Uno sguardo ai meccanismi della mente

Inside Neuroscience

16 giugno 2010 - 5:25 pm

Le cellule-stella sono tante, milioni di milioni…Il responso finale (O quasi)

A cosa servono gli astrociti? Negli scorsi post abbiamo cercato di rispondere a questo interrogativo esaminando due opinioni opposte. Chi dice che le cellule-stella abbiano un ruolo nei processi cognitivi superiori come apprendimento e memoria, e chi dice che queste cellule siano solo di supporto ai neuroni. Qual’è la verità? Ad oggi, non abbiamo ancora certezze. Però, esiste un possibile “modello” che spiega quanto si è finora scoperto. Continue Reading »

Tags: apprendimento, Astrociti, Calcio, Cellule-stella, IP3, Memoria, Neuroni, transient receptor potential
31 maggio 2010 - 7:32 pm

Memoria e astrociti: una buia notte senza stelle?

Memoria, apprendimento… Meccanismi ben lontani dall’essere svelati. I neuroni, fino a pochi anni fa dominatori indiscussi della scena, stanno dividendo le luci della ribalta con qualcuno che potrebbe togliere loro il ruolo di protagonisti nei fenomeni neurologici: gli astrociti. Le ormai famose cellule-stella sono al centro di una diatriba: c’è chi sostiene un loro ruolo nella comunicazione tra neuroni e chi al contrario vorrebbe continuare a considerare queste cellule come “assistenti” che aiutano le cellule neuronali a vivere ben nutrite.

Quale sarà la giusta soluzione? Continue Reading »

Tags: Astrociti, Calcio, Cellule-stella, GPCR, IP3, Memoria, Neuroni, plasticità neuronale, recettori, sinapsi
3 maggio 2010 - 2:08 pm

Quando la memoria nasce da una stella: c’era una volta un’astrocita…

Come funziona la memoria? Quali parti del cervello sono coinvolte e quali cellule? Un mistero ancora da svelare…Opinione comune nel mondo scientifico è che gli attori principali nel meccanismo mnemonico siano i neuroni. Tuttavia, nell’encefalo esistono altre cellule, in quantità molto maggiore. E se fossero gli astrociti, le cellule-stella, a darci le risposte di questi interrogativi?

Dopotutto, queste cellule costituiscono circa il 90% del tessuto cerebrale…

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Tags: Astrociti, Attività sinaptica, Calcio, Cellule-stella, D-serina, Glutammato, Ippocampo, LTP, Memoria, Neuroni, NMDA
15 settembre 2009 - 6:48 pm

Quando il Cervello Decide il Suicidio (V Parte): Il maggiordomo

Ischemia Cerebrale (Parte V): Il maggiordomo

Qualcuno disse che non ci può essere giallo dove non ci sia anche il maggiordomo e la servitù. Il nostro poliziesco non ne è immune ovviamente, vediamo il proseguio delle indagini.

Preambolo

Continuiamo il nostro percorso in questo strano giallo, per chi non avesse seguito le puntate precedenti vi prego di visitare i seguenti links 1, 2, 3 e 4. Qui tratteremo un post di ‘transizione’, molto più semplice dei precedenti, ma che ci serve per capire i prossimi capitoli che saranno un po’ più complessi del solito.

Data la lunghezza eccessiva ho deciso di tagliare la storia in più sezioni, in questa vi presento la premessa (l’incontro). Come al solito sono bene accetti commenti di ogni tipo, suggerimenti per gli argomenti da trattare o migliorare.

La quiete dopo la tempesta

Sunset02Come abbiamo visto nel precedente post, il nostro ispettore cellulare è stato improvvisamente freddato dallo scagionamento del primo imputato eccellente. La teoria iniziale non faceva una grinza e c’erano anche molti indizi pesanti contro l’accusato. Purtroppo con il tempo e con l’uso di sostanze sempre più specifiche per il blocco del fattore transcrizionale la teoria della difesa ha avuto sempre più supporto. HIF-1 non è sicuramente una proteina da mettere tra i cattivi per l’ischemia cerebrale. A quanto pare c’è stato un grosso fallimento da cui abbiamo imparato a non concludere facilmente le indagini prima di approfondirle con cura.

Siamo quindi costretti a ritornare sui nostri passi ed ricominciare le indagini dall’inizio con più zelo, cercando di raccogliere informazioni sempre più precise e concordanti su cosa stava accadendo ai neuroni poco prima di morire.

Direi di iniziare l’interrogatorio su tutti i possibili testimoni oculari o detentori di informazioni cruciali.

Dove trovare i colpevoli?

cercarePensare all’ipossia come innesco di un meccanismo che porterà a morte inevitabile per i neuroni non è male come teoria, tuttavia ci sono dei ricercatori che la pensano diversamente. Una volta, in un congresso un mio amico mi fece un’obbiezione inappellabile… per quanto possa essere interessante quel meccanismo che innesca la morte delle cellule, non c’è modo di evitarlo, un paziente arriva al pronto soccorso quando manifesta già i sintomi, ovvero quando c’è già stato “l’innesco letale”. Inoltre non è neanche possibile prevedere quando un individuo avrà un ictus, la nostra unica possibilità di aiutarlo risiede proprio in quella finestra di tempo che intercorre tra la comparsa dei sintomi e l’effettiva morte neuronale.

Se ci pensate è assurdo che le cellule siano ancora vive quando arrivano nelle nostre mani, e nonostante i nostri mezzi siamo incapaci evitarne la morte. Se vogliamo veramente fare qualcosa il primo punto dell’ordine del giorno deve essere fermare l’arma che ucciderà i neuroni, e solo dopo capire chi ha innescato il meccanismo ed è colpevole (scoprire il mandante).

