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Le sei domande per le primarie

Queste sono le sei domande che abbiamo scelto per i cinque candidati del centrosinistra (Bersani, Puppato, Renzi, Tabacci, Vendola) per testare il progetto. Le stesse domande saranno poste ai candidati delle primarie del PDL e di tutti i partiti/movimenti che sceglieranno il loro leader con questo strumento.

  Ricerca in Italia Sicurezza territorio Ambiente ed energia Bioetica OGM Medicine Alternative Media
Bersani 3,7 su 52,3 su 52,0 su 51,5 su 54,8 su 54,1 su 53,2 su 5
Puppato 1,0 su 51,7 su 51,6 su 51,0 su 51,0 su 51,0 su 51,2 su 5
Renzi 2,0 su 52,0 su 51,0 su 52,1 su 51,3 su 52,0 su 51,8 su 5
Tabacci 1,7 su 52,1 su 52,0 su 51,0 su 51,0 su 51,0 su 51,5 su 5
Vendola 1,6 su 51,0 su 52,5 su 53,9 su 51,2 su 51,3 su 51,9 su 5
Risultati ottenuti dalle votazioni del sondaggio

1. Ricerca in Italia

Quali politiche intende perseguire per il rilancio della ricerca in Italia, sia di base sia applicata, e quali provvedimenti concreti intende promuovere a favore dei ricercatori più giovani?

Bersani

L'Italia, rispetto ai partner europei, dedica alla ricerca una percentuale bassa del PIL. Anche il numero di ricercatori rispetto alla popolazione è troppo basso e occorre quindi investire sul reclutamento di ricercatori, non possiamo competere sui bandi europei alla pari proprio perché la popolazione dei ricercatori italiani si sta assottigliando a causa del blocco parziale del turn over che ha impedito un ricambio adeguato. Ultimamente c'è stata un'ulteriore riduzione dell'impegno pubblico nella ricerca, ma quel che salta agli occhi è l'esiguità degli investimenti privati (sia nazionali che provenienti dall'estero). L'investimento privato che scommette sulla valorizzazione della ricerca italiana è un investimento in innovazione, che per definizione è rischioso. Da questo rischio, però si creano nuove fonti di ricchezza, nuova occupazione e competitività per il Paese. Sostenere l'imprenditorialità che parte dalle nostre scienze e tecnologie non vuol dire solo semplificare la nascita o lo sviluppo di start-up, ma affiancarle nel loro percorso di crescita, da inquadrare in un contesto più ampio, coerente con la politica industriale del Paese. Quando sono stato Ministro, i miei provvedimenti sono stati finalizzati a creare un ponte fra ricerca e impresa. Oggi il sistema di valutazione dei progetti di ricerca industriale impiega anni e fa prevalere la valutazione amministrativa e burocratica rispetto alla sostanza e qualità del progetto.

Dobbiamo investire in ricerca e nell'innovazione basata sulla scienza e tecnologia, ormai strettamente connesse. L'Italia deve rimanere un paese manifatturiero e industriale, un paese che fa della ricerca la chiave per ottenere produzione di alto livello: facendo leva su ciò che già oggi fa vendere le nostre macchine utensili in tutto il mondo oppure ci fa contribuire alle grandi scoperte presso il CERN: qualità, valutazione a livello internazionale, autonomia della ricerca rispetto alla politica e alla pubblica amministrazione. Dobbiamo attirare i nostri giovani vincitori di progetti europei in Italia garantendo loro spazio e indipendenza, favorendo la rigenerazione delle università, promuovendo la mobilità geografica e sociale dei nostri giovani, dobbiamo trasferire le persone, le competenze dal mondo della ricerca a quello dell'impresa. Non esiste la distinzione fra la ricerca applicata e ricerca di base, esiste solo la buona ricerca, quella che fa crescere il paese e produce avanzamenti della conoscenza, genera nuova ricchezza e ha dunque un impatto sulla società, diventa cioè innovazione sociale.

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Puppato

Il tema della ricerca in un Paese quale l’Italia, che non è in condizione di competere se non innovando continuamente e lavorando per la qualità non per la quantità, è il cuore del problema.

Ci siamo avvicinati solo nel 2011 ad investire 1 punto e mezzo di Pil su questo, quando l’obiettivo Eu è almeno il 3% e i Paesi che hanno affrontato se non superato meglio la crisi, dimostrano come sia correlato il tasso di investimento in materia e la loro capacità di reagire alla crisi. Ben oltre il 4% la Germania, ancora oltre Olanda e i Paesi Scandinavi. Uno studio dell’Europa per l’innovazione quantifica in 3.700.000 i posti di lavoro disponibili in zona Eu raggiungendo il 3% di Pil destinato alla ricerca, sono non meno di 450mila posti di lavoro qualificati per l’Italia… Questo intervento attiverebbe risorse private che ne aumenterebbero di molto l’impatto sul mondo del lavoro, se solo lo Stato risulterà capace di fare sinergia con le imprese. La formula è quella di un Paese che non solo ritiene prioritario per il suo futuro investire in ricerca ma libera il mondo della ricerca dalle baronie e dalla precarizzazione, ne fa strumento di forte progresso sociale ed economico e lavora a stretto gomito con le imprese, guardando fuori dai propri confini per individuare priorità e direttrici di ricerca. Creare centri di ricerca, caso per caso, solo pubblici o per ricerca applicata in sinergia con le imprese, sostenere quelli che ci sono e funzionano, rendere esclusivamente meritocratico il metodo di assunzione dei ricercatori, eliminare la precarizzazione e aumentare i redditi dei ricercatori secondo parametri chiari e trasparenti è il mio obiettivo. Ma non basta.

L’innovazione fa coppia con i brevetti e la prototipazione e qui il richiamo necessario a un’Europa più unita e capace di fare politiche di intervento coordinate è forte. Un dato per tutti: in Europa registrare e mantenere un brevetto in 27 diversi Paesi con diversi sistemi etc.. costa 168.000€ in USA costa 4.000€ … Difficile competere se la situazione resta questa. C’è molto da lavorare sul tema, ma sarà entusiasmante vederne gli effetti.

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Renzi

L'Italia spende per l'Università e la Ricerca, in rapporto al Pil, la metà di Francia e Germania, un terzo degli Stati Uniti, il numero dei nostri ricercatori è molto più basso e la loro età media drammaticamente elevata, ma questo non è il solo problema. Il reclutamento dei ricercatori è spesso viziato da logiche localistiche che penalizzano il merito. Le risorse pubbliche vengono disperse tra centri di eccellenza e strutture improduttive, mentre la ricerca privata è appannaggio solo di un piccolo numero di grandi gruppi industriali. Non è un caso quindi se l'Italia, che in molti settori dell'industria e del commercio è ai vertici mondiali, non è ugualmente rappresentata ai vertici delle classifiche delle istituzioni universitarie e di ricerca. Nelle istituzioni estere che si trovano ai vertici di tali classifiche, invece, lavorano molti ricercatori italiani, che non hanno trovato una posizione adeguata nel nostro Paese, mentre - salvo rarissime eccezioni - non si trovano ricercatori stranieri nelle istituzioni italiane. Se molti talenti italiani vengono reclutati altrove significa che il nostro sistema formativo continua tutto sommato a funzionare.

L'Italia è intessuta di cultura e conoscenze sedimentate in una storia millenaria che anni di mancati investimenti per la scuola non sono riusciti a cancellare. Il fatto che il saldo dei cervelli, la graduatoria delle università e il bilancio dei brevetti siano per noi negativi, ci dice che il nostro sistema della ricerca va potenziato e migliorato.
Le nostre proposte mirano a mettere a punto un sistema di valutazione delle università e a sostenere quelle che producono le ricerche migliori. I dipartimenti universitari che reclutano male devono sapere che riceveranno sempre meno soldi pubblici. Deve essere chiaro che chi recluta ricercatori capaci di farsi apprezzare in campo internazionale ne riceverà di più. È un risultato che si può ottenere usando indicatori quantitativi sulla qualità della ricerca prodotta sul modello dell'Anvur (che va migliorato) con il parere di esperti internazionali autorevoli e fuori dai giochi. L'obiettivo è avere una comunità scientifica meno provinciale, che esporta idee e attrae talenti.
Proponiamo inoltre di introdurre incentivi fiscali per i contributi alla ricerca universitaria, mediante la detrazione dalla base imponibile di quanto donato alle università o a singoli dipartimenti e una tassazione agevolata per chi investe negli spin-off universitari. La copertura finanziaria può derivare dalla razionalizzazione delle agevolazioni esistenti.

Bisogna poi istituire un fondo nazionale per la ricerca che operi con le modalità del venture capital e sia in condizione di finanziare i progetti meritevoli al di fuori delle contingenze politiche.

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Tabacci

Le politiche italiane della ricerca sono affette dalla nota sindrome del consenso diffuso per cui tutti a parole attribuiscono la priorità alla ricerca, ma solo per undici mesi l'anno, dimenticandosene però proprio nel mese dedicato dal Governo e dal Parlamento alla Legge Finanziaria, ora Legge di Stabilità, anche se, naturalmente, se si vuole essere seri non si può non tenere conto della compatibilità di bilancio. E ricordo, ad esempio, che proprio nelle ultime sessioni di bilancio alla Camera ho proposto di devolvere alla ricerca quote consistenti dei rimborsi elettorali ai partiti, ma i miei emendamenti in tal senso non sono stati approvati. In ogni caso le questioni concrete da affrontare possono essere raccolte lungo tre linee: quantificazione delle risorse da dedicare, logiche di attribuzione e regole per il loro impiego.

