Uno sguardo ai meccanismi della mente

Inside Neuroscience

5 gennaio 2009 - 11:52 am

Essere Anormali: Vantaggio o Svantaggio?

Preambolo

Carissimi,

recentemente mi è capitato di incontrare una patologia rara, che ignoravo fino a poco tempo fa, e che ha innescato in me pensieri e teorie contrastanti a cui non saprei dare un giusto ordine.

Per capirci, come al solito, c’è bisogno di fare un po’ d’ordine nel linguaggio. Il punto d’origine dei nostri assi cartesiani verbali in questo post sarà la parola ‘Normale’ che identifica, senza ombra di dubbio, una qualsiasi caratteristica che si presenta nella quasi totalità della popolazione. Da questo ‘punto zero’ potremmo allontanarci definendo un maggiore o minore grado di ‘anormalità’. Si potrebbe persino tracciare un asse con una direzione per ‘anormalità buone’ e ‘cattive’ e deporre in queste due zone tutte le possibili caratteristiche che ci fanno allontanare dalla normalità. Questa semplificazione, purtroppo, ci porta ad un limite, cioè per quanto ci potremmo sforzare alcune ‘anormalità’ potrebbero essere difficili da sistemare. Per intenderci, tutti noi saremmo certamente lieti di essere ‘anormalmente intelligenti e forti’, molto meno per ‘anormalmente bassi e brutti’. Tuttavia, alcune di queste certezze sarebbero perse quando dovremmo ipoteticamente posizionare in questo contesto la sindrome di Asperger.

Cosa è la Sindrome di Asperger?

EinsteinCosa è la Sindrome di Asperger?

Si potrebbe definire come un innato disordine del comportamento, ma è difficile avere una definizione di questa patologia in due parole, forse potrebbe essere meglio considerata semplicemente come un insieme di sintomi con una maggiore o minore gravità.

Se vi dicessi che alcuni studiosi pensano che Michelangelo, Wittgenstein, Kurt Gödel, Glenn Gould, Bobby Fischer, Satoshi Tajiri, The Vines Craig Nicholls, Albert Einstein e Isaac Newton soffrissero in qualche misura di questa ‘sindrome anormale’ e che proprio questa caratteristica donasse loro un qualcosa in più rispetto alla ‘normalità’?

Se tutto questo fosse vero, lo stesso concetto di ‘malattia’ o ‘sindrome’ si rivaluterebbe in qualcosa di assolutamente meraviglioso, anzi molti si precipiterebbero ad informarsi su come potersi ‘ammalare’ di questa ‘anormalità’.

L’anormalità è quindi positiva? Come ho già accennato non si tratta di una cosa semplice, poiché la malattia in questione è la sindrome di Asperger, un disordine psicologico che secondo alcuni appartiene alle mille sfaccettature dell’autismo. Già il concetto di autismo è di difficile comprensione, e la sindrome di Asperger sembra esserne una ulteriore complicazione, poiché prende alcune delle peggiori caratteristiche dell’autismo con le più belle caratteristiche che l’umanità possa desiderare in una complessa macchina psicologica completamente impenetrabile ad una semplice analisi.

Vi prego di non immaginare che le persone affette da questa ‘anormalità’ appaiono chiuse e taciturne come Dustin Hoffman in Rain Man; tutt’altro, la loro facilità di linguaggio è tale da poter essere definiti “iperlessici”. Si può dire anche che hanno un raro e sviluppato senso dell’umorismo, con un’abilità non comune per capire e creare doppi sensi, giochi linguistici, satira ed altro. Le persone con la sindrome di Asperger, inoltre, appaiono come delle persone molto intelligenti ed in molti casi dei veri e propri geni. Sono immersi nella società e spesso fanno dei lavori molto impegnativi e che richiedono una particolare intelligenza, cultura o concentrazione; ad esempio architettura, ingegneria, programmazione informatica e persino la chirurgia medica. Persone abbastanza ‘normali’ per trovarsi immersi nella società, ma abbastanza speciali per non essere classificati come persone mediocri anche se spesso non si rendono conto di essere così speciali.

I soggetti ‘malati’ della sindrome di Asperger sono spesso attratti, con un intenso livello di attenzione, solo da determinate cose che interessano loro e da attività in cui si possa ritrovare un certo ordine come le classificazioni, liste e simili.

L’individuo può portare avanti anche una vita di successo, poiché spesso manifesta ragionamenti estremamente sofisticati, un’attenzione pressoché ossessiva e una memoria eidetica, ovvero focalizzata sulle immagini visuali e sui dettagli, utile ad esempio nella chirurgia.

