Uno sguardo ai meccanismi della mente

Inside Neuroscience

28 aprile 2010 - 2:08 pm

Quando il Cervello Decide il Suicidio (VII Parte): Dieci Piccoli Indiani

Dieci piccoli indiani


Preambolo

Nella puntata precedente abbiamo visto un esempio di un delitto mirato ad uno dei punti cardini delle difese cellulari. I fatti ci dimostrano  sempre più che la morte neuronale in seguito ad ischemia non sia un evento incidentale, ma voluto da qualcuno con le idee ben chiare su quali difese eliminare e chi distruggere secondo uno schema prestabilito.

Dieci piccoli indiani

Per chi non ha tempo può leggere direttamente il prossimo paragrafo.

Nell’aprile del 1841, Edgar Allan Poe pubblicò “I delitti della Rue Morgue”, considerato da molti il primo racconto ‘poliziesco moderno’ della storia della letteratura. Pochi sanno che questo racconto rappresenta anche il primo esempio di un particolare tipo di giallo definito il “mistero della camera chiusa”. In questa tipologia di racconto si cerca di scoprire il responsabile di un delitto compiuto in circostanze apparentemente impossibili, poiché il bersaglio del crimine generalmente è isolato dal resto del mondo. Sicuramente si tratta di un genere letterario di difficile stesura, infatti molto spesso l’autore ricorre a passaggi segreti, all’intervento di animali o altro che sono sapientemente nascosti fino alla conclusione del racconto. Persino Conan Doyle, Edgard Allan Poe, e tanti altri prestigiosi autori hanno fatto ricorso a questi espedienti.

Probabilmente l’essenza del genere letterale è stata superbamente rappresentata da Agata Christie nel suo giallo intitolato “…e poi non rimase nessuno” poi aggiornato in “Dieci piccoli indiani”. Qui non vi è trucco né inganno, la storia narra di dieci persone che si ritrovano su di una isola deserta su cui all’arrivo verrà annunciata la morte di ciascun protagonista. La cosa sorprendente è che si verifica ciò che è esplicitamente scritto nel titolo, ovvero muoiono tutti e nessuno entra o esce dall’isola. Nella storia non vi è alcuna persona al di sopra di ogni sospetto e non vi è alcun Deus ex machina che risolve il delitto. L’intera storia è narrata dal di fuori dei personaggi senza entrare nella loro testa, mediante sguardi sospetti reciproci, dubbi, perplessità teorie varie. Sicuramente un capolavoro si psicologia e suspense che ha debitamente meritato il record di vendite di libri e le diverse trasposizioni cinematografiche.

Ovviamente non vi svelo il finale ma forse questa storia è interessante poiché potrebbe essere la chiave di lettura di questo post.

Il cervello in una stanza chiusa

Le analogie tra i delitti della camera chiusa e l’ictus sono molteplici.

Il delitto ovviamente è consumato durante il propagarsi del danno neuronale e l’annuncio è dato dal mancato afflusso di sangue, ma perché si dovrebbe considerare il cervello come una stanza chiusa ed isolata?

Il cervello è avvolto da una barriera, detta ematoencefalica (BEE), che lo isola dal sangue circolante. In pratica solo pochissime sostanze controllatissime possono raggiungere l’encefalo mediante diffusione passiva oppure trasporto proteico.

Questa barriera ematoencefalica difende il nostro centro di comando e di pensiero dagli effetti potenzialmente dannosi di sostanze, virus o batteri che circolano nel nostro organismo. Persino i farmaci che dovrebbero agire sul SNC debbono avere delle caratteristiche molto particolari per raggiungere un singolo neurone. Oltrepassare la BEE non é per niente facile sia per entrare che per uscire dal cervello, sebbene esistano dei punti con maggiore permeabilità.

Ciononostante, oltre la BEE ci sono degli strati di astrociti che tamponano ulteriormente l’afflusso di sostanze dal sangue ai neuroni.

Il cervello, inoltre, é immerso in un liquido (liquor cerebrospinale) che serve per alleggerire il proprio peso, per attutire eventuali colpi alla testa e diminuire l’effetto degli sbalzi termici. Ebbene nuotando in questo liquido sarebbe possibile raggiungere quasi ogni regione cerebrale in poco tempo. Il liquido encefalorachidiano, infatti, oltre ad avvolgere completamente l’encefalo, il cervelletto fino al midollo allungato, passa anche dentro il cervello stesso attraversando dei vuoti detti ventricoli cerebrali. Questo é un meccanismo che permette una ottima estensione della superficie di contatto.

C’è da considerare, però, che il cervello è avvolto anche da involucri connettivali membranosi costituiti di 3 lamine concentriche particolarissime, definite, meningi. Dall’esterno verso l’interno all’interno c’è la dura madre (o dura meninge), l’aracnoide, e la pia madre (o pia meninge).

Il ruolo fondamentale delle meningi è la protezione meccanica del SNC ed impedire a sostanze tossiche, metaboliti e farmaci di penetrare dal sangue all’ambiente perineuronale. Serve anche per nutrire il tessuto cerebrale ed a riassorbire parte del liquor cerebrospinale.