Relativamente alla quantificazione delle risorse da dedicare:
- premesso che è modesto in Italia il totale investito (poco più dell'1% del PIL) a fronte di una media Europea pari a oltre il doppio, occorre tener presente che mentre lo scarto è contenuto nell'investimento pubblico (in Italia circa lo 0,7 % del PIL contro 1% circa di media europea), diventa drammatico (dell'ordine di 0.4 % contro 1%) nel confronto sugli investimenti privati. Non è decisiva l'accuratezza o meno di queste cifre, che pur variano nei singoli anni e riflettono anche qualche incertezza e difformità nel confronto internazionale sui criteri di calcolo adottati, mentre è inequivocabile il quadro che ne risulta: la nostra struttura produttiva basata sulle PMI non ha, nemmeno in momenti più favorevoli dell'attuale nel quale molte imprese sono a rischio sopravvivenza, forza sufficiente a investire in ricerca, né può averla , salvo rare eccezioni (controprova ne è la circostanza che le poche grandi industrie high-tech esistenti in Italia hanno livelli di investimento in R&D allineati con gli standard internazionali). Occorre allora un'azione pubblica che tenga conto della situazione e la prospettiva non può che essere l'adozione di un percorso pluriennale di allineamento dell'investimento pubblico ai livelli UE e del numero di ricercatori per abitante (o per unità di PIL), di stimolo degli investimenti privati in R&D, e di promozione della sinergia pubblico privato

- Più specificamente, vanno riprese esperienze quali i Programmi Nazionali di Ricerca e i Progetti Finalizzati avviate negli anni '80 perseguendo, però, non una confusa azione di accorpamento delle strutture organizzative degli enti di ricerca, come è stato proposto anche recentemente fortunatamente senza esito, ma un coordinamento sugli obiettivi; non si può prescindere da un'azione di programmazione anche perché troppi Ministeri agiscono singolarmente in Italia sul fronte dell'indirizzo programmatico (e impropriamente anche gestionale) di uno o più enti di ricerca "strumentali" (un termine ambiguo, che configura un recinto e un ruolo circoscritto e predeterminato) esercitando per dirla in "burocratichese" "la vigilanza" (termine sgradevole) senza alcuno sforzo serio di coordinamento con realtà analoghe sotto l'egida di altri Ministeri. Quando si è passati, ad esempio, dal Ministero per il Coordinamento della Ricerca Scientifica e Tecnologica al Ministero per l'Università e la Ricerca, si è guadagnato il "portafoglio", cioè un budget proprio, ma si è perso ogni ruolo di coordinamento che, anziché essere trasferito - per esempio alla Presidenza del Consiglio - è stato semplicemente dimenticato (e ancora oggi non si percepisce nemmeno quanto sarebbe indispensabile invece un coordinamento)

- vanno promosse donazioni dei privati per la ricerca, oggi ancora poco privilegiate sul piano dello sgravio fiscale, anche perché se opportunamente sollecitati gli Italiani rispondono generosamente; mentre, attualmente, tutto viene lasciato ad uno spontaneismo frammentato che rischia di disaffezionare anche le fasce più sensibili della pubblica opinione

- va definita una strategia di valorizzazione dei brevetti (e più in generale della proprietà intellettuale), superando la sproporzione tra la capacità del Paese di produrre conoscenze e quella di trarne profitto

- la UE dovrebbe inoltre impegnarsi di più sull'integrazione delle potenzialità di ricerca dei paesi membri e non limitarsi ad un proprio, se pur rilevante, programma con risorse che valgono comunque poco più del 5% di quanto i paesi dell'UE spendano con fondi (e visioni) nazionali; è lecito domandarsi che ne è stato della tanto declamata costruzione della "European Research Area": c'erano sicuramente più coraggio e visione all'inizio dell'avventura europea quando si costruivano infrastrutture internazionali oggi lasciate colpevolmente decadere - si pensi a Ispra - di quanto ve ne siano oggi che, pomposamente, si chiama ERC (European Research Center) un meccanismo di finanziamento di singoli progetti di ricerca, certo encomiabile e importante, ma che non costituisce un'infrastruttura, ovvero un centro di Ricerca nel senso vero del termine. Per di più occorrerà perfino vigilare affinché il passaggio dalla formula del Programma Quadro alla nuova formula denominata Horizon 2020 non si traduca in un'ulteriore riduzione delle ambizioni europee di puntare realmente sulla ricerca come fattore di sviluppo; un tempo, ad esempio, si costruiva la grande collaborazione EUREKA che rispondeva agli sforzi tecnologici degli USA di Reagan, mentre ora di fatto anche quel disegno è abbandonato a se stesso, mentre non solo gli USA e il Giappone, ma anche la Corea e la Cina diventano sempre più protagonisti nel settore high-tech. Per venire a tempi più recenti, che ne è stato della tanto declamata strategia di Lisbona sulla quale si riponevano tante speranze?

Con riferimento ai criteri di attribuzione rilevano tre aspetti: ricerca di base verso ricerca applicata, priorità tematiche e soggetti da mobilitare:

- per quanto riguarda l'equilibrio base vs applicata (per la verità una terminologia un po' antiquata e causa a volte di fraintendimenti) può essere un criterio guida la ripartizione adottata dalla Commissione Europea per il VII Programma Quadro Comunitario che ha visto il 15% destinato alla ricerca a tema libero (cosiddetta curiosity driven), un altro 15% circa destinato allo sviluppo di infrastrutture hardware e software di valenza multi-disciplinare e multi-programmatica e il 70% destinato alla cosiddetta cooperation, cioè alla costruzione di capacità coordinate tra più soggetti, non solo di diversi paesi, ma anche di diversa natura (espresse dal mondo scientifico, dal mondo industriale, ma anche dal mondo della domanda qualificata per esempio in ambito sanitario o ambientale per interventi dimostrativi dell'effettiva rispondenza delle soluzioni proposte); l'ultima partita, che è di peso prevalente, si basa sulla costruzione di piattaforme tecnologiche in particolare mirate alle tecnologie critiche qualificanti (core enabling technologies);

- la strumentazione concettuale e l'esperienza pratica dei Programmi Quadro vanno riprese, personalizzandole all'Italia, e applicate in un Piano Nazionale della Ricerca almeno quinquennale mantenendo del modello comunitario la caratteristica di far ricorso a bandi in competizione che prevedano l'integrazione di risorse umane e finanziarie di provenienza diversificata; tra le positività di questo meccanismo ci sarebbe quella di costruire e rafforzare le "squadre" italiane in grado di competere favorevolmente con gli interlocutori europei, anche perché complessità e dimensione dei nuovi progetti UE che sostanziano Horizon 2020 non sono adatte a soggetti di piccole dimensioni e troppo specialistici;

- per quanto riguarda i temi, tre dovrebbero essere i criteri guida: a) la risposta alle grandi sfide (ambiente, energia, salute biotecnologie sono non a caso evocate nelle domande predisposte alle quali aggiungerei trasporti e in generale logistica e Information and Comunication technologies) b) l'aderenza alle priorità concordate in sede europea; c) le eccellenze nazionali da difendere e sviluppare .

Sul fronte delle regole per l'impiego delle risorse allocate le normative attuali non sono condivisibili e vanno incisivamente migliorate partendo da alcune scelte di fondo:

- passare dall'attuale approccio basato sulla prescrizione di minuziose regole su comportamenti e procedure che le strutture pubbliche di ricerca possono o debbono seguire al riscontro dei risultati conseguiti;

- sostenere il decollo delle iniziative di valutazione delle strutture di ricerca e dei singoli ricercatori;

- far uscire l'assegnazione delle risorse finanziarie, a cominciare dal cosiddetto Fondo di Finanziamento Ordinario dell'Università o Contributo Ordinario dello Stato agli enti Pubblici di Ricerca, dalle sacche delle quote storiche (finora rivisitate solo marginalmente) e attribuire all'esito della valutazione sostanziali, anzi decisivi effetti sull'entità assegnata a ciascun soggetto in stretta correlazione con parametri oggettivi, quali il numero dei ricercatori e la natura della strumentazione necessaria, ma soprattutto in correlazione con i risultati conseguiti, altrimenti la valutazione sarebbe fine a se stessa; dobbiamo evitare che lo strumento della cosiddetta spending review invece di essere un'opportunità per la riqualificazione della spesa si limiti a mettere nuovi vincoli su quantità e modalità di spese delle risorse (al riguardo va osservato che le rigidità procedurali e i tagli "orizzontali" per tipologia di spesa stanno per dare un colpo esiziale alla possibilità per le strutture di ricerca italiane di svolgere ruoli di leadership e coordinamento in progetti multilaterali, faticosamente conquistati, che domandano invece agilità e tempestività di spesa)

- introdurre l'autonomia nella gestione delle ancorché magre risorse assegnate accompagnata, come detto, da rigorosa valutazione dei risultati, secondo la prassi internazionale

- accelerare in misura sostanziale i tempi di decisione sulla concessione di finanziamenti; è inaccettabile che l'entità annuale del Contributo ordinario dello Stato venga comunicata all'Ente di Ricerca destinatario quasi alla fine dell'esercizio o che la valutazione preventiva di una proposta progettuale duri alcuni anni (è evidente che gran parte anche delle migliori proposte divengano superate nel frattempo).