Nel nostro caso dovremmo soffermarci sul perché le cellule non riescono più a gestire il calcio e muoiono. La soluzione di questo enigma sarà certamente correlata con la possibilità di salvare le cellule, mentre la cattura del mandante che ha scatenato la serie di eventi non servirà ad evitare nessun decesso cellulare al momento. Solo in un passaggio successivo potremmo chiarire anche chi ha causato tale massacro neuronale e perché.

Seguendo questa linea di pensiero in questo post ci concentreremo sui meccanismi di controllo e mantenimento dell’omeostasi ionica, cercando di fare il punto della situazione per poi trarne degli indizi.

La prima domanda è chi mantiene in ordine le concentrazioni ioniche intra ed extra cellulari?

CarloBevilacquaCameriera1952Se fate questa domanda ad un qualsiasi esperto nel settore vi dirà che ci sono migliaia di proteine che fanno ‘ordine’ tra i diversi ioni, e sono divise in famiglie, superfamiglie e classi. Questi meccanismi possono dividersi grossolanamente in pompe e trasportatori, in base al fatto che usano direttamente, o no, l’ATP.

Tra le pompe più famose ci sono la Na+/K+ ATPasi che estrude sodio e fa entrare potassio, la pompa del calcio di membrana ed endoplasmatica (PMCA e SERCA), etc. Tra i trasportatori passivi i più noti sono lo scambiatore sodio/calcio (NCX), lo scambiatore sodio/calcio potassio (NCKX), lo scambiatore sodio/idrogeno (NHE), ed altri. Si tratta di un gruppo enorme di proteine che mettono continuamente in ordine i vari ioni, riportando continuamente le condizioni cellulari allo stato di riposo dopo le stimolazioni nervose che sono servite per attivare la cellula e per comunicare con il neurone successivo. E’ un po’ come avere delle cameriere e dei maggiordomi in una grande villa che mettono continuamente in ordine le camere ogni qual volta sono utilizzate.

Oggi ci concentreremo proprio su questi personaggi che stavano lì quando dalla calma apparente si è scatenata la disfatta neuronale.

La domanda ora è ‘Perché non hanno funzionato a dovere nel momento del bisogno?’

Vale la pena rispondere con chiarezza.

Prima domanda: Chi era in servizio durante l’ischemia e poco prima?

teamA questa domanda c’è una risposta più o meno ovvia. Poco prima dell’ischemia funzionava tutto come al solito, nulla lasciava presagire il disastro, e tutte le proteine risiedevano al loro nomale posto fino a che è mancata l’energia necessaria per il trasporto attivo degli ioni. Quando è iniziata a mancare l’energia l’efficienza del trasporto ionico si è ridotta mentre il disordine ionico dei neuroni aumentava. Poco dopo questa fase gli unici che potevano fare qualcosa erano gli scambiatori ionici che non necessitano di ATP, ma il destino della cellula era oramai segnato; senza ATP non si può andare avanti per molto. Poi d’improvviso è arrivata nuova energia e tutto è cominciato a rifunzionare alla normalità fino al danno irreparabile.

In questa indagine tutto è sottoposto alla lente di ingrandimento, e nulla è dato per scontato, quindi le dichiarazioni vanno convalidate e come al solito andiamo in laboratorio con una ricostruzione del delitto per cercare di confutare tali ipotesi. In questo caso potremmo ricorrere ad esperimenti in vitro fatto con delle cellule neuronali sottoposte a dei modelli di deprivazione di ossigeno e glucosio, seguito dalla riossigenazione. Si tratta ovviamente di un modello molto semplice, ma che ci evita di sacrificare animali, e consente un maggiore grado di controllo delle condizioni sperimentali. Effettivamente quando manca ATP funzionano solo i trasportatori passivi, e la loro capacità di controllare l’omeostasi ionica è discreta considerando le condizioni di emergenza. Inoltre nulla sembra cambiare nell’assetto dei vari trasportatori attivi e passivi, dopotutto non c’è abbastanza energia e tempo per cambiare le cose con una sintesi/degradazione proteica. I sistemi sono ri-settati all’essenziale ed a tutto quello che può aiutare a tamponare i danni o trarre energia.

Se tutte queste considerazioni sono vere dobbiamo escludere chi non poteva funzionare al momento dell’ictus e considerare invece solo chi poteva ed ha fatto qualcosa…

La prossima domanda è quindi: Chi funzionava al momento e cosa stava facendo?

NCX: il maggiordomo

battista1A questo punto del racconto io mi recherei sul luogo del delitto alla ricerca di qualche indizio e soprattutto di qualche risposta.

Escludendo le pompe che fanno uso di ATP, tra i pochi trasportatori passivi che rimangono e che possono dare un consistente aiuto c’è lo scambiatore sodio/calcio (NCX).

Io immaginerei un ipotetico interrogatorio a questa proteina, magari in una stanza buia e fumosa.

Lei chi è?

NCX è una proteina di membrana fatta da circa 1.000 aminoacidi che è presente in tutte le cellule dei mammiferi e che fisiologicamente espelle il calcio citosolico in cambio dell’ingresso di sodio.

Da quanto tempo è in servizio?

In pratica quasi tutti gli organismi possiedono uno scambiatore del calcio, e sono tutti filogeneticamente collegati da un gene ancestrale che si è mantenuto molto conservato sia nella sua struttura che nella sua funzione. In altre parole è una proteina presente negli archeobatteri, funghi, piante, fino a tutte le cellule eucariotiche di mammifero, quindi una proteina davvero molto conservata…

Davvero notevole, ma mi dica… qual è la Sua funzione nel cervello e con chi collabora solitamente?

