratta di una condizione non necessaria e neanche sufficiente. In definitiva, nonostante gli innumerevoli studi sui circuiti di queste regioni cerebrali, il processo di memorizzazione e di recupero della memoria rimane un grande mistero. Ancora oggi, i neuropsicologi e gli scienziati discutono su quale sia il deficit responsabile dell’amnesia anterograda. Sono state poste diverse teorie: difficoltà nella codifica delle nuove informazioni per la memoria, accelerazione dell’eliminazione dei ricordi appena acquisiti, oppure mancato accesso ai ricordi recenti.

La morte

Il martedì sera del 2 dicembre 2008, Henry Gustav Molaison si spegne in una clinica quasi dimenticato nonostante il suo incredibile contributo alla medicina ed alla civiltà mondiale. Le persone a lui vicine per ricerca o per la cura ricordano Henry come la persona più gentile, paziente, e di buona volontà che avessero mai incontrato. Era sempre sorprendente quando più volte al giorno si presentasse a persone a lui vicine da più di mezzo secolo, e quando raccontava del suo presente, in cui Truman era il presidente degli USA e la televisione era una ancora una nuova invenzione.

La dottoressa Corkin, che gli é stato vicino fino agli ultimi momenti definendolo un membro della sua famiglia, ha scritto un libro intitolato “una vita senza memoria” (“A Lifetime Without Memory.” “You’d think it would be impossible to have a relationship with someone who didn’t recognize you, but I did.”).

Alla morte, il cervello di Henry é stato accuratamente analizzato e dissezionato in circa 2400 fette in diretta web, per le generazioni future. Un ultimo ed inconsapevole contributo alle neuroscienze che spero non venga dimenticato.

Conclusione

Oggi é abbastanza chiaro che esistono tanti tipi di memoria e tanti meccanismi di immagazzinamento e di recupero. Le diverse aree cerebrali ed i circuiti in esse contenuti sono coinvolti in compiti specifici ma spesso difficilmente catalogabili secondo schemi oggettivi.

Nel prossimo post vedremo perché c’è un’oggettiva difficoltà nella comprensione i questi circuiti e come questi interagiscano con la memoria stessa.

Alla prossima

Tags: Casi clinici, hadicap, Memoria, Mente, Percezione, Psicologia
21 dicembre 2007 - 11:59 pm

Il camaleonte

Nel 1983 il genio Woody Allen porta sul grande schermo una storia strana che diventerà un cult. Trattasi del film comico Zelig che ha poi ispirato il famoso omonimo spettacolo italiano dei comici del venerdì sera.

Per chi non avesse mai visto o sentito parlare di questo film, si può definire come un “documentario” comico sulla vita di uno strano individuo, di nome Leonard Zelig (interpretato da Woody Allen), che privo di una propria memoria cerca inconsapevolmente di acquisire l’identità di chi gli sta intorno. Una storia ambientata nel 1920, quindi in bianco e nero, che racconta tra l’altro anche una piccola storia d’amore tra il protagonista e la dottoressa che lo tiene in cura (interpretata da Mia Farrow). La scrittura di questa storia si basò sulla pura fantasia di Woody Allen, ma oggi a distanza di tanti anni  si scontra all’improvviso con la realtà di uno strano caso clinico neurologico.

Nella psichiatria, infatti, esistono numerosi casi “strani”, e non sto parlando del classico tipo che si identifica in Napoleone, Cleopatra oppure uno delle migliaia di personaggi più o meno noti; questi casi, infatti, presentano una identificazione univica di un personaggio rifiutando la propria identità personale per un tempo prolungato. Nell’ambito della patologia psichiatrica c’è anche un’altra classificazione che va sotto il nome di dipendenza ambientale, anche detta sindrome d’uso o comportamento di utilizzazione, in cui i pazienti imitano i gesti dei loro interlocutori o tendono ad usare tutti gli oggetti che hanno davanti.

Sulla rivista inglese Neurocase, tre noti psichiatri napoletani (Giovannina Conchiglia, Gennaro Della Rocca e Dario Grossi) hanno descritto un caso, che hanno avuto recentemente tra le loro mani, unico nel suo genere. Il loro paziente è malato di un disturbo comportamentale che è stato definito Zelig-like syndrome. Quello che distingue questo paziente dai casi precedentemente riportati è la sua totale e onnipervasiva immersione in un contesto con un adattamento eccessivo a ruoli, e non a semplici stimoli, proposti di volta in volta dall’ambiente che lo circonda. Il tutto si manifesta con la perdita della capacità di mantenere costante la propria identità.