Va tenuto presente anche che efficaci e credibili meccanismi di selezione programmatica e di attribuzione delle risorse e della loro gestione, toglierebbero anche argomenti a chi, nel mese della Legge di Stabilità cui accennavo in apertura, finisce con l'avere gioco facile adducendo l'impossibilità di investire in ricerca a scapito di altre esigenze ritenute di maggiore necessità.

Altro tema su cui occorrerebbe riflettere riguarda il trasferimento di competenze sull'innovazione tecnologica, e in parte anche sulla ricerca, alle Regioni, che ha creato più problemi che risultati positivi: il federalismo utilizzato come manifesto ideologico dalla Lega, che un po' tutti i partiti hanno voluto inseguire, ha generato problemi e perdita di competitività in questo come in molti altri settori della vita economica e sociale del Paese.

La soluzione della questione "giovani ricercatori" può risultare oltre che dalle dinamiche su programmi e risorse di cui sopra, da interventi più mirati quali l'indizione di concorsi seri e scaglionati con una tempistica certa; dalla rimozione delle percentuali inaccettabili sul rimpiazzo del turn-over; dalla riserva di quote dedicate in bandi per il finanziamento di progetti di ricerca e più in generale la responsabilizzazione delle istituzioni di ricerca sulla risorsa umana; da scambi internazionali. Del resto proprio la cosiddetta "fuga dei cervelli", da una parte segnala la qualità della nostra formazione superiore (o almeno di una parte di essa) ma dall'altra evidenzia la carenza della capacità di valorizzare un investimento in formazione di alto livello sostenuto dal nostro paese. In una visione di integrazione internazionale, al contempo inevitabile e proficua, l'esodo dei cervelli cesserà di essere un problema quando ci sarà equilibrio fra chi sceglie di andar via e chi sceglie dall'estero di venire in Italia. Questo significa essere competitivi: poter offrire opportunità di lavoro attraenti e credibili evitando di chiuderci in protezionismi senza senso.

Il rilievo e le complessità delle questioni poste motivano infine la proposta di tenere dopo tanti anni una Conferenza nazionale sulla ricerca e sull'innovazione come momento di ascolto, riflessione e concertazione.

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Vendola

Guardando all'Italia bisogna fare l'esatto contrario di quanto è stato fatto dai recenti governi.

La ricerca ha bisogno di nuove idee e di persone preparate e motivate. Oltre a un'istruzione e formazione universitaria di qualità, occorre creare un ambiente adatto ad accogliere i giovani ricercatori, come auspica la Carta dei ricercatori europei approvata dalla Commissione Europea nel 2005. Aumentare i fondi per la ricerca di base e applicata per raggiungere gradualmente la media europea del 2% rispetto al PIL (oggi siamo alla metà) ed il 3% entro il 2020 (Horizon 2020). Una parte rilevante di questo incremento deve andare ad eliminare il blocco del turn-over nelle Università e negli Enti Pubblici di Ricerca. C'è bisogno di un piano straordinario di assunzione degli attuali ricercatori precari e dei neo-laureati, con un reale meccanismo di tenure track, stanziando, da subito, i fondi per l'eventuale ingresso in ruolo.

Per invertire la tendenza, tutta italiana, a espellere le competenze nazionali (neo-laureati e dottorati) senza attrarne dall'estero, è urgente: rendere più trasparente la governance delle Università e degli Enti di Ricerca, (per esempio garantendo la rappresentanza negli organi direttivi a tutte le figure professionali, incluse quelle con contratti a termine); aprire la strada sia alla partecipazione autonoma dei giovani ricercatori a bandi di progetto dedicati (come ci insegna l'esperienza del Consiglio della Ricerca Europeo) sia alla possibilità di ricoprire ruoli di responsabilità primaria nella gestione dei gruppi di ricerca; affrontare la questione della ricerca privata, vera grande assente nel nostro paese. Per questo bisogna creare le condizioni per favorire la creazione di imprese ad alto contenuto di innovazione e ricerca e per stimolare le imprese esistenti ad investire sui giovani ricercatori piuttosto che su nuovi capannoni come spesso è stato fatto in passato.

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2. Sicurezza Territorio

Quali misure adotterà per la messa in sicurezza del territorio nazionale dal punto di vista sismico e idrogeologico?

Bersani

L'ultimo terremoto in Emilia conferma una triste statistica: in Italia c'è un evento distruttivo ogni sei anni; la Maremma sommersa di questi giorni testimonia che le alluvioni sono ormai diventate ordinarie. Ci sono vittime e danni enormi. E' stato calcolato dal Servizio Studi della Camera dei Deputati un costo di 135 miliardi di euro, a valori attuali, degli ultimi cinque terremoti prima di quello abruzzese. Bisogna decidere di spendere i soldi prima delle tragedie, non provare a farlo dopo, sempre in una situazione di emergenza. E anche Scienza e Tecnica devono essere chiamate con largo anticipo per definire diagnosi e terapie adeguate alla sicurezza del territorio, ma con commissioni indipendenti dalla politica con un ruolo consultivo, non si può chiedere agli scienziati di prevedere i terremoti ma di esprimere valutazioni e raccomandazioni su come monitorare e gestire il territorio al fine di prevenire i disastri. Anche le strutture pubbliche di protezione civile vanno orientate verso la prevenzione, ripensando il modello organizzativo e riunificando competenze troppo frammentate. Mentre si correggono gli errori del passato, bisogna impegnarsi a non ripeterli in futuro, fermando ad esempio il dissennato consumo di suolo e opponendosi a ogni politica a favore dei condoni, come quelle promosse dalla destra ogni qualvolta è stata al governo.

Per il mio governo la messa in sicurezza del territorio sarà la più importante opera pubblica da realizzare nel Paese. Imposteremo una strategia di lungo periodo e passeremo subito all'attuazione con tre priorità: investimenti per la sicurezza delle scuole, interventi sulle situazioni a più alto rischio sismico e idrogeologico anche derogando selettivamente al patto di stabilità degli enti locali; incentivi fiscali a favore di cittadini e imprese per l'applicazione delle nuove tecnologie alle costruzioni e al territorio. Sul piano della cultura di governo bisogna uscire da una logica dell'emergenza, che ha i suoi costi, spesso abnormi e poteri straordinari, che possono favorire il potere e gli abusi di pochi, per realizzare un progetto di intervento coordinato e preventivo che si concentri sulle priorità che ho indicato. Occorre un programma decennale, dotato di risorse certe necessarie per finanziare le misure di prevenzione in gran parte già individuate.

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Puppato

Il ripetersi di alluvioni e frane dovrebbe averci fatto ormai capire da tempo che non siamo di fronte a eventi eccezionali ma a uno stato di conclamato dissesto idraulico e geologico di una parte consistente del territorio italiano. I cambiamenti climatici sono l’acceleratore al problema, il primo ostacolo da rimuovere è quello rappresentato da una “cultura dell’emergenza” che ci fa intervenire solo a posteriori, con costi in molti casi doppi e tripli solo per risarcire parzialmente danni enormi, senza parlare dei morti e del danno civile e morale che i cittadini subiscono in tragedie di questa portata. Al centro del mio programma politico e della mia idea di lavoro vi è la vera, unica e impellente Grande Opera che serve al nostro Paese: un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio. Vale 2.5% di PIL e 40 miliardi di euro, secondo stime del Ministero per l’ambiente. A conti fatti si tratta di un investimento che, se inserito in un piano organico di prevenzione, vedrebbe rivolte verso la manutenzione del territorio i costi oggi sostenuti per danni frutto di incuria e negligenza. Inoltre permetterebbe di lavorare Stato e Regioni assieme al fine di recuperare oculatamente i fondi Europei disponibili per progetti coordinati aventi questo obiettivo. Tutto questo significa lavoro che si attiva, maggiore sicurezza delle persone e tutela della qualità urbana e agricola. Le misure di adattamento ai cambiamenti climatici inoltre attiverebbero investimenti pubblici e privati con ricadute su ambiti diversi, tra cui l’urbanistica e l’agricoltura.

Il tema tellurico accompagna larga parte del nostro Paese, che si ritrova soggetto a rischi sismici ai quali non ha corrisposto una politica edilizia adeguata. Il Giappone è messo ben peggio di noi, ma ha da tempo provveduto ad adeguare le sue strutture pubbliche e private. Farlo è necessario e a questo scopo si potranno utilizzare anche – seppure parzialmente - i fondi per le politiche Eu per l’edilizia a risparmio energetico 2014/2020. Un’ottima occasione per cambiare ed evitare di andare col cappello in mano a chiedere aiuti dopo che le tragedie sono avvenute.

Una riflessione parallela va poi condotta sulla dissennata cementificazione che l’Italia ha subito negli ultimi decenni, alimentata anche dal ripetersi di condoni edilizi. L’impermeabilizzazione del territorio influisce pesantemente sull’aumentata velocità e dunque sulla voracità delle acque che devastano e si espandono in forma violenta. Necessita una nuova politica che faccia proprio il cambiamento necessario nel rapporto uomo-natura.