Sappiamo bene che, quando i neuroni si trovano a riposo, le concentrazioni ioniche sono mantenute soprattutto da pompe che fanno uso di energia sottoforma di ATP. In queste condizioni un trasportatore passivo come NCX funziona relativamente poco, poiché ha una bassa affinità per il calcio e per il sodio. Tuttavia le condizioni cambiano drasticamente dopo l’eccitazione neuronale, ovvero quando le concentrazioni di calcio citosolico aumentano improvvisamente a dismisura, le pompe si saturano e non riescono a riportare la cellula alle condizioni ioniche di riposo. In queste circostanze entrano in funzione NCX e proteine simili che hanno una bassa affinità per gli ioni, ma possono trasportarne enormi quantità in pochi istanti.

In pratica NCX espelle uno ione calcio mediante scambio con tre ioni sodio che entrano nella cellula, (proprio da questo deriva il suo nome).

Quindi Lei è specializzato nelle condizioni di ‘emergenza’, ovvero quando le pompe non riescono a mettere ordine… cosa mi sa dire riguardo all’ipossia? cosa stava facendo in quei momenti?

La risposta sarebbe ovvia. NCX stava espellendo il calcio dalle cellule sfruttando l’unica fonte di energia disponibile al momento ovvero il gradiente del sodio.

Perché?

Come già abbiamo accennato nei post precedenti il calcio è un ottimo segnale citosolico, ma quando supera certi livelli può causare disastri, quindi l’azione di NCX è in linea con le aspettative.

Ha visto qualcosa di strano in quei ‘momenti’? Può dirmi qualcosa a tal riguardo?

Quello che NCX ha visto è che la pompa del calcio in una prima fase era efficiente e riusciva a mantenere le concentrazioni di calcio citosolico a livelli estremamente bassi, ma riusciva ad espellere solo pochi ioni alla volta. Ad un certo punti si stava accumulando il calcio, la pompa è andata subito in saturazione e non riusciva ad espellere abbastanza ioni… poi è cominciata a mancare l’energia e l’efficienza di estrusione si è ridotta sempre di più. Si stava accumulando calcio citosolico oltre i normali livelli e tempi sopportabili per il neurone, per cui NCX è entrato in funzione ed ha espulso fino ad oltre 10.000 volte più ioni calcio nell’unità di tempo rispetto alla pompa in presenza di ATP, un fenomeno insomma.

…e cosa sa dirmi su cosa sia successo negli ultimi ‘istanti di agonia’? Alla fine è riuscito a tenere sotto controllo il calcio?

Effettivamente ci è riuscito parzialmente, poiché durante l’ipossia le concentrazioni di calcio si sono mantenute più o meno stabili per quanto fosse possibile farlo senza utilizzare ATP, e soprattutto fatto in così poco tempo… successivamente al ritorno dell’ossigeno tutto è tornato ad una apparente normalità; il livello di calcio citosolico è tornato nel suo normale range di concentrazioni citosoliche, quindi tutto ok, passata la tempesta è stato ovvio pensare che il peggio era oramai passato. Tuttavia, dopo un po’ qualcosa è cominciato ad andare sempre peggio, ci sono stati degli sbalzi di calcio improvvisi sempre più gravi, e la cellula si è resa conto ad un certo punto che non era possibile recuperare la situazione e si è arrivati all’inevitabile. Quei momenti sono stati talmente turbolenti che non è stato possibile capire cosa stesse succedendo.

Uhmm.. Per ora l’interrogatorio è finito, e diciamo che siamo soddisfatti delle informazioni raccolte…

Riepilogando, stiamo parlando di una proteina molto conservata, al che se ne potrebbe dedurre che il suo ruolo sia fondamentale per la sopravvivenza; insomma sembra interessante, ma purtroppo non sembra essersi aperta alcuna strada per noi. Praticamente non ci ha detto nulla.

C’è un’altra cosa…

schedarioRitornando in ufficio c’è una cosa che non quadra… questo trasportatore passivo dove ha trovato tutta questa energia per espellere una quantità di calcio ionico così colossale? Una pompa del calcio consuma circa 1 ATP per 1 ione calcio, possibile che NCX abbia lavorato gratis contro ogni legge della termodinamica? In altre parole quanto è costato alla cellula questo ‘servizio’?

Ovviamente NCX ha sfruttato il gradiente di sodio tra l’ambiente extracellulare e quello intracellulare, ed in questo modo ha potuto espellere il pericoloso calcio dalla cellula scambiandolo con l’innocuo sodio…

Ma cosa succede a tutto quel sodio che NCX ha fatto entrare nella cellula e che non può essere espulso dalla pompa sodio/potassio?

Se sono stati necessari 3 ioni sodio per espellere ciascuno ione calcio, facendo dei semplici calcoli, a naso direi che nella cellula si sarà accumulato tanto di quel sodio da innescare altri meccanismi, ad esempio alterare il potenziale di membrana.

Se questo fosse vero la depolarizzazione causerebbe l’attivazione della cellula, con rilascio di neurotrasmettitori e conseguenze da definire. Sicuramente potremmo parzialmente spiegare l’ipereccitabilità, il calcio che rientra nuovamente nelle cellule e le onde di eccitazione neuronale che si espandono dal core ischemico.

La situazione non è molto chiara, e tornando alla centrale io darei un’occhiata allo schedario delle fedine penali, www.pubmed.gov , in cerca di cosa si sappia in giro di questo ‘maggiordomo’.

Da una rapida occhiata possiamo vedere che è correlato con numerosi meccanismi, NCX si lega con pompe e trasportatori ed esalta alcune caratteristiche dei canali ionici. Però qualcosa è più importante di tutto, è stato visto correlato con l’ischemia cardiaca; leggendo bene possiamo vedere che l’uso di farmaci che inibiscono l’attività di NCX diminuisce l’estensione della morte del miocardio in seguito all’infarto.