Ma allora cos’è che manca? Perché si definisce come sindrome?

L’altra faccia della medaglia

AspergerOvviamente tutto ha un prezzo, e queste persone pagano un prezzo altissimo per queste straordinarie ‘anormalità’. Quello che manca a loro è un’innata abilità di capire ed esprimere gli stati emotivi con gesti, linguaggio corporeo ed espressione facciale.

Le persone affette da sindrome di Asperger, sebbene non manchino di intelligenza e capacità linguistiche, appaiono incapaci di comprendere il significato di semplici segnali come un sorriso, che magari può essere interpretato come una semplice smorfia più che un segno di gradimento. Mancano, inoltre, dell’abilità di capire ciò che non viene detto esplicitamente ed in pari modo essi hanno difficoltà a comunicare con accuratezza il loro proprio stato emotivo.

Mentre la maggioranza delle persone al mondo si trova più o meno nella media per qualunque caratteristica fisica o psichica e di conseguenza non brilla per nessuna di queste, i bambini affetti da questa strana sindrome, invece, brillano come ‘piccoli professori’ in materie a loro piacevoli da studiare e spesso potrebbero mettere in difficoltà anche persone di livello universitario su determinati argomenti per cultura, profondità di pensiero e spiccato senso critico. Tutta questa straordinaria capacità di concentrazione, intelligenza, genialità, cultura, passione per lo studio e per la ricerca, però, è impotente di fronte alla capacità di percepire gli stati mentali degli altri a livello cognitivo ed emotivo. Le persone con la sindrome di Asperger possono osservare un sorriso e non capire se si tratti di un segno di comprensione, di accondiscendenza o di malizia, e nei casi più gravi non riescono neppure a distinguere la differenza tra sorriso, ammiccamento e altre espressioni non-verbali di comunicazione interpersonale. Per loro è estremamente difficile saper “leggere attraverso le righe”, ovvero capire quello che una persona afferma implicitamente senza dirlo direttamente.

Bisogna comunque notare che, trattandosi di un disturbo con ampio spettro di variazione, una certa percentuale di individui con la sindrome di Asperger appaiono quasi normali nella loro capacità di leggere le espressioni facciali e le intenzioni degli altri. Molti di questi inconsapevoli geni, infatti, non sanno neanche di essere affetto da una forma lieve di questa patologia, mentre altri più gravi mostrano difficoltà anche nel guardare negli occhi le altre persone, ritenendolo pericoloso e al di sopra delle proprie possibilità, oppure hanno un contatto visivo eccessivamente fisso, che può essere avvertito come “disturbante” per le persone comuni.

Genialità: Croce e Delizia

frustratoBisogna parlare anche della parte più oscura della sindrome di Asperger che come avrete intuito non dà quello che si potrebbe definire una vita tutta rose e fiori. Spesso può portare al soggetto molti problemi nelle interazioni sociali tra persone di pari livello. Un bambino affetto da tale sindrome, ad esempio, ha difficoltà a decodificare i segnali impliciti su cui si reggono le interazioni sociali e può essere messo da parte dai coetanei, generando un’alienazione sociale talmente intensa che il bambino può arrivare a creare degli amici immaginari per sentirsi in compagnia.

I problemi proseguono anche nella vita adulta, molti individui con la sindrome di Asperger, infatti, non possono avere una vita considerata socialmente appagante dalla gente comune, molti infatti rimangono pressoché soli, anche se è possibile che stringano strette relazioni con alcuni individui.

Stiamo trattando di una patologia con un diverso grado di severità, quindi si troveranno anche molte persone, che soffrendo di questo disturbo, si sono sposate e hanno avuto figli; i loro bambini possono essere persone comuni o soffrire di qualche disturbo di tipo autistico.

Tutt’oggi la causa della sindrome di Asperger non è ancora nota, anche se si sa che c’è una forte influenza genetica e non ci sono differenze neurologiche confrontati ai soggetti così detti ‘normali’.

I soggetti non hanno avuto alcun trauma evidente da piccoli, non sviluppano un ritardo nel parlare e non manca il desiderio di comunicare con l’esterno.

Tutto sommato le persone con la sindrome di Asperger sono vittime inconsapevoli dei lati oscuri della genialità, sono più facili a cadere in una forma depressiva rispetto alla popolazione generale perché essi hanno spesso difficoltà a comunicare problemi o capire quando è il momento di mostrare affetto. Amano come gli individui ‘normali’, e forse di più perché spesso sono soli, ma sono molto letterali nel parlare e hanno difficoltà nel comunicare in maniera emozionale, e frequentemente possono instillare nella propria compagna insicurezza e confusione.