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Renzi
Il territorio italiano è minacciato da problemi antichi - scarsa manutenzione, abusivismo edilizio, eccessivo consumo di suolo - e da pericoli più recenti, primi fra tutti le conseguenze dei cambiamenti climatici. Per fronteggiare questi rischi vanno messe in campo azioni a breve termine (1 anno), come lo sviluppo di un servizio meteo-climatico nazionale allineato agli standard europei e una nuova legge d'indirizzo urbanistica che privilegi la riqualificazione del già costruito rispetto al consumo di suolo, e strategie a medio termine (3-5 anni), come un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e lo spostamento verso la manutenzione territoriale (lotta al dissesto idrogeologico, migliore gestione delle risorse idriche) e la mobilità sostenibile delle risorse finalizzate a nuove infrastrutture. E' inoltre fondamentale affidare agli amministratori locali il compito di definire le priorità di intervento sui propri territori, che conoscono meglio di chiunque altro, e di coordinare i lavori di messa in sicurezza, lasciando al Governo centrale il controllo certo e rigoroso di quanto effettuato

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Tabacci

Quanto alle strategie, è evidente la priorità dell'obiettivo e le parole chiave sono prevenzione e manutenzione per entrambi i fronti con diversi contenuti specifici, quali stringenti criteri di anti sismicità per le nuove costruzioni e per gli edifici esistenti ed un piano di messa in sicurezza per le nuove costruzioni; mentre sulla dimensione idrogeologica è necessario riprendere, rivisitandola, la cultura del presidio del territorio che il nostro Paese ha adottato per secoli: è evidente che è necessario un piano pluriennale, anzi pluridecennale, ma questo è motivo per partire subito, non per differire l'avvio. Positivo del resto sarebbe anche l'effetto sull'occupazione attraverso la domanda di consumi virtuosi che avrebbe il beneficio di far ripartire il settore dell'edilizia.

Sul fronte del reperimento delle risorse non si può che operare attraverso un'integrazione tra pubblico e privato attraverso:
- sgravi fiscali mirati, come avvenuto per le ristrutturazioni e per il risparmio energetico negli edifici
- finalizzazione degli attuali contributi agricoli anche di fonte UE, riqualificando, per esempio, meccanismi quali il sostegno - in verità poco condivisibile nella forma attuale - del cosiddetto set-aside (contributi a chi lascia i terreni incolti) con criteri di selezione delle fattispecie e di quantificazione dei contributi riconducibili al principio dei costi evitati (costi legati al ripristino ex post del dissesto che si causerebbero con l'abbandono dei territori);
- per le Regioni del Mezzogiorno destinazione a questo obiettivo dei fondi PON e POR di provenienza comunitaria finora utilizzati non adeguatamente quando non utilizzati e quindi restituiti al mittente

Riguardo agli attori dell'intervento occorre, anche in questo caso, avere il coraggio di superare una frammentazione di competenze che dà luogo a paralisi sotto la mitologia di una malintesa autonomia; vanno riprese, aggiornandole, esperienze positive quali l'antico Genio Civile o i Consorzi di Bonifica che avevano veste privata e funzioni pubbliche, superando attribuzioni generiche con obiettivi troppo diversificati e confusi e con sproporzione fra presunte finalità, poteri e mezzi concreti (tra gli esempi su cui meditare le Comunità Montane, poco incisive salvo eccezioni, i cosiddetti ATO - Ambiti Territoriali Omogenei, la piaga dei cosiddetti "forestali" assai mal utilizzati in alcune Regioni); è opportuno inoltre rivitalizzare il modello dei Parchi che in molti casi hanno operato bene, soprattutto quando hanno trovato equilibrio tra protezione e promozione (in sintesi occorre passare da una lettura legata alla geografia politico-amministrativa a una lettura di territorio e soprattutto degli obiettivi concreti da perseguire. E sarebbe auspicabile varare un Piano Nazionale del Territorio che riunisca volontà e risorse in un disegno coordinato e soprattutto con un respiro temporale coerente con le dimensioni delle tematiche da affrontare. Servirebbe del resto tale Piano anche come punto di congiunzione sinergica degli apporti di vari Ministeri, attorno al Ministero dell'Ambiente.

In sede UE, infine, le risorse destinate a interventi di solidarietà in caso di emergenze dovrebbero essere affiancate da sostegni alle opere di prevenzione e dovrebbe essere introdotto - se concordato con gli altri partner - un meccanismo di deroga ai vincoli sul pareggio dei bilanci nazionali per le spese di messa in sicurezza dei territori.

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Vendola

Elemento imprescindibile dell'agenda di un centrosinistra che di candida a governare il Paese è occuparsi del dissesto idrogeologico, dell'erosione della costa e dell'urgenza di custodire il territorio. In un Paese in cui 8 comuni su 10 sono ad alto rischio quando piove e nevica il tema del dissesto idrogeologico ha valore paradigmatico di quali debbano essere le politiche necessarie per curare l'Italia.

Dal 1996 al 2008 sono stati spesi per le emergenze, per rincorrere le calamità naturali, quasi 30 miliardi di euro, cioè 2-3 miliardi all'anno contro i 250 milioni di Euro all'anno spesi per la prevenzione. Dal 1950 ad oggi contiamo 6.500 vittime. Siamo stati l'Italia della furbizia, delle sanatorie, dei condoni, un bilancio assolutamente inaccettabile. Dobbiamo invertire definitivamente e con efficacia questa rotta. L'Italia sta sprofondando letteralmente nel fango. Bisogna mettere in campo la più grande opera pubblica dal dopoguerra ad oggi: un Piano straordinario di messa in sicurezza, manutenzione e tutela del territorio.

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3. Ambiente ed energia

Qual è la sua posizione sul cambiamento climatico e quali politiche energetiche si propone di mettere in campo?

Bersani

Credo in una politica industriale integralmente ecologica. A livello internazionale c'è ora un consenso quasi unanime sulla gravità della crisi climatica e sulle sue cause. La Conferenza internazionale sul clima del 2011 di Durban ha definito un'agenda per nuovi obiettivi che saranno operativi dal 2020, e il Governo Monti ha avviato una consultazione su una proposta condivisibile di Strategia Energetica Nazionale. Noi siamo nettamente dalla parte del potenziamento del protocollo di Kyoto nella prospettiva delineata dalla Commissione Europa con gli obiettivi della riduzione dell'80% delle emissioni al 2050.

La nostra strategia si sviluppa lungo due assi principali: efficienza energetica e minimizzazione degli agenti inquinanti, agendo sui cicli di produzione e consumo, e diversificazione dell'approvvigionamento energetico, sostenendo le fonti rinnovabili. Gli incentivi alle fonti rinnovabili sono stati uno strumento importante di politica industriale, che ho fortemente sostenuto dal 2006 al 2008 durante il mio impegno da Ministro dello Sviluppo Economico, benché successivamente il governo di destra abbia trascurato sia il necessario adeguamento dei meccanismi di agevolazione, sia la loro regolazione. Queste scelte, che rivendico come lungimiranti, hanno favorito l'iniziativa imprenditoriale e la creazione di buona occupazione, portando l'Italia ai vertici mondiali di crescita nel settore delle rinnovabili e limitando la dipendenza dalle importazioni. Le nostre sono scelte per l'ambiente, per lo sviluppo e per la sicurezza nazionale, all'interno di una strategia di rilancio dell'economia che guardi alla sostenibilità nel lungo periodo.

Vorrei un'Italia competitiva, eccellente a livello internazionale, che non si limiti all'installazione di tecnologia sviluppata e prodotta all'estero, ma che valorizzi la propria creatività e capacità manifatturiera. Sosterremo e valorizzeremo la ricerca di eccellenza italiana in tecnologie rinnovabili come solare fotovoltaico, termico e termodinamico, eolico, geotermico, idroelettrico, moto ondoso e biomasse, nei sistemi per la gestione integrata dei rifiuti e nelle tecnologie trasversali come la microelettronica, i nuovi materiali e la robotica.

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Puppato

I cambiamenti climatici sono il tema all’ordine del giorno delle agende dei Governi del mondo e anche coloro che li hanno negati fino a ieri, oggi si rendono conto dell’evidenza di cambiare modello produttivo, costruttivo e di mobilità. Una nuova politica deve risultare anche per l’Italia finalizzata ad un’economia ad alta efficienza e a bassa emissione di CO2; verso una società carbon free questo deve essere il nostro imperativo categorico, fissando come la Germania obiettivi più virtuosi di quelli previsti dalle politiche comunitarie.

Per noi infatti, che non abbiamo fonti energetiche fossili, che abbiamo gravi problemi di inquinamento ambientale con costi sociali e sanitari notevoli e che abbiamo il costo energetico KWh più caro d’Europa e che corriamo il rischio di non mantenere l’impegno previsto per l’ETS – ovvero risultare costretti ad acquistare quote nel mercato delle emissioni dai Paesi più virtuosi - il tema è : subito politiche energetiche e produttive adeguate.

Politicamente è necessario attuare al più presto gli obiettivi vincolanti e qualificanti di limitazione e riduzione di questi gas, definiti dal Protocollo di Kyoto e sottoscritti dai maggiori paesi industrializzati del mondo.

Obiettivi in cui io ho creduto e che ho perseguito fin da quando ero sindaco tanto che la mia città a partire dal 2004 è stata selezionata assieme ad altri 8 enti locali di tutta Italia, per partecipare al progetto “Enti Locali per Kyoto”. Un significativo risultato di politiche ambientali capaci di produrre qualità della vita e risparmi per le tasche dei cittadini.