L’ipotesi è che la cellula si sia talmente indebitata di energia durante l’ipossia che al ripristino delle condizioni ottimali non ce n’è abbastanza per ristabilire il gradiente di sodio e reimpostare le condizioni di riposo. Un giro vizioso che può portare solo al disastro, come aver chiesto dei soldi ad uno strozzino.

Una crepa sul vetro cristallino di NCX: Calunnie?

crepaUhmm… Forse calunnie, leggendo bene qua e là i farmaci utilizzati per inibire NCX non sono molto specifici, agiscono anche su altri canali; magari NCX è stato coinvolto in qualcosa di più grande ed è stato usato come capro espiatorio. Improbabile che una proteina così letale possa essere conservata per milioni di anni durante l’evoluzione se non migliori sensibilmente il fitness dell’organismo.

Per dare una prova decisiva possiamo utilizzare, come tutti voi sapete, la prova del nove… un topo transgenico knock-out per NCX e verificare cosa succede.

In questo modello, infatti, se non ci sono variazioni dell’espressione degli altri canali/trasportatori c’è la massima specificità dell’inibizione di questa proteina… e quindi potremmo ufficialmente capire se si tratta di una proteina così cattiva.

Andiamo in lab e chiediamo di sviluppare il topo knock-out. Passano anni e qui il primo intoppo, il topo muore durante l’embriogenesi per mancato battito cardiaco. Si tratta di una scoperta senz’altro interessante ma sono anche anni di lavoro buttati al vento senza una risposta. Rifare tutto il lavoro daccapo e passare altri anni a sviluppare un altro topo? Uhmm…

Qualcuno ha suggerito una soluzione da fantascienza che potrebbe risolvere la situazione, ovvero utilizzare un virus in grado di infettare i cardiomiociti dell’embrione knock-out ed inserire in queste cellule il cDNA di NCX in maniera transiente… insomma abbastanza per attivare il battito cardiaco, poi successivamente l’espressione calerà di nuovo quando il topo non sarà più infettato.

Lo sviluppo della metodologia ha impiegato un paio di anni con risultati sconfortanti, il risultato è stato che l’espressione transiente di NCX nei cardiomiociti non serve a nulla. La mancanza di NCX è fondamentale per la vita dell’animale, probabilmente è necessaria l’espressione anche in altri tessuti (es le cellule pacemaker del cuore, di tipo nervoso), oppure è necessaria una espressione ancora più precoce della proteina, magari quando non si è ancora formato il primo abbozzo di cuore.

Disperati, si è ricorsi a strategie farmacologiche sempre più complesse, ma i risultati sono stati discordanti e dubbi; mancano sempre di selettività e specificità.

Il volo Pindarico

581cf63922ae07e9d8efdc897273c0abLe cose, da allora, non sono andate molto avanti, le pubblicazioni si sono rincorse tra di loro in un misto di ripetizioni e staccate con farmaci sempre più specifici e potenti. A questi articoli facevano seguito altri che descrivevano dell’effetto di queste sostanze sulla circolazione, ipertensione, inibizione di canali del calcio, respirazione mitocondriale, disaccoppiamenti mitocondriali etc etc.

Tuttavia per fare una buona ricerca c’è bisogno di determinazione, genialità ed anche un po’ di fortuna, tutte caratteristiche ben rappresentate nel padre di NCX, Kenneth Philipson, quando a sorpresa decide di intraprendere un nuovo e più Pindarico volo, investendo diversi anni nella generazione di un nuovo topo knock-out per NCX, ma questa volta condizionato (tecnica Cre/LoxP). Si tratta di una tecnica citata già più volte e che funziona bene, in poche parole il topo nascerà con una normale espressione di NCX in tutto l’organismo, poi ad un certo punto l’enzima Cre, come una bomba ad orologeria, eliminerà il gene di NCX solo nei cardiomiociti e darà un topo adulto privato improvvisamente di NCX.

Per i più curiosi il meccanismo sfrutta il cambio della catena pesante della miosina dei cardiomiociti subito dopo la pubertà. In questi topi transgenici insieme al promotore della catena pesante della miosina c’è una ricombinasi che andrà a distruggere il gene ncx causando un knock-out tessuto e tempo specifico.

Non vi dico del rischio che il topo muoia proprio quando la proteina verrà a mancare e vanificare ancora una volta il lavoro di anni di sacrifici.

Passarono degli anni e finalmente eravamo arrivati vicino al fatidico momento, la nascita del primo topo transgenico. Da quel momento devo dire che c’è stata una lunga agonia misto di silenzio ed impazienza aspettando quel fatidico momento in cui un topolino che ha in sé tutte le promesse di questo mondo deve passare per quell’unico istante in cui diventerà knock-out e dimostrerà al mondo se è possibile vivere senza una specifica proteina cardiaca.

Purtroppo capita anche di affezionarsi ad un animale che vivendo darà inconsapevolmente un enorme contributo alla ricerca. I giorni passavano ed il topo alla sua maturità sessuale era ancora vivo e vitale, le analisi non hanno dimostrato anomalie cardiache e tutto procede come nulla fosse. Così è stato anche per le nidiate successive e la biochimica ha dato l’ok, questi topi adulti hanno un knock-out cardiaco. Si decide di fare l’ischemia cardiaca e il risultato è stato sconcertante. La mancanza di NCX nel cuore provoca un’entità del danno al miocardio pari al 50% circa rispetto ai topi wild-type.

NCX è sicuramente colpevole… un fulmine nel cielo sereno, una pubblicazione che cambierà definitivamente la storia di questo trasportatore.

Su questo modello animale sono stati poi tentati tantissimi esperimenti, soprattutto con quei farmaci così potenti e specifici per NCX; i risultati hanno dimostrato in maniera incontrovertibile che gli effetti ottenuti erano dovuti all’azione su altre proteine, è stato solo un caso che l’uso di queste sostanze dimostrano gli stessi effetti del knock-out per NCX.