Ritorniamo alle indagini

Una volta constatato che c’é in giro un assassino molto furbo e raffinato, il primo punto in discussione oggi é la permeabilità, ovvero verificare se il cervello é veramente isolato oppure c’é qualche passaggio segreto che consentirebbe ad un malintenzionato di entrare e fuoriuscire indisturbato dalla scena del crimine.

Consideriamo ad esempio il ruolo del cervello nel sovraintendere le ghiandole endocrine dell’organismo. L’ipofisi è parte del SNC e stimola numerose funzioni del nostro organismo attraverso la liberazione di numerosi ormoni proteici e non. Come può svolgere questa funzione al di là della barriera? Indagando bene la BEE ha delle piccolissime zone di ‘fenestramento’. Zone in cui la barriera é più sottile e passano più facilmente gli ormoni proteici. Tuttavia queste zone non possono essere facilmente utilizzate per far entrare farmaci, poiché rappresentano una superficie estremamente piccola e con un percorso per raggiungere tutto il sistema nervoso centrale molto lungo. Qualsiasi sostanza o cellula che voglia intraprendere questo percorso dovrebbe oltrepassare la BEE, poi una serie di barriere gliali, assonali, l’ipofisi e poi tutto il cervello per arrivare alla corteccia dove avverrà l’ictus. Un percorso troppo lungo e complicato per una qualsiasi sostanza da poter sostenere come realistica.

Ci può essere però un’eccezione nota a tutti. Si sa, infatti, che i linfociti ed i macrofagi si ritrovano nel sangue e possono attraversare l’endotelio dei capillari senza causare danni e soprattutto in maniera mirata per raggiungere il sito di infiammazione.

Potremmo considerare l’ischemia cerebrale con una componente infiammatoria e quindi potremmo anche pensare che ci sia una possibilità per le cellule infiammatorie attivate di oltrepassare le barriere e ritrovarsi nel SNC.

Andiamo in laboratorio e riproduciamo l’ictus in un modello animale ed osserviamo il cervello e le cellule accorse sul luogo del danno. La prima sorpresa é che nel SNC non ci sono le classiche cellule del sistema immunitario né in condizioni fisiologiche e neanche in corso di infezione. Il cervello, infatti, é privo di linfociti, macrofagi ed altre cellule classiche del sistema immunitario. Per difendersi il cervello presenta una particolare forma di glia che fa le veci del sistema immunitario. Si definisce microglia, una particolare forma di glia che di fatto é una forma di cellule immunitarie residente nel SNC. Rappresentano circa il 20% della popolazione gliale, e circolano liberamente attraverso la stretta maglia dei neuroni e della glia in cerca di neuroni danneggiati, placche e agenti infettivi. Ovviamente si dirigono sul luogo dell’infiammazione o sul sito di richiamo ed hanno funzioni molto interessanti.

La microglia

Immaginiamo un ipotetico interrogatorio per conoscere meglio il nostro candidato.

“Lei chi è e cosa ci fa in questa ‘casa’?”

“Io sono parte integrante del sistema immunitario. Il mio ruolo è quello di proteggere gli abitanti del cervello da eventuali infezioni od eventi dannosi.”

Perché non ci sono le cellule del sistema immunitario qui?”

“Perché non è possibile passare attraverso la BEE, i macrofagi, le cellule B ed altre sono recluse fuori ed io sono reclusa dentro il cervello. Non sono possibili scambi”

Se ho capito bene Lei non è né una forma neuronale e nemmeno una vera glia. Da dove viene Lei?”

“Io derivo dalle cellule staminali ematopoietiche, le stesse che danno origine alle altre cellule del sistema immunitario”

Allora Lei come ha fatto ad entrare qui senza attraversare la BEE? C’è qualche passaggio segreto forse?”

“Le cellule microgliali sono originate durante l’embriogenesi, quando la BEE non esisteva ancora. In pratica una piccola popolazione di cellule staminali ematopoietiche migrano in quello che sarà il SNC e si differenziano in microglia. Una volta chiusa la BEE nessuno entra e nessuno esce”

uhmm… c’è una cosa che non mi quadra. I macrofagi, le cellule dendritiche, e tantissime altre cellule del sistema immunitario spesso si usurano e vengono rimpiazzati da altre cellule nuove che si differenziano secondo le necessità. Lei non invecchia mai? Non riceve mai un rinforzo dall’esterno per combattere le infezioni?”

“In verità no. Le cellule del midollo osseo non possono aiutarmi in alcun modo, poiché non possono attraversare la BEE, quindi siamo sole e facciamo il possibile.”

“…e quando si trova in difficoltà? Come fa?”

“La BEE generalmente non lascia passare molti organismi patogeni e ciò basta per un equilibrio. Tuttavia, se le circostanze lo richiedono abbiamo una discreta capacità di replicazione e possiamo combattere gli agenti patogeni con notevole forza.”