In campo di politiche energetiche la strategia nazionale che sta proponendo Passera in questi giorni, basata ancora per la maggior parte su su gas, petrolio e carbone penso sia un errore e un ritorno al passato. Penso che il Paese abbia bisogno invece di nuove prospettive e produzioni ad elevata qualità ecologica che garantirebbero sviluppo e risanamento climatico. Solo qualche dato. Secondo l’International Energy Agency (IEA) se gli incentivi ai combustibili fossili (superiori quest’anno al trilione di dollari) fossero eliminati entro i prossimi 8 anni, il consumo globale di energia si ridurrebbe del 3,9% l’anno con un taglio di Co2 pari a tutte le emissioni annuali della Germania. Inoltre, da oggi al 2015 il taglio dei contributi porterebbe ad una diminuzione delle emissioni tali da influire sui processi di cambiamento climatico.

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Renzi

Affrontare il tema della tutela del territorio, e quindi della prevenzione dei rischi sismico e idrogeologico, in modo slegato dal tema del cambiamento climatico è riduttivo da entrambi i punti di vista. Il cambiamento climatico è in atto, e i suoi effetti (aumento delle temperature, incremento della frequenza degli eventi estremi etc.) sono evidenti a tutti.

L'adozione di una politica climatica, che porti a termine entro un anno i lavori della Stategia Nazionale per l'Adattamento e avvii i lavori per un Piano Nazionale per l'Adattamento da ultimare nella legislatura sono la cornice in cui sviluppare le politiche "ambientali" ed energetiche. Implementare policy di adattamento, infatti, significa intervenire sulle componenti ambientali che sono sottoposte a stress climatico al fine di ridurre gli impatti dei cambiamenti già in atto e che non possiamo evitare. Questo si collega quindi a politiche di gestione del territorio e di gestione-tutela delle risorse (es: idriche) stabilendo delle priorità e dei sistemi di gestione integrati e funzionali. Queste politiche trovano una connotazione europea all'interno della Politica di Coesione 2014-2020, all'interno della quale è possibile trovare anche le risorse.

I cambiamenti climatici in atto hanno modificato la frequenza degli eventi di pioggia: questo ci impone, con urgenza, di rivedere e ricalcolare le mappe di rischio idrogeologico per fornire agli Enti Locali strumenti aggiornati ed affidabili per intervenire nella messa in sicurezza del territorio. Non sono ammessi errori di valutazione. Le politiche di adattamento saranno integrate ed affiancate dal proseguimento delle politiche di mitigazione, sia a livello centrale che locale.

Sarà opportuno definire delle linee guida, ricavate dalle best practice messe in campo dai Comuni che hanno aderito al Patto dei Sindaci, che forniscano delle informazioni essenziali per la mitigazione negli Enti Locali. Per rendere efficaci tali misure sarà allo studio una revisione del Patto di Stabilità per sbloccare gli investimenti agli Enti Locali nel settore del risparmio e dell'efficienza energetica e della tutela del territorio (integrando così le azioni di adattamento e mitigazione). A livello centrale saranno rispettati i vincoli che l'Unione Europea ci pone sia nel Pacchetto 20-20-20 che nella Roadmap 2050. Alcuni obiettivi sono contenuti nella Strategia Energetica Nazionale; altri, presenti in essa, non sono condivisi (concessioni nazionali per trivellazioni off-shore). Il futuro del nostro paese è lontano dai combustibili fossili: il futuro del nostro paese è l'efficienza energetica, l'innovazione e l'uso delle rinnovabili.

Nel settore delle rinnovabili andrà ottimizzato il sistema degli incentivi, per tutelare sia il consumatore che gli investitori: occorrono programmazioni di lungo periodo con garanzie di stabilità e incentivi modulati per evitare effetti distorti nel mercato. Investimenti nelle rinnovabili, tutela del territorio e integrazione con le politiche agro-forestali non possono essere disaccoppiati: occorre infatti evitare contrasti tra questi settori ma permettere che operino in sinergia, valorizzandone la qualità (energia pulita, qualità del prodotto agricolo, unicità del territorio).

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Tabacci

Il criterio guida per affrontare responsabilmente queste tematiche è sostenibilità: interpretata come fattibilità proiettata nel tempo e accortamente declinata nelle tre dimensioni di sostenibilità ambientale, sostenibilità economica e sostenibilità del consenso dei sistemi sociali coinvolti. Rientra nella dimensione del consenso dei sistemi sociali coinvolti ad esempio la questione centrale dei Paesi a tasso elevato di crescita quali la Cina e l'India dove si decide il futuro del pianeta: la Cina installa ogni anno nuova potenza elettrica con centrali a combustibile fossile di entità confrontabile al parco centrali operante in Italia.

Va preso atto della posizione di questi attori decisivi che non intendono subire limitazioni al loro sviluppo (e nemmeno, come avvenuto finora, gli Stati Uniti d'America) e dell'irrilevanza di fatto di una politica di riduzione delle immissioni di anidride carbonica. Né si può ignorare che per questo motivo il Protocollo di Kyoto e le sue successive evoluzioni non hanno funzionato in modo soddisfacente: non si sono significativamente ridotte le immissioni, mentre si è prodotto qualche guasto economico attraverso i meccanismi compensativi all'interno dei paesi.

Non dimenticando i vincoli ineludibili della sostenibilità economica, le azioni dovranno dispiegarsi su diversi fronti:
- politica decisa di promozione dell'efficienza energetica, un obiettivo che oltre a dare risultati favorevoli sull'ambiente (per le immissioni di qualunque tipo nell'ambiente) agisce positivamente anche su fronti quali appunto la bolletta energetica e l'innovazione tecnologica
- partecipazione attiva dell'Italia anche attraverso programmi internazionali ad attività di ricerca e sviluppo e dimostrazione sui modelli climatici, sulle strategie di prevenzione e di risposta, in particolare sulla cosiddetta mitigazione delle conseguenze che strettamente correlata anche con il tema della messa in sicurezza del territorio di cui alla domanda precedente)
- ridiscussione in sede UE delle misure economiche compensative che nell'attuale formulazione penalizzano immotivatamente l'Italia e non danno alcun reale beneficio all'ambiente.

Ma il punto fondamentale è agire nella consapevolezza che non c'è niente di più globalizzato che la questione integrata energia e ambiente, questione da affrontare quindi su scala planetaria: un contributo alla soluzione può giungere da una collaborazione internazionale che veda i paesi in fase di industrializzazione installare impianti ad alta efficienza e a basso impatto il cui costo aggiuntivo rispetto a quello dell'impianto tradizionale sia in parte sostenuto dai paesi già sviluppati che potrebbero fornire le tecnologie e i componenti necessari (e si risponderebbe così alla sovraccapacità produttiva nel mondo) con finanziamenti a lungo termine gestiti da Organismi Finanziari di Cooperazione Internazionali la cui restituzione sia legata anche ai ritorni della vendita dell'energia generata (una sorta di Piano Marshall del settore energetico in joint venture e in project financing internazionale).

Certo è che le decisioni adottate in questi anni sulle installazioni di impianti nei paesi in crescita condizioneranno i prossimi decenni come è certo che al contrario a condizionare le concentrazioni di gas serra nell'atmosfera non saranno la maggiore o minore parsimonia delle immissioni di CO2 in atmosfera legate alle poche nuove installazioni di impianti energetici nei paesi europei (soprattutto per la loro sostanziale irrilevanza sul piano quantitativo). Per lanciare uno slogan semplicistico ma utile sul tema energia ambiente si potrebbe dire "il mondo è adesso, ma rispetto all'Europa è altrove"; dobbiamo prenderne atto ed agire di conseguenza agendo là dove serve nei Paesi appunto come la Cina e l'India.

Altre priorità per la politica energetica sono ovviamente in primo luogo la razionalizzazione e la gestione della domanda (un approccio più moderno ed efficace rispetto a quello evocato dall'espressione risparmio energetico che è in realtà riduttiva) la riduzione della vulnerabilità degli approvvigionamenti (attraverso la diversificazione delle fonti energetiche e delle provenienze geopolitiche, il rafforzamento delle infrastrutture in termini di reti e stoccaggi, incluso sia il ricorso al ciclo composto da gassificazione, metaniere e rigassificatori sia la promozione delle rinnovabili con un equilibrio tra l'auspicabile velocità di penetrazione e la necessaria selezione delle tecnologie innovative via via disponibili a più elevate prestazioni per evitare un parco costruito velocemente, ma con tecnologia ed efficienza basse, anche alla luce del peso degli incentivi che le soluzioni meno efficienti comportano sulla bolletta elettrica.

La ricerca nel settore energetico ha ancora prospettive promettenti e va perseguita con una logica selettiva anche come prerequisito per dare attuazione al concetto di capacity building (costruire nel Paese visto come un sistema integrato della molteplicità di operatori un complesso di infrastrutture non solo impiantistiche, ma anche operative e di competenze) che è alla base di una capacità di risposta dinamica a un quadro non solo tecnologico, ma sociopolitico, socioeconomico e ambientale in evoluzione accelerata rispetto al passato anche recente. Accrescere la capacity building è un investimento sul futuro con ricadute diversificate anche a breve che consente di uscire dal particolarismo e dalla contrapposizione.