Quello che succede al cuore succede anche al cervello?

punto_interrogativoAnalisi su analisi in diverse salse hanno dimostrato che questa proteina è fondamentale per alcuni meccanismi cardiaci e non solo, ma sicuramente esalta anche il danno ischemico al miocardio. E’ una circostanza difficile da spiegare in termini evoluzionistici e non è possibile capirne a fondo il meccanismo esatto.

Qualcuno fa notare che sia l’eccesso di ioni sodio durante il lavoro di NCX a causare danno per osmosi; tre ioni sodio per miliardi di ioni calcio determinerebbero uno squilibrio osmotico che liserebbe la membrana cellulare formando prima delle bolle sulla superficie e poi la rottura fino alla morte.

Ovviamente la trasposizione al cervello è immediata, se fa male al cuore potrebbe far male anche ai neuroni?

La situazione non è semplice, abbiamo diverse opzioni per verificare questa ipotesi e nessuna di queste è facile.

L’esperimento più determinante potrebbe essere, come al solito, la generazione di un knock-out per NCX nel cervello, però si corre nuovamente il rischio di un nuovo tonfo in acqua, poiché potrebbe mancare l’embriogenesi del SNC e quindi aborto precoce. Se questo dovesse avvenire avremmo speso tempo e denaro inutilmente, per non parlare delle sofferenze indotte sugli animali.

D’altra parte fare dei knock-out tessuto specifico, soprattutto per il cervello, è difficile, lungo e dispendioso; per ora accantoniamo l’idea fino a che non sia strettamente necessario.

Potremmo ricorrere a dei saggi alternativi per chiarire la situazione, e magari li vediamo nella prossima puntata.

Conclusione

Si potrebbe definire serendipità: cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino (Julius H. Comroe).

Stavamo brancolando nel buio in cerca di prove e ci siamo scontrati con un pregiudicato per il danno cardiaco ischemico camuffato da semplice faccendiere delle pulizie da calcio.

Nelle prossime puntate analizzeremo meglio il personaggio, il suo ruolo nel cuore e poi nel cervello, cercheremo nuove prove a cui ovviamente farà seguito il ‘processo’ per concorso in neuro-omicidio.

Alla prossima

Tags: Animali transgenici, Calcio, Cre/LoxP, Ictus, Ischemia Cerebrale, NCX, Neuroni, Neuroscienze, PMCA, pompe, Potenziali d'azione, sodio
9 febbraio 2009 - 9:19 pm

Un “topo reporter” per il calcium imaging

Ciao a tutti! Oggi vi parlerò di un articolo che non tratta strettamente le neuroscienze, ma che propone una tecnica che sicuramente potrà trovare interessanti risvolti in questo campo. Questo post è la traduzione (abbastanza fedele) di quello che ho scritto originariamente (in inglese) sull’ottimo blog ReporterGene.


Il calcium imaging è una tecnica che è decisamente maturata negli ultimi tempi, e di anno in anno vengono generati indicatori per il calcio codificati geneticamente sempre più evoluti.

Uno dei vantaggi dell’utilizzo di indicatori codificati geneticamente è quello di poterli utilizzare per l’imaging in vivo e quindi per studiare processi fisiologici (o patologici) in un sistema molto più completo (e complesso) di -per esempio- una coltura cellulare o una fettina di tessuto.

Diversi approcci sono stati utilizzati per ottenere imaging in vivo, alcuni dei quali fanno uso di una fibra ottica, o “fibroscopio”, inserita nella regione da analizzare e collegata ad un microscopio. Questo è ovviamente un metodo invasivo, e limita l’osservazione alla piccola zona d’azione della fibra. Un altro approccio meno invasivo è quello di utilizzare obiettivi a lunga distanza focale per ottenere immagini di una regione del corpo esposta: come già visto, questo metodo è stato usato, ad esempio, per analizzare la plasticità delle spine dendritiche nella corteccia cerebrale. Anche questa tecnica, tuttavia, permette la visione di una limitata area di interesse, oltre a richiedere un intervento chirurgico piuttosto delicato.

L’approccio recentemente descritto da Rogers e colleghi su PlOS One, invece, è completamente non invasivo. Hanno infatti generato una linea di topi transgenici che esprimono in maniera selettiva (tamite un approccio floxed-stop) una proteina sensibile al calcio, detta GFP-aequorina. Il reporter può essere espresso selettivamente nelle cellule di interesse semplicemente incrociando questi topi con topi che esprimono Cre in quelle cellule (molte di queste linee sono disponibili commercialmente). La GFP-aequorina è una proteina che consiste di una parte sensibile al calcio (aequorina) che in presenza di ioni Ca2+ può ossidare un substrato (chiamato coelenterazina), producendo luminescenza, la quale eccita l’altra metà della proteina (GFP, green fluorescent protein) che quindi fluoresce.

L’idea è quindi quella di iniettare coelenterazina e misurare la fluorescenza generata da GFP.
Questo metodo permette di osservare variazioni di calcio nell’intero animale, anche se ovviamente ha una risoluzione spazio-temporale più bassa (ma comunque buona) rispetto agli altri metodi sopra menzionati.

E in effetti sembra che funzioni bene! Quando GFP-aequorin è stata espressa nei mitocondri delle cellule muscolari, infatti, ha permesso di misurare l’aumento di calcio durante la contrazione muscolare. Questo è stato testato sia dopo una contrazione introdotta artificialmente, sia in condizioni fisiologiche come l’attività muscolare spontanea di topi neonati (vedi figura), sia in situazioni “patologiche”, come le convulsioni evocate da kainato.

Per meglio vedere questo sistema in azione consiglio fortemente di guardare i  video allegati all’articolo (che come tutti gli articoli di PLoS è ad accesso gratuito).