“Alcuni esperti sostengono che i suoi progenitori sono in grado di accorrere nel SNC quando ci sono infezioni molto gravi. Devo dedurre che c’è qualche modo per oltrepassare la BEE”

“Questo capita quando l’infiammazione o chi l’ha causata danneggia la BEE, in questo caso è possibile che dei nostri progenitori abbiamo abbastanza spazio per attraversare la BEE e differenziarsi in loco per combattere al nostro fianco.”

Il sospetto

Qualcosa non quadra perfettamente. Il sistema immunitario è un complesso meccanismo di riconoscimento degli agenti infettivi attraverso diversi tipi di cellule specializzate. Un agente infettivo può essere riconosciuto in maniera innata oppure attraverso l’apprendimento, in ogni caso gli anticorpi hanno un ruolo essenziale per tale riconoscimento. Nessuna cellula può essere in grado di riconoscere tutte le possibili combinazioni di agenti infettivi non-self.

Proviamo a stringere l’interrogatorio sul nostro indagato

“Come fa a riconoscere un agente infettivo? La BEE non lascia passare nemmeno gli anticorpi, e senza le cellule B è improponibile saper riconoscere tutti i possibili agenti patogeni.”

“Da questa parte della BEE ci dobbiamo arrangiare a riconoscere gli agenti patogeni attraverso piccoli cambiamenti patologici che hanno luogo nel SNC. In verità ci sono solo poche e controllatissime cellule nel SNC, ogni cosa fuori posto è subito notata. Ad esempio ci possono essere anche dei piccoli cambiamenti nell’ambiente ionico del cervello per indicare una certa sofferenza”

“Si è mai sbagliato a riconoscere un estraneo? In altre parole ha mai riconosciuto come patogeno o infettivo un neurone?”

“A volte mi è capitato, specie quando un neurone sta per morire si attiva un meccanismo di fagocitosi e rimozione dei residui prima che i frammenti possano danneggiare le cellule circostanti. Oppure in alcune patologie dove i neuroni invecchiano precocemente e sono costretto ad intervenire”

“…e nel caso di ictus? Ha trovato in questo caso degli agenti infettivi? O ha praticato eutanasia su qualche cellula del SNC?”

“In verità sono accorso quanto prima cercando di capire perché morivano così tanti neuroni, ma non ho potuto far nulla per salvarli”

“Perché Lei non è morto durante il propagarsi del danno neuronale insieme ai neuroni ed alla glia?”

“Sono stato chiamato in ritardo dai neuroni danneggiati, sono accorso quanto prima ma la situazione era già disperata, ho provato a liberare sostanze per sostenere i neuroni, ma quando le cose sono andate male mi sono allontanato per salvarmi”

Conclusione

In questo post abbiamo introdotto un nuovo individuo del SNC, un terzo incomodo misterioso che coabita con le vittime e che ha un comportamento alquanto strano. Nel prossimo post lo sottoporremo ad un vero processo per capire bene il suo ruolo e la sua posizione in questo intricato giallo.

Alla prossima

Related Posts

  1. Quando il Cervello Decide il Suicidio (VIII Parte): Gli 007 del SNC
  2. Quando il Cervello Decide il Suicidio (II Parte): Se si trattasse di un insolito thriller…
  3. Quando il Cervello Decide il Suicidio (VI Parte): I Gemelli
  4. Quando il cervello decide il “suicidio”: I Parte
  5. Quando il Cervello Decide il Suicidio (III Parte): Le ultime ore delle vittime
  • Engelium - 2 maggio 2010 # 1

    Splendida realizzazione. Davvero complimenti per l’originalità e maestria dimostrate in questa serie di articoli :D

    In questo campo non capita troppo spesso di leggere articoli senza un certo grado di noia/sofferenza :P

    Saluti :)

  • Neuroscience - 2 maggio 2010 # 2

    Ti ringrazio Engelium

    Pasquale

  • valentinaT - 6 maggio 2010 # 3

    eheheeh! sono d’accordo con Engelium!

    evitare la sofferenza in questi argomenti è alquanto difficile….^_^

    complimenti Pasquale! ^_^

  • patrizia - 15 maggio 2010 # 4

    complimenti, splendido lavoro e splendido approccio al dolore

  • Enrico D'Ascenzo - 25 maggio 2010 # 5

    Articoli autorevoli, semplici, come scrive chi conosce bene la materia. Complimenti!

    Viene da chiedersi: “Perche’ i libri di scuola non sono scritti in simile modo? Perche’ non si lascia fare il lavoro a chi lo sa fare? Perche’ i cosiddetti luminari sono cosi’ ermetici quando spiegano a lezione? Forse non ne sono capaci!?”

    Un caloroso satuto,

    Enrico D’Ascenzo

  • Neuroscience - 25 maggio 2010 # 6

    Caro Enrico,

    Certamente i ‘luminari’ non sono selezionati per le loro capacità esplicative e didattiche, bensì per le loro doti di intelligenza, intuito e capacità di ‘indagine’ in cose oscure.
    E’ per questo che ci sono persone che si dedicano, invece, a far conoscere agli ‘altri’ qualche scintilla delle scoperte fatte.

    E’ estremamente raro far coincidere entrambe le capacità in un’unica persona.

    In bocca al lupo

  • [...] [...]