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Vendola

Guardo con molta attenzione ai cambiamenti climatici e nel ruolo che con orgoglio rivesto nel Comitato delle Regioni Ue, quello di coordinatore della Piattaforma di cambiamenti climatici e sviluppo sostenibile, ho provato a costruire azioni concrete in chiave europea per il contrasto ai rischi dei cambiamenti climatici, a incominciare dalla desertificazione della sponda euro mediterranea.

La struttura geologica e geoclimatica del nostro paese ci può consentire di pensare ad un futuro esclusivamente rinnovabile. Le nuove energie per il riscaldamento e il raffrescamento come il solare termico e la geotermia a bassa entalpia e le strategie di cogenerazione anche del metano possono portarci nei prossimi cinque anni a ridurre del 50% il costo della bolletta energetica per riscaldamento. La diffusione delle energie rinnovabili elettriche può trasformare l'Italia in un paese libero dal ricatto - politico, oltre che economico - di carbone ed energie fossili. Per l'oggi e il futuro occorre per il fotovoltaico puntare sulla generazione di energia elettrica distribuita su tutto il territorio nazionale, liberalizzare lo scambio di energia rinnovabile tra produttori e consumatori, sostenere gli stoccaggi di energie rinnovabili, occorre una politica delle smart grid delle reti locali a partire dal condominio interconnettendo l'Italia come un grande alveare democratico. L'incentivo per il fotovoltaico del futuro è la libertà di produrre e scambiare energia nel rispetto del paesaggio e della libertà di liberarsi dal giogo delle bollette.

Accanto al fotovoltaico si potranno sviluppare certamente le altre energie rinnovabili come l'energia eolica con la partecipazione al capitale delle comunità locali, sviluppando anche le possibilità dell'eolico in mare nel rispetto dei paesaggi, la diffusione del mini e microeolico e il sostegno alla ricerca dei sistemi di eolico senza pale o di quello troposferico. Credo anche che si debba valorizzare l'idroelettrico ma con i sistemi di mini idroelettrico rispettando le portate minime dei fiumi e l'ittiofauna, portando in produzione tutti gli invasi esistenti svuotandoli dai fanghi e integrandoli con i sistemi fotovoltaici anche con la ricarica notturna dei bacini. Promuoveremo la geotermia a ciclo binario, ovvero con la reimmissione totale dei fluidi e dei vapori nel sottosuolo per non turbare gli equilibri idrici e non inquinare e accetteremo le produzioni di energia da biomasse solo di piccola taglia.

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4. Bioetica

Quali politiche intende adottare in materia di fecondazione assistita e testamento biologico? In particolare, qual è la sua posizione sulla legge 40?

Bersani

Il progresso tecnologico degli ultimi decenni (biotecnologie, neuroscienze, intelligenza artificiale) ha messo in discussione le nostre convinzioni fondamentali sulla distinzione tra naturale e artificiale e consente di intervenire sui processi biologici dell'esistenza, dal sorgere della vita fino ai confini della morte. I riferimenti valoriali sono ben definiti nella Costituzione italiana: sono il rispetto della persona umana e del suo diritto a essere curata ma anche di non esserlo affatto rifiutando o chiedendo di interrompere le cure (articolo 32). Occorre distinguere la libera ricerca degli scienziati, da incoraggiare, sostenere e rispettare, e i rischi reali (piuttosto che quelli potenziali che chiunque può inventarsi) insiti nell'utilizzo dei suoi risultati. Gestire questi rischi solleva inediti quesiti etici e giuridici la cui gestione richiede una stretta collaborazione tra scienza e politica, se si vuole evitare che se ne prenda carico il mercato o che si affermino derive tecnofobiche e illiberali. E' l'intera comunità civile che, attraverso il dibattito pubblico e le istituzioni democratiche, deve definire nuove pratiche di governo capaci di mettere l'immenso potenziale scientifico e tecnologico al servizio di ogni persona.

Nel solco del citato articolo 32 sono contrario ad una eutanasia che preveda un ruolo attivo del medico nell'interrompere la vita. Purtroppo sul tema del fine vita l'attuale Parlamento ha elaborato e approvato nelle prime due letture, con il voto del PD compattamente contrario, un testo inaccettabile e incostituzionale, non rispettoso della dignità della persona, che ora si trova al Senato per l'ultima lettura. Ci auguriamo non segua il destino della legge 40, altra legge ideologica e odiosamente classista approvata due legislature fa a colpi di maggioranza e ora pezzo per pezzo smontata dalle sentenze di tribunali europei e italiani, con drammi giudiziari e personali, che dovremo certamente correggere se avremo la maggioranza nella prossima legislatura. Per quanto concerne la fecondazione assistita, in tutti i paesi più avanzati viene regolata sulla base di linee guida di buona pratica clinica e quindi con la garanzia di ridurre al minimo i rischi per la donna, il nascituro e la stabilità della famiglia. Ci impegneremo in tal senso nella consapevolezza che solo un metodo scientifico appropriato può permettere di affrontare temi così delicati coniugando l'interesse generale con quello delle singole persone.

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Puppato

La legge 40 va rivista al più presto visto che già oggi costringe molte coppie al turismo riproduttivo: circa 8 mila ogni anno. Questo fenomeno fotografa un diritto negato in Italia per motivi che non tengono conto di molte cose. La fecondazione eterologa, che avviene con donazione dei gameti estranei alla coppia, è vietata nel nostro paese ma per alcune coppie rappresenta l’unico rimedio possibile per diventare genitori. Va ricordato che in molti casi queste donne e uomini debbono ricorre a queste pratiche scientifiche perchè vittime di malattie genetiche, patologie invalidanti o reduci da terapie antitumorali. E poi ricordo che la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, ha definito la legislazione italiana su questi temi incoerente: non è possibile vietare con la L.40 a coppie portatrici di una grave malattia la selezione degli embrione per permettere loro di mettere al mondo un figlio sano e allo stesso tempo permettere con la L.194 l’aborto terapeutico.

Occorre rimettere ordine nel nostro panorama legislativo.

Rispetto al fine vita sono convinta che ognuno di noi abbia il diritto di stabilire, in casi estremi, come sia più dignitoso andarsene. Ha diritto di dirlo, scriverlo su appositi registri e lo Stato dovrà rispettare queste volontà.

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Renzi

In materia di fecondazione assistita - Legge 40 - è necessaria una revisione della normativa, perché essa presenta criticità e incoerenze più volte evidenziate, ad esempio dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. Questa revisione dovrà partire da una valutazione del grado di coerenza della legge rispetto al contesto giuridico in cui essa si colloca (in primis coerenza costituzionale e poi coerenza con la L. 194). Si propone, inoltre, la costituzione di una apposita autorità che possa agire in Italia sul modello della Human Fertilisation and Embryology Authority che nel Regno Unito decide caso per caso, (nel caso dell'UK tale autorità agisce nel quadro dei principi dettati dallo Human Fertilisation and Embryologi Act).

Il testamento biologico è parte integrante del nostro programma. Nel pieno rispetto dell'articolo 32 della Costituzione, proponiamo di riconoscere la libertà di ciascuno di indicare sino a che punto si intende essere sottoposti a terapie nel caso si perda la coscienza e la capacità di esprimersi senza una ragionevole speranza di recupero. La nutrizione e l'idratazione artificiale siano garantite per tutti coloro che non le rifiutino esplicitamente nelle dichiarazioni anticipate di trattamento.

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Tabacci

Sulla fecondazione assistita occorre trovare un equilibrio tra i diritti degli adulti che desiderano divenire genitori e quello degli embrioni; un equilibrio che parta dalla difesa della vita, ma non neghi le possibilità che la scienza mette e metterà a disposizione della volontà di avere figli. E' necessario perseguire una posizione a livello Unione Europea per evitare "viaggi della speranza o dell'autodeterminazione" con discriminazioni sui diritti concreti basate sulle possibilità economiche. La tematica del cosiddetto testamento biologico pone questioni complesse che è utile approfondire con spirito costruttivo; due devono essere a mio avviso gli elementi di riferimento: va respinto l'accanimento terapeutico e ritengo inaccettabile l'ipotesi del suicidio assistito.

Nell'intervallo definito da questi due estremi, le posizioni differiscono e due domande di particolare rilievo sono se la prosecuzione dell'idratazione e dell'alimentazione rientri nel concetto di accanimento terapeutico (e la mia risposta è no) e se il giudizio sull'accanimento terapeutico debba essere affidato o meno solo al medico curante; credo che la decisione sull'equilibrio tra accanimento terapeutico, terapia del dolore e cure palliative in genere spetti al medico (in una forma che potrebbe anche essere collegiale) il quale deve tenere conto dell'opinione del paziente che risulti però con solida e recente evidenza giuridica e non solo da generiche testimonianze. Con l'occasione esprimo il mio pieno appoggio alla richiesta di rafforzare l'uso dei farmaci che attenuino il dolore dei pazienti in tutte le circostanze. Rimane esemplare peraltro la conclusione della vita terrena del cardinale Martini con la straordinaria testimonianza della nipote.

Una modifica della legge 40 non potrà avvenire a colpi di maggioranza e dovrà essere il risultato di una convergenza quanto più ampia possibile tra le forze politiche che tenga conto di autorevoli avvisi quali quello della Commissione Nazionale di Bioetica, senza pretendere in ogni caso di annullare il mistero della vita.