Riassumendo, questo approccio permette di misurare il calcio in modo non invasivo e su tutto l’animale in condizioni fisiologiche e patologiche. Questa tecnica potrebbe trovare interessanti applicazioni in studi che misurano lo stato metabolico di un certo tessuto, o l’apoptosi o uno dei moltissimi processi regolati dal calcio (la memoria ad esempio). Il passo successivo, ovviamente, sarebbe quello di ottenere questo tipo di registrazioni in un sistema in cui l’animale si può muovere liberamente. Se avete visitato il link qui a sinistra avrete capito che non siamo lontani dall’ottenerlo, ed infatti lo stesso gruppo ha già pubblicato un articolo a riguardo (Roncali et al., J. Biomed. Opt. 2008)!

Tags: Animali transgenici, Calcio, Imaging, In vivo
14 settembre 2008 - 3:50 pm

Quando il Cervello Decide il Suicidio (II Parte): Se si trattasse di un insolito thriller…

Preambolo

Allora, rieccoci qui dopo le tanto meritate vacanze. Ringrazio tutti quelli che hanno contribuito con commenti, domande e quant’altro al primo capitolo di questa serie, spero che ce ne siano sempre di più, comprese critiche e puntualizzazioni; accetto persino complimenti.

Nel capitolo precedente abbiamo visto un po’ in generale alcune caratteristiche dell’ictus ed abbiamo introdotto il concetto del calcio come strumento di informazione e distruzione cellulare. Ora, in questo capitolo ci concentreremo maggiormente sulla morte neuronale, trattando il tutto come il più classico dei gialli dove le vittime sono i neuroni, la scena del crimine è il cervello dopo l’ictus e dovremo cercare l’assassino capitolo dopo capitolo, strato dopo strato, mettendo sul banco degli imputati diversi “personaggi ambigui” in cerca del vero colpevole. Di volta in volta saranno presentati nuovi personaggi con nuove “verità” e quindi nuove “teorie”. Ovviamente non mancheranno i colpi di scena come nel più classico dei thriller da leggere la sera a letto prima di dormire.

Data l’importanza dei rudimenti medici che stiamo trattando e dell’interesse mostrato in alcuni commenti ho deciso di aggiungere un piccolo paragrafo di chiarimenti e risposte ai commenti nel post precedente. Per chi si annoia a leggere le osservazioni fatte o per chi sa già questi concetti consiglio di saltare il prossimo paragrafo e passare direttamente al paragrafo sulla morte cellulare che spero sia per loro più interessante.

Il Calcio presente nel nostro organismo

Il calcio (simbolo: Ca2+) in una persona di sesso maschile magro rappresenta circa l’1,5% del peso corporeo, per una persona di 70 kg ce n’è circa 1 kg. Sicuramente è lo ione più abbondante del nostro organismo, seguito dal potassio (simbolo: K+) con soli 240 grammi e poi dal sodio (simbolo: Na+) con 100 grammi. Il 99% del calcio del nostro organismo è presente  nelle ossa e nei denti, lo 0,5% è conservato avidamente in particolari compartimenti subcellulari come il reticolo endoplasmatico, insieme a proteine chelanti e mitocondri, come già descritto da Massi-Demish. Solo lo 0,3-0,4% del peso corporeo, circa 0,21 grammi, corrisponde al calcio che è libero di circolare nel nostro organismo e che partecipa a quei meccanismi di cui abbiamo parlato nel post precedente. Per dare un’idea, basti pensare che una mozzarella da 100 grammi contiene 0,4 grammi di calcio, ovvero una quantità doppia rispetto a tutto il calcio libero che è presente nel nostro organismo. Cosa succede se si assume una quantità di calcio superiore alle necessità dell’organismo? quasi sempre alcune cellule specializzate lo depositato nelle ossa oppure lo elimina attraverso le urine. Nei rari casi in cui c’è una carenza di calcio dalla dieta, invece, altre cellule specializzate corrodono meno di un millimetro cubo di ossa (quasi niente) per avere mesi di autonomia da calcio allo stato libero utile per i neuroni e tutte le altre funzioni cellulari descritte. Le nostre ossa sono infatti continuamente corrose e rimodellate in funzione del nostro lavoro fisico, delle trazioni, dai livelli ormonali e tante altre cose, di conseguenza l’organismo può sempre bilanciare l’eccesso o la carenza di calcio libero nei nostri fluidi corporei depositandolo o prelevandolo dalle ossa. Da questo si deduce che la quantità di calcio assunto per via orale di per sé non ha alcuna interferenza sulla quantità di calcio libero nel nostro organismo e di conseguenza non ha alcun effetto neanche sul danno ischemico.

Anche se si considerano i rari casi in cui delle persone, per qualche motivo, hanno una dieta cronica quasi del tutto priva di calcio e che quindi necessitano una integrazione, i livello di calcio libero sono più o meno simili alla media standard. A questi pazienti, però, può essere consigliato l’assunzione di pillole contenenti calcio oppure assumere qualche bicchiere di latte, pezzi di formaggio, carne, acqua del rubinetto per poter ripristinare le riserve di calcio nelle ossa ed evitare spiacevoli facili fratture.

C’è da dire anche che esistono, con una maggiore frequenza, delle persone che hanno carenze di calcio perché non lo riescono ad assumere dal cibo o lo elimina troppo velocemente, come nel caso dell’osteoporosi da menopausa. In questi casi si prescrivono farmaci composti da ormoni che predispongono l’organismo ad accumulare calcio nelle ossa anziché eliminarlo, senza la necessità di variare in alcun modo la dieta. Proprio questi ormoni influiscono sull’ischemia cerebrale, ma per meccanismi che non hanno nulla a che fare con la quantità di calcio ingerito, se volete posso aggiungere un capitolo apposito per questo curioso argomento.