Il paziente in questione è un ex-professionista napoletano di 65 anni (con cui mi riferirò con il nome di fantasia Leonard) che in seguito ad un arresto cardiaco, che gli ha provocato un’ipossia cerebrale con danni al lobo fronto-temporale, ha dei disturbi comportamentali che lo fanno assomigliare molto al personaggio ideato da Woody Allen.

Ovviamente si tratta di un caso senza precedenti ed unico nel suo genere; Leonard riesce inconsapevolmente a trasformarsi nel suo interlocutore diventando medico quando interagisce con un medico, esperto di cocktail quando si trova di fronte ad un barman ed esperto di culinaria quando è in contatto con dei cuochi. Ovviamente non si tratta di un semplice caso di pazzia come si potrebbe dedurre da queste semplici frasi, l’immersione di Leonard nel contesto in cui di volta in volta si trova è pressoché totale. Gli psicologi hanno eseguito una serie di test dai risultati sorprendenti. Quando era barman, a chi gli chiedeva come si preparasse un determinato cocktail, ha risposto di essere ancora in prova: «Sono qui da due settimane, spero di avere il posto fisso». In cucina era un cuoco provetto: «Sono uno chef specializzato in menu per diabetici», ha spiegato senza un’ombra di esitazione, assolutamente immedesimato nella sua nuova identità. L’unico ruolo in cui non si è calato è stato, chissà perché, quello di addetto alla lavanderia della casa di cura. Ma per il resto, Leonard ha “rubato” il mestiere a tutte le persone che aveva davanti.

Una sorta di trasformismo psicologico coatto, di camaleontismo involontario che lo rende di volta in volta un perfetto giocatore di baseball in mezzo ai campioni di baseball, un trombettista nero in una banda di jazz, un pellerossa tra i pellerossa, un ebreo tra gli ebrei, uno psicanalista fra gli psicanalisti e cardiologo fra i cardiologi. In ogni occasione Leonard cerca anche di usare un linguaggio appropriato al ruolo che riveste. La dott.ssa Conchiglia ha descritto le domande “trabocchetto” a cui ha sottoposto il paziente, per esempio al cardiologo che gli ha chiesto a quale patologia corrispondesse una determinata anomalia del battito cardiaco, Leonard ha replicato in modo generico ed evasivo ma quanto più appropriato possibile, del tipo “La domanda è troppo complessa, dipende da paziente a paziente”. Da perfetto Zelig, Leonard usa inconsciamente una formidabile arma di difesa contro il suo involontario trasformismo: cancella totalmente dalla memoria il ruolo che ha appena sostenuto quando si immedesima in uno nuovo. Quando è un medico non è mai stato un barman o un libero professionista, nè sa dire nulla di quando sosteneva di saper cucinare alla perfezione.

La dott.ssa Conchiglia ci tiene a precisare anche che, durante i numerosi e repentini cambi di identità, l’uomo-camaleonte, non perde mai il suo carattere e la sua personalità; quel che maggiormente colpisce, piuttosto, è la capacità di adattarsi ai contesti sociali più diversi in cui viene a trovarsi. C’è da dire anche che il paziente non ha mai una completa amnesia, Leonard riconosce e ricorda quasi sempre la moglie ed i figli che non lo perdono di vista per un solo istante.

Probabilmente non guarirà mai, anche se le terapie in day hospital a cui è sottoposto hanno consentito un lieve miglioramento delle sue condizioni. Anche se le crisi sono meno frequenti, l’uomo-camaleonte non è certo in grado condurre un’esistenza normale, e di conseguenza anche la sua autonomia è limitata.

Questo caso napoletano ha avuto un certo eco nel mondo delle neuroscienze e non solo, recentemente nella serie americana Dr. House, portata anche in Italia su canale 5, uno degli autori ha preso ispirazione da questo caso per una delle nuove puntate (titolo inglese “Mirror mirror”) che arriverà prossimamente anche in Italia nella quarta serie. Il burbero medico diagnostico si troverà infatti di fronte ad un paziente con una sindrome clinica simile a quella recentemente identificata (la Giovannini’s syndrome). Lascio a voi vedere come andrà a finire.

Tags: Casi clinici, Memoria, Mente, Neuroscienze, Psicologia