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Vendola
Io credo si debba cancellare una delle leggi più oscurantiste, pericolose e ingiuste nei confronti delle donne. I limiti della legge 40, bocciata anche dalla Corte Europea dei Diritti Umani, sono continuamente confermati dai tanti ricorsi vinti da quelle coppie che si rivolgono ai tribunali per vedersi riconoscere un principio fondamentale di libertà e di giustizia. Abbiamo con urgenza bisogno di una nuova legge di civiltà, moderna, giusta e umana.
Sostengo con convinzione il rispetto della libertà di scelta per il fine vita. L'obbligo di soffrire per legge non è umano e dignitoso, non è più rinviabile una legge sul testamento biologico.

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5. OGM

Quali politiche intende adottare per la sperimentazione pubblica in pieno campo di OGM e per l’etichettatura anche di latte, carni e formaggi derivati da animali nutriti con mangimi OGM?

Bersani

In questo campo vale la premessa della risposta precedente: va distinta la libertà della ricerca dalla valorizzazione al servizio dell'uomo dei suoi straordinari risultati. Va quindi fatta una distinzione forte tra ricerca sugli OGM, inclusa la sperimentazione in campo per la quale occorre avere una posizione di apertura, e coltivazione a fini commerciali. Il nostro Paese, purtroppo, investe poco in ricerca e questo rischia di portarci ad una situazione di "sudditanza culturale" nei confronti dei Paesi che, invece, hanno avuto la lungimiranza di investire in ricerca. Questo vale anche e, direi soprattutto, per la ricerca sugli OGM: ragioni puramente ideologiche, non scientifiche o politiche, hanno emarginato la ricerca sugli OGM nel nostro Paese, erodendo il patrimonio di conoscenze su questo tema cosi importante per l'alimentazione e la salute dei cittadini. Occorre rilanciare la ricerca sulla genetica delle piante, e quindi sugli OGM, con la finalità di mantenere un'adeguata leadership intellettuale su questo tema, così complesso ed articolato. Non farlo significherebbe perdere la capacità di valutazione su tecnologie che verranno sicuramente sviluppate in altri Paesi e che si affacceranno sui nostri mercati: occorre conoscere per poter valutare e decidere e non possiamo impedire ai nostri ricercatori di mantenere e conservare il proprio patrimonio di conoscenze sugli OGM e le loro possibili applicazioni in agricoltura. Diverso è il tema delle strategie produttive e commerciali dell'agricoltura italiana che devono proiettarsi verso una distintività che il consumatore possa condividere ed apprezzare.

Quanto all'etichettatura, essa è già prevista in Italia e in Europa per moltissimi prodotti IGP (indicazione geografica protetta) e DOP (denominazione di origine protetta) che garantiscono di non utilizzare bestiame nutrito con mangimi OGM. Ma, ad esempio, non è attualmente presente per formaggi generici, che possono quindi essere fatte con latte prodotto da mucche alimentate con OGM senza che il consumatore lo sappia. Imporre a tutti l'etichettatura non sembrerebbe irragionevole e non danneggerebbe comunque i nostri prodotti tipici e ci sembra la strada giusta da seguire per aumentare il rapporto di fiducia tra il mondo della produzione alimentare e i consumatori, sempre più giustamente sensibili ed esigenti nei confronti di questo aspetto cruciale della loro vita quotidiana.

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Puppato

L’Italia è e deve restare “Ogm free”. Oggi come oggi la scienza non è in grado di affermare con ragionevole certezza né la pericolosità né la sicurezza degli alimenti prodotti utilizzando Ogm, sia che si tratti di alimentazione umana sia che siano introdotti nella catena alimentare attraverso l’alimentazione animale. Ecco perché preferisco attenermi a un saggio principio di precauzione in materia, peraltro suffragato da più di un intervento delle autorità internazionali a tutela della salute.

Quanto alla sperimentazione in pieno campo, pubblica o privata che sia, ritengo che presenti numerosi profili problematici. A differenza di altri paesi l’Italia ha proprietà agricole estremamente frammentate e spesso di piccole dimensioni, che rendono difficile garantire i proprietari limitrofi dal rischio di contaminazione, anche applicando le più attente misure di garanzia.

Ma soprattutto la mia contrarietà agli Ogm nasce da un’analisi scevra di pregiudizi del mercato e del ruolo che l’Italia può giocare nel contesto internazionale. Siamo il primo paese al mondo per numero di prodotti di qualità e vantiamo un patrimonio enogastronomico che, se fosse adeguatamente protetto dalla concorrenza sleale che subiamo, basterebbe da solo a garantirci la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro. Non vedo perché l’Italia debba inseguire altri paesi, ben più ampi e più vocati alle coltivazioni intensive, sulla strada della quantità. Il nostro impegno deve invece essere quello di tutelare le produzioni di qualità, investire sull’agricoltura biologica, valorizzare le risorse agro-ambientali come straordinario motore di sviluppo. Gli Ogm, da questo punto di vista, non ci possono aiutare in alcun modo.

Quanto all’etichettatura, credo che il principio da tutelare in maniera sempre più chiara sia quello della corretta informazione del consumatore. Ciascuno sarà poi libero di scegliere se acquistare prodotti OGM o no, basta che sia in grado di farlo con diciture esplicite sulle materie prime utilizzate, la loro provenienza, i processi subiti. Non possiamo pretendere che al supermercato le persone abbiano il tempo e la competenza necessarie a districarsi tra codici e richiami alla normativa vigente, magari scritti in caratteri minuscoli. Le etichette devono “parlare”, e farlo in maniera chiara.

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Renzi

Se è vero che molti dei prodotti agricoli che finiscono nelle nostre tavole sono varietà figlie di incroci e selezioni avvenute nei secoli, e che la ricerca in campo agroalimentare è comunque un fattore positivo e una strada da perseguire, altra cosa è aprire l'Italia a produzioni transgeniche che non hanno nulla a che fare con la qualità e la forza economica dei nostri prodotti agricoli. Il futuro dell'agricoltura italiana non credo possa essere legato agli Ogm.

I nostri agricoltori sono da guinnes, con i 239 prodotti tipici italiani, il più alto numero europeo di produzioni di qualità e prodotti riconosciuti tra Dop, Igt e Stg, un fatturato al consumo di quasi 10 miliardi di euro e oltre un milione di ettari oggi condotti con metodo biologico. Un settore che è cresciuto e sta crescendo soprattutto con i giovani agricoltori nel segno della qualità e del presidio ambientale e garantisce parte dell'attrattività del Made in Italy nel mondo. Va scelta quindi la via dell'eccellenza, della salvaguardia delle nostre eccellenze agroalimentari e della sicurezza alimentare. Credo che occorra studiare bene tutti gli effetti dell'utilizzo in agricoltura di organismi geneticamente modificati e dell'impiego nell'allevamento animale di mangimi Ogm e gli effetti sulla salute pubblica.

Se è giusto, insomma, che la ricerca esplori più campi rispetto a quelli messi in pratica, si tratta di evitare quello che tutte le nostre associazioni agricole temono e cioè il Far West italiano, che qualcuno possa seminare campi di mais Ogm in grado di contaminare i territori circostanti con i pollini Ogm. Il nostro Paese finora ha avuto un comportamento esemplare su tutta la partita Ogm, mettendo sempre al centro il principio di precauzione e la necessità di non mettere a repentaglio l'immagine e la sostanza del nostro made in Italy. Infine, piena trasparenza per cittadini consumatori è la nostra scelta di fondo peretichettatura e corretta informazione rispetto a ciò che viene messo in vendita

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Tabacci

Due premesse di riferimento:
- il ruolo dell'agricoltura italiana vedrà sempre più pronunciate le tendenze in atto verso prodotti di qualità, di fascia alta che valorizzino specificità organolettiche e culturali; questo segmento di mercato non costituisce occasione di elezione per l'utilizzo nell'agroalimentare di OGM, in quanto l'Italia non è il paese di riferimento per produzioni di massa di derrate "commodity"
- l'etichettatura che informa il consumatore è uno strumento di trasparenza che, insieme a campagne informative rivolte alla pubblica opinione, deve essere promosso sistematicamente e quindi anche in questo caso.

Alla comunità scientifica e agli Organismi di tutela (per esempio l'Istituto Superiore di Sanità in collegamento con il CNR e il CNRA) spetta la fissazione dei criteri che devono presidiare l'eventuale sperimentazione anche in Italia di OGM in pieno campo allo scopo di evitare effetti indesiderati di qualunque tipo. Anche in questo caso normative dovranno essere dinamicamente assunte a livello UE, ma con un nostro apporto meditato e qualificato, anche con il coinvolgimento dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) che ha sede a Parma.

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Vendola

L'agricoltura fortemente orientata alla qualità e alla distintività territoriale è strategica per il futuro del Paese.
Gli Ogm non solo non servono alla nostra agricoltura, ma comporterebbero un danno per un’agricoltura che può competere solo sul piano della qualità, della tipicità, della diversità e non certo sulla quantità.

La sperimentazione può avvenire solo in ambienti chiusi e controllati, cioè in laboratorio e non in campo aperto. La contaminazione, infatti, non è una possibilità ma, come scientificamente dimostrato, è una certezza. Bisogna sostenere ed incrementare la ricerca pubblica in agricoltura, una ricerca orientata alla qualità, al miglioramento della produzione biologica e alla salvaguardia della biodiversità delle specie agricole. Purtroppo oggi non è obbligatorio indicare nelle etichette di latte, carni e formaggi se provengono da animali nutriti con mangimi ogm.