Come può morire una cellula?

Allora, ora prendiamoci una pausa ed immaginiamo per un attimo di trovarci in un insolito thriller e di essere chiamati nel cuore della notte per investigare su un misterioso assassinio di massa. Una volta arrivati sulla scena del delitto, ovvero il cervello ischemico, ci ritroveremmo sicuramente ad analizzare come si presentano le vittime neuronali. Però c’è un problema, anche se fino ad ora abbiamo parlato intuitivamente di morte cellulare, non sappiamo ancora come può morire una cellula e di conseguenza come può presentarsi agli occhi di una insolita polizia scientifica molecolare. Questo è un punto fondamentale poiché ci aiuta a capire meglio la filosofia e la strada che stiamo percorrendo.

Attualmente si classifica la morte cellulare in due tipologie principali:

  • Necrosi: generalmente è il risultato di un acuto stress o trauma che porta alla rottura della membrana cellulare con perdita del materiale biologico in esso contenuto. In questo caso la cellula si presenta in maniera inconsistente e quasi irriconoscibile poiché tutti gli organelli di cui è composta si disperdono nella soluzione in cui è immersa la cellula morta, rendendo spesso i resti irriconoscibili.
  • Apoptosi: si tratta di un processo di morte molto ordinato in cui è la stessa cellula a decidere come e quando morire, e lo fa in modo tale da non dare alcuna tossicità alle cellule circostanti. La cellula si presenta come piccole vescicole ricoperte di membrana e con dei segnali sulla membrana cellulare (epitopi) che indicano “qui c’è materiale riciclabile”.

La necrosi, quindi, è insieme di morti cellulari “accidentali” senza avere un comune denominatore se non la rottura irreversibile della membrana che avvolge le cellule e di conseguenza la dispersione del materiale in esso contenuto. Proprio la perdita di materiale ed il disordine caratteristico di questo tipo di morte può causare infiammazione o tossicità alle cellule circostanti. Sicuramente la necrosi non è un fenomeno che l’organismo e le cellule stesse apprezzano o considerano come destino. L’apoptosi invece è una forma di morte cellulare molto precisa, portata avanti in modo ordinato e regolato, che dà un vantaggio alla popolazione cellulare circostante durante il ciclo vitale dell’organismo. Si tratta in realtà di un vero e proprio “suicidio cellulare” che necessita di tante proteine dedicate che svolgono un complesso e delicato meccanismo a tappe con un preciso schema prestabilito e con consumo di energia. In condizioni normali, l’apoptosi avviene continuamente perché contribuisce al mantenimento del numero di cellule di un sistema; avviene ad esempio in un seno che si ritira dopo la fase di allattamento dove ci sono migliaia di cellule che si “sacrificano” perché sono di troppo o non più necessarie, lo stesso vale per l’utero dopo una gravidanza etc. Ovviamente la mancata regolazione dell’apoptosi può causare disordini da perdita di cellule, caratteristica di molte patologie neurodegenerative, oppure una crescita cellulare incontrollata che è alla base delle neoplasie (tumori).

L’apoptosi, a differenza della necrosi, non causa infiammazione e la morte delle cellule mediante questo processo provoca la formazione di vescicole con un contenuto prestabilito di sostanze che possono essere riciclate da cellule specializzate. Dato che non c’è la rottura della membrana cellulare e che tutte le cellule del nostro organismo conoscono questo processo, l’apoptosi è un processo silenzioso che non fa danno.

L’infarto cerebrale: La scena del crimine

Seguendo la storia sulla falsa riga del “giallo”, la prima domanda è come sono morte le cellule? Hanno eseguito un suicidio di massa (apoptosi) oppure sono morte per trauma (necrosi)?

I ricercatori con un po’ di esperienza sanno bene che un fenomeno di morte in massa è attribuibile solamente alla necrosi, l’apoptosi, infatti, è un fenomeno prevalentemente sporadico, ciò vuol dire che l’apoptosi in natura colpisce poche cellule alla volta e la loro scomparsa è quasi sempre impercettibile, mentre la necrosi è una morte cellulare a cascata, ogni cellula muore poiché si trova vicino una cellula in decomposizione ed è tipico della gangrena, dove si deve amputare un arto per frenare la morte a cascata che potrebbe propagarsi sul corpo del paziente e causarne la morte.

Possiamo essere sicuri che si tratti di necrosi?

Non esistono saggi specifici per la necrosi, ma per esserne sicuri potremmo usare sul cervello ischemico un anticorpo che riconosca selettivamente dei cartelli che indicano “qui c’è materiale apoptotico riciclabile” (epitopo). Se lo facessimo il risultato sarebbe deludente, il segnale apoptotico è molto scarso, l’apoptosi è avvenuta solamente su una piccola percentuale di cellule. E poi basta guardare come si presenta il materiale ischemico; si tratta di una zona amorfa in cui non è possibile riconoscere strutture macroscopiche e microscopiche, tranne alcune cellule resistenti che sopravvivono, e questo ci indica inevitabilmente che si tratta di una massa in necrosi… omicidio quindi.

Se si fosse trattato di una apoptosi di massa?

Se si fosse trattato di apoptosi (suicidio) ci saremmo aspettati qualche cellula qua e là morta con le classiche vescicolette, epitopo dell’apoptosi, assenza di infiammazione e sarebbe stato difficile identificarlo poiché silente.

Le cellule del nostro cervello

homer cervelloL’investigazione quindi è tutta in salita, non possiamo trarre molte informazioni dal ritrovamento delle vittime se non che siano state uccise da un evento molto traumatico avvenuto diverse ore dopo il ristabilirsi delle condizioni ottimali di circolazione sanguigna (vedi post precedente).