Riflessioni

handicapMalattia quindi? o dono divino? Un fardello, appesantito dalla solitudine, da portare sulle spalle o semplici effetti collaterali della genialità?

Sicuramente le persone con la sindrome di Asperger non si potrebbero definire come semplici pazienti da ‘curare’, ma persone con grandi doti di intelligenza che possono contribuire attivamente allo sviluppo della società e della civiltà, come è già successo in passato. Il trattamento per la sindrome di Asperger, quindi, non c’è, ma attualmente si cerca di migliorare gli effetti collaterali che questi sintomi possono procurare. Poiché in fondo, spesso sono persone che hanno solo bisogno di essere accettati per le proprie caratteristiche. Come un non vedente che vuole dalla società un mondo più accessibile per non esserne escluso… allo stesso modo c’è chi non legge le espressioni degli altri e vorrebbe la stessa cosa. Immaginate chi si dovrebbe definire portatore di handicap… Un genio che ‘non vede’ le espressioni del viso? Oppure le persone ‘normali’ che hanno un intelletto più limitato?

Forse in questo caso la definizione ‘diversamente abile’ sarebbe più azzeccata che mai.

Tags: anormalità, autismo, genialità, handicap, Mente, Neuroscienze, normalità, Percezione, Psicologia, Sindrome di Asperger, Visione

4 marzo 2008 - 2:06 am

Allo specchio

A tutti noi è capitato di dover imparare a fare qualcosa: come è noto uno dei modi migliori è iniziare guardando qualcun altro che fa ciò che vogliamo imparare. Che si tratti di suonare uno strumento, usare un macchinario in laboratorio o imparare a parlare, infatti, l’imitazione gioca sicuramente un ruolo importante nel nostro processo di apprendimento. Ma come funziona esattamente tutto ciò? Abbiamo già detto in post precedenti (ad es. questo e questo) che il nostro cervello memorizza ed impara attraverso il rafforzamento di alcune sinapsi e l’indebolimento di altre… ma come entra l’imitazione in questo sistema?
Purtroppo non vi posso dare una risposta completa, ma vi posso raccontare almeno parte della storia.


Un macaco neonato imita un ricercatore che tira fuori la lingua!
(da Evolution of Neonatal Imitation. Gross L, PLoS Biology Vol. 4/9/2006, e311)

Tutto cominciò circa una decina di anni fa con gli studi di Giacomo Rizzolatti e colleghi all’università di Parma, i quali stavano studiando l’attività dei neuroni della corteccia premotoria del macaco, una regione coinvolta nella pianificazione delle azioni e nella decisione di quali atti compiere (da cui il nome premotoria). Ad esempio, alcuni neuroni di questa regione potrebbero venire attivati quando il macaco prende un pezzo di cibo da un piatto per metterlo in bocca, altri potrebbero essere attivati quando invece si arrampica su di un albero.
Durante i loro studi, Rizzolatti e colleghi scoprirono l’esistenza di una sottopopolazione (10-20%) di questi neuroni, i quali vengono attivati sia quando l’animale fa una certa azione (es. prende una banana), sia quando vede un altro animale fare la stessa azione. Questi neuroni furono chiamati mirror neurons o neuroni specchio e sembrano essere degli ottimi candidati per spiegare questi processi di apprendimento per imitazione.
La precisione di questi neuroni è notevole: ad esempio, un certo neurone che veniva attivato quando la scimmia prendeva il cibo, veniva anche attivato quando vedeva il ricercatore prendere il cibo. Se però quest ultimo usava delle pinze per prendere il cibo l’attivazione era molto minore, e praticamente nulla se faceva il gesto di prendere qualcosa, ma senza che effettivamente ci fosse del cibo.
Da allora, molti studi sono stati fatti nel campo dei neuroni mirror che sono stati trovati anche nell’uomo e in alcune specie di uccelli (come vedremo nella seconda parte di questo post).
In particolare sembra che questi neuroni siano molto importanti nei processi di apprendimento del linguaggio e altri studi hanno suggerito che un loro malfunzionamento potrebbe essere in parte implicato nell’autismo.

Per chi fosse interessato, ecco il link ad uno degli articoli di Rizzolatti: Action recognition in the premotor cortex

(continua…)

Tags: Imitazione, Memoria, Mente, Neuroscienze, Percezione, Plasticità sinaptica, Visione
2 dicembre 2007 - 2:52 am

L’ho visto con i miei occhi!