L'Europa resiste, come anche in generale sull'obbligo dell'etichettatura d'origine. L'Italia deve continuare nella UE questa battaglia per la trasparenza e per la tutela dei consumatori e degli agricoltori, ma può comunque, come accaduto con l'etichettatura d'origine, fare una legge nazionale e promuovere le etichettature volontarie a livello regionale e per i marchi a denominazione, per dar vita a filiere Ogm free.

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6. Medicine Alternative

Qual è la sua posizione in merito alle medicine alternative, in particolare per quel che riguarda il rimborso di queste terapie da parte del SSN?

Bersani

L'espressione "medicine alternative" comprende diversi approcci, dall'agopuntura all'omeopatia, dall'erboristeria, agli interventi manuali come la chiropratica o l'osteopatia. E' quindi un'espressione fuorviante, sia perché da almeno un secolo e mezzo la medicina è una scienza e ogni terapia è ritenuta efficace solo se soddisfa criteri sperimentali condivisi, sia perché i piú ricorrono a queste cure in senso "complementare", non alternativo alla medicina convenzionale. Da mezzo secolo, in medicina per ogni nuova procedura bisogna partire dalla sua efficacia e dalla sua sicurezza, secondo i dettami della "evidencebased medicine" (la medicina basata sulle prove di efficacia). Gli esempi suggeriscono che un indistinto sí o no al rimborso di tutte le "medicine alternative" da parte del SSN non abbia molto senso: ma non è compito della politica entrare in questo campo. Il governo della medicina e della sanità, sul piano delle scelte di spesa pubblica, deve usare la scienza e quindi fondarsi sulle prove, piuttosto che sulle opinioni o le credenze filosofiche. Il rimborso delle cure si paga con le tasse dei cittadini e quindi si deve trovare un piano di controllo - condiviso - dell'efficacia di quello che lo stato decide di pagare.

Bisognerà anche attingere alle esperienze di altri paesi europei dove alcune procedure alternative fanno parte della medicina convenzionale, per esempio nei paesi anglosassoni esiste già la figura dell'osteopata che non è alternativo ma si affianca al medico tradizionale. Anche in questo caso il metodo scientifico è largamente usato nei paesi civili per determinare l'appropriatezza di una nuova terapia, procedura o intervento. Nella medicina del SSN ci sono procedure efficaci e sicure che però vengono utilizzate in maniera inappropriata e questo fa lievitare i costi della sanità. Questa sarebbe la vera innovazione nella sanità che va sicuramente controcorrente con quello che è successo negli ultimi anni.

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Puppato
La medicina alternativa, per esempio l’omeopatia, ritengo sia una branca della medicina che ha dimostrato la sua utilità. Essa è considerata dalla direttiva Eu del 2006 e dall’Oms a partire dal marzo del 2010 – un rimedio farmacologico a tutti gli effetti. Con necessità quali controlli, presenza di etichettatura e bugiardino che in Italia non sono ancora prescritti né sono legge dello Stato, tanto che questo porterà il nostro Paese ad essere nuovamente sanzionato per non aver applicato la direttiva Ue sui farmaci omeopatici. L’assimilazione ai farmaci tradizionali dei farmaci omeopatici è un dovere vista la normativa in materia. Bisogna procedere con serietà e correttezza, mettendo fine ad una chiusura preclusiva dello Stato Italiano nei confronti della medicina alternativa e dei farmaci ad essa correlati. Naturalmente l’assimilazione ai farmaci tradizionali deve comportare la loro prescrivibilità attraverso il SSN.

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Renzi

Con il termine medicine alternative si intende un sistema di pratiche che non vengono considerate alla stregua della medicina convenzionale - cioè su base scientifica - perché non esiste prova della loro efficacia o perché non sono state sottoposte a una verifica sperimentale che la possa confermare tale supposta efficacia. Sono spesso chiamate anche discipline bionaturali del benessere e sono quelle pratiche e tecniche naturali e bioenergetiche esercitate per favorire il raggiungimento, il miglioramento o la conservazione del benessere complessivo della persona.

Esse sono fondate, pur nella diversità che le contraddistingue, sui principi dell'approccio complessivo alla persona, del miglioramento della qualità della vita, dell'educazione a uno stile di vita sano e dell'astensione dal ricorso all'uso o alla prescrizione di farmaci di tipo chimico o comunque allopatico. Da queste discipline escludiamo la cura di patologie e tutte le attività di cura e riabilitazione fisica e psichica della persona.

Il NCCAM - National Center for Complementary and Alternative Medicine degli U. S. - cita alcuni esempi, che chiama genericamente "medicina complementare" (CAM): i. e. naturopatia, chiropratica, ayurveda, yoga, omeopatia, medicina tradizionale cinese, etc. Dal punto di vista strettamente scientifico, allo stato attuale delle ricerche, non possono essere considerate al pari delle medicine tradizionali, nonostante la loro diffusione crescente. Non si ravvedono pertanto i termini per prevedere rimborso da parte del SSN.

Evidenzio, però, una duplice esigenza che dovrebbe comunque essere considerata: da un lato segnare una distinzione chiara tra discipline bionaturali del benessere (fra cui considerare proprio le CAM) e settore medico-sanitario, e dall'altro porre termine all'attuale situazione di esercizio di tali discipline al di fuori di ogni controllo.
Entrando nel merito della normativa a cui sarà utile lavorare, ritengo necessario individuare una chiara indicazione delle discipline riconosciute e la previsione di standard minimi per la formazione degli operatori e per i centri presso i quali si svolge tale formazione (questo anche a garanzia di quanti ricevono i trattamenti). Anche la selezione degli operatori potrebbe essere regolamentata, per esempio attraverso l'istituzione di un apposito registro nazionale: per dettagliare meglio questo percorso è utile interpellare rappresentanti degli operatori, parte integrante della riflessione politica e del legislatore.

In questo modo si potrà rispondere a esigenze normative cui le regioni - Lombardia e Toscana, ad esempio - hanno tentato di dare una risposta con norme ad hoc per le discipline bionaturali e gli albi professionali degli operatori.

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Tabacci
Sotto la dizione medicine alternative sono ricomprese pratiche di diversa natura, origine e valenza. Non può essere in nessun modo derogato il principio basilare del metodo scientifico, basato sull'evidenza e sulla documentazione dei risultati, sulla loro riproducibilità e sul consenso della comunità scientifica internazionale di riferimento e tanto meno si può in un settore così delicato rinunciare a strumenti di regolazione. E' positiva la dinamica in atto che vede la scienza cosiddetta ufficiale aprirsi a confronti e sperimentazioni (interessanti alcune iniziative in corso in Cina al riguardo), ma sempre nell'ambito del metodo che ho appena ricordato e sempre all'interno di una farmacopea ufficiale gestita in piena responsabilità dalla comunità scientifica: istituzioni quali l'AIFA (Agenzia Italiana per il Farmaco) e la sua omologa europea, l'European Medicines Agency, sono al centro di questo impegno di qualità e certificazione. Il punto più delicato è evitare che la fiducia in sistemi alternativi motivi la mancata adozione di rimedi la cui efficacia è consolidata e universalmente riconosciuta. Considerazioni particolari possono adottarsi per il contesto delle cure cosiddette palliative. L'ammissione al sistema dei rimborsi del SSN non può che essere una conseguenza dell'inserimento nella farmacopea.

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Vendola

In tempi di crisi, definanziamento del sistema sanitario nazionale, contrazione delle risorse a sostegno delle reti di cura, il vero obiettivo è garantire l'equa erogazione dei livelli essenziali di assistenza, che oggi viene concretamente messa in discussione dai pesanti tagli inflitti al fondo sanitario nazionale.

Rispetto alla medicina alternativa, cui fanno ricorso un numero considerevole di cittadini e cittadine nel nostro Paese, l'elemento prioritario è definire un chiaro e trasparente percorso di verifica scientifica di efficacia e di sicurezza per i pazienti, che sia confrontabile con quello cui è soggetta la medicina cosiddetta tradizionale. Va incoraggiata la ricerca e l'innovazione anche in questo settore, ma nella direzione di orientare le scelte in virtù della più rigorosa evidenza scientifica, per non compromettere la salute dei malati e la sostenibilità del sistema.
In questo quadro di incertezza di efficacia di questo tipo di rimedi, io preferirei porre il problema dell'inserimento di altre procedure, coma la partoanalgesia e la procreazione medicalmente assistita, tra le prestazioni a carico del SSN: interventi sicuramente in grado di migliorare la qualità della salute delle donne, ma purtroppo ad oggi riservati solo alle fortunate in grado di sostenerne i costi.

Posso aggiungere una risposta? Noi non potremo uscire dalla crisi, non potremo disegnare un futuro diverso se non assumeremo il mondo della formazione, della cultura, della ricerca scientifica come elemento primario nel governo del Paese. Vogliamo combattere la corruzione? Se non avremo una scuola capace di trasmettere valori diversi, sara' una battagli persa. Vogliamo tornare competitivi a livello industriale nel mondo? Se non avremo una universita' degna per i nostri giovani, faremo solo propaganda. Per troppo tempo abbiamo tradito le attese e le aspettative di questo mondo. Se non si fara' cosi' che senso ha dirsi di sinistra?

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