Non c’é dubbio che gli occhi siano importanti per farci vedere ciò che ci circonda, tuttavia bisogna ricordare che un ruolo forse ancora più importante nel processo della visione è giocato dal cervello. Il cervello, infatti, ci permette di interpretare le informazioni derivanti dalla luce che colpisce la retina e di trasformarle nella nostra visione del mondo che ci circonda. Tuttavia, quello che il nostro cervello ci dice a volte non corrisponde alla realtà…

Per dimostrarvi questo vi voglio proporre un esperimento classico (credo sia stato fatto per la prima volta attorno al 1600… ma al tempo non c’erano i blog quindi magari qualcuno se l’è perso!). Si tratta di uno degli esperimenti che permettono di mostrare l’esistenza del punto cieco nella retina. Il punto cieco è un punto nella retina di ciascun occhio da cui si diparte il nervo ottico: questa parte della retina è priva di fotorecettori e quindi non può inviare informazioni sulla luce che la colpisce.
Nonostante le nostre retine abbiano questo “buco” noi non ce ne accorgiamo…. come mai? Parte di questo è dovuto al fatto che la nostra visione è binoculare, quindi ciascun occhio sopperisce alla mancanza di informazioni del punto cieco dell’altro, e parte è dovuto al fatto che il nostro cervello “interpola” quello che dovremmo vedere nel punto cieco.

Ma passiamo al nostro esperimento: chiudete l’occhio destro e guardate l’immagine qui sotto, tenendo lo sguardo fisso sul pallino. Nella periferia del vostro campo visivo dovreste essere ancora in grado di vedere la X. Ora muovetevi lentamente verso lo schermo (o allontanatevi… dipende a che distanza siete!) fino a che, ad un certo punto la X sparirà! Questa misteriosa sparizione è dovuta al fatto che l’immagine della X è a questo punto finita nel punto cieco della retina sinistra e quindi non la possiamo più vedere (a meno di non aprire l’occhio destro ovviamente).

Se però vi chiedessi cosa vedete al posto della X… mi rispondereste che vedete lo sfondo bianco! Ebbene sì, il nostro cervello si “inventa” lo sfondo per sopperire alla mancanza di informazioni in quel punto. Se lo sfondo dell’immagine fosse ad esempio verde, vedreste che al posto della X c’è del verde.

Ancora più interessante è il caso di quest’altra immagine.

In questo caso il nostro cervello, quando la X va a finire nel punto cieco, va a completare la linea… che pure non è mai stata completa! E la cosa funziona anche se i due tratti non sono allineati…

Molto interessante è il fatto che sembrano esserci differenze nell’interpretazione di questi fenomeni a seconda dell’orientamento della linea.

Un caso clinico in cui ritroviamo questa capacità di interpolazione del nostro cervello è quello degli scotomi, aree del campo visivo in cui c’è una perdita di visione dovute, ad esempio, a danno alla corteccia cerebrale. Questi furono inizialmente studiati negli anni ’20 da Sir Gordon Holmes su veterani della prima guerra mondiale che durante la guerra avevano subito piccole lesioni nella corteccia visiva (la parte posteriore della corteccia cerebrale). Questi individui presentavano delle aree di cecità nel loro campo visivo, che potevano essere riconosciute facendo loro chiudere un occhio e muovendo una luce in varie posizioni del campo visivo, mentre guardavano un punto fisso: insomma, una variante dell’esperimento visto qui sopra. La cosa straordinaria è che chi ha un piccolo scotoma spesso non se ne accorge se non in particolari situazioni, così come noi non ci accorgiamo del nostro scotoma nel punto cieco della retina. Il lavoro di Sir Gordon Holmes fu molto importante per determinare come la retina viene mappata sulla corteccia cerebrale. Tra le altre lo studio di questi fenomeni ha portato a scoprire che la parte centrale della retina, che raccoglie la luce del punto che stiamo fissando viene mappata su di un’area molto più grande della corteccia visiva rispetto alle parti periferiche della retina, in modo da avere una risoluzione molto maggiore e permetterci di notare i fini dettagli del punto che stiamo fissando.

Finisco con un aneddoto storico: si narra che il re Carlo II di Inghilterra usava “decapitare virtualmente” le persone a lui non gradite chiudendo un occhio e facendo andare la testa dello sfortunato nel punto cieco dell’altro! Una pratica un po’ macabra forse, ma accettabile se poi il poveretto non veniva decapitato davvero!

Tags: Neuroscienze, Percezione, Visione