Passiamo quindi alla raccolta delle informazioni sulle vittime nella loro vita quotidiana per poi passare alle indagini vere e proprie sull’assassino. Le vittime di questa storia sono ovviamente le cellule che partecipano alla struttura e funzione del cervello e non stiamo parlando solamente di neuroni. Il cervello, infatti, è costituito da centinaia di tipologie cellulari con ruoli distinti e diversamente collegati a tutte le altre cellule circostanti. Nel cervello abbiamo i neuroni che generano i nostri pensieri, che stimolano i muscoli a contrarsi e che generano anche ormoni che modificano il nostro stato fisico e psitico; poi abbiamo le cellule gliali, una famiglia di cellule nutrici per i neuroni che coccolano, proteggono, danno da mangiare e sostengono le cellule neuronali nel loro faticoso ruolo.

Le cellule gliali: Profilo di una serie di badanti ideali

Le cellule gliali sono suddivise in centinaia di ruoli distinti, dai più elementari ai più complessi, e sono anche le uniche cellule del cervello in grado di riprodursi, contrariamente ai neuroni. Proprio questa caratteristica è la prima distinzione tra le due popolazioni, mentre le cellule gliali possono moltiplicarsi e quindi invadere le zone morte in seguito ad un trauma, i neuroni possono solo diminuire il loro numero durante la nostra vita e mai aumentare. Pensate che il numero di cellule della glia in un cervello umano normale supera di nove volte quello dei neuroni, e proprio da questo è nato il falso mito che noi utilizziamo solamente il 10% del nostro cervello per pensare.

Alcune cellule della glia agiscono principalmente da supporto ai neuroni, altre regolano l’ambiente interno del cervello in particolare i fluidi che circondano i neuroni e le loro sinapsi provvedendo quindi al nutrimento delle cellule nervose. Alcuni tipi di cellule della glia producono molecole in grado di influenzare la crescita degli assoni. Altre funzioni sono state scoperte solo recentemente come la possibilità di comunicare con altre cellule.

La principale suddivisione della glia del cervello prevede due categorie principali:

Microglia: cellule specializzate nel mangiare e riciclare i rifiuti, come le cellule apoptotiche e gli agenti che disturbano la quiete del cervello. In genere si spostano all’interno del nostro cervello per rimuovere i corpi apoptotici e per controllare che tutto funzioni bene. In condizioni fisiologiche la microglia è presente solo in piccolo numero ma si moltiplicano in caso di danni neuronali.

Macroglia: una serie di cellule diverse, tra cui astrociti, oligodendrociti, cellule ependimali, glia radiale. I ruoli sono i più diversi tra loro e tutti hanno il comune denominatore di aiutare i neuroni a vivere in un ambiente ideale.

Bhé sicuramente se stiamo cercando un assassino non si troverà tra le vittime, tantomeno nella glia deputata a coccolare e proteggere i neuroni.

Neuroni: profilo di una vittima ideale

Anche i neuroni sono suddivisi in centinaia di sottotipi cellulari, ognuna con funzioni diverse e specifiche, ma tutti i neuroni hanno caratteristiche molto simili tra loro, tanto che possiamo accomunarli tutti in una sola descrizione generale.

I neuroni sono delle vittime ideali, poiché a differenza di tutte le cellule delle nostro organismo non si replicano mai, necessitano di molte cure e basta poco per ucciderle. Tutte le cellule del nostro organismo, infatti, possiedono delle riserve energetiche che sono utili in caso di prolungata assenza di nutrimenti, alcune cellule possono anche adattarsi a metabolizzare sostanze di diversa natura per sopravvivere ed altre ancora si adattano anche alla scarsa presenza di ossigeno. Purtroppo i neuroni fanno eccezione, non hanno riserve energetiche e si nutrono solamente di zucchero raffinato. Quel che è peggio è che non sanno adattarsi diversamente e che basta anche una carenza di ossigeno, sangue o alcune stimolazioni per innescarne la morte.

La vita di un neurone, inoltre, non è per niente facile, la sua membrana plasmatica è simile ad una batteria con una differenza di potenziale, espressa in milliVolt, che cambia in funzione dello stato cellulare, canali che fanno entrare ed uscire ioni modificando continuamente lo stato d’ordine cellulare mentre una serie di pompe ioniche cercano continuamente di ripristinare l’ordine con una certa fatica.

Tutti i neuroni sono poi interconnessi tra loro con una fitta rete di cavi elettrici (assoni e dendriti) che propagano o captano variazioni delle differenze di potenziale di membrana che viaggiano lungo un neurone, tra un neurone e l’altro e da un lato del cervello ad un altro.

Questi processi sono continui anche durante il sonno, durante la vita intrauterina e nel coma.

Se ne deduce che ognuno dei circa 100 miliardi di neuroni che abbiamo alla nascita è continuamente sull’orlo di un baratro con attività che lo spingono a fare cose eccezionali in frazioni di secondo, e tantissime proteine che devono continuamente ripristinare lo stato d’ordine in altrettanti frazioni di secondo con un poderoso dispendio di energia. Pensate che circa il 20% dell’energia che mangiamo, e che serve per farci stare in uno stato “normale”, serve semplicemente per far funzionare il cervello che rappresenta solo il 2% del peso corporeo; un’altra buona quota serve per mantenere ordine nel resto dell’organismo 98% del peso corporeo e solo una frazione piccola è necessaria per l’attività fisica che facciamo.

Conclusioni

In questo lunghissimo post abbiamo introdotto meglio alcuni concetti fondamentali che ci serviranno nei prossimi capitoli dove, se vorrete, cercheremo di prendere in considerazione alcune teorie su cosa sia avvenuto negli ultimi istanti di vita delle vittime, chi era presente al momento della morte, al momento del ritrovamento e soprattutto chi sia stato l’esecutore materiale di questo misterioso delitto, da dove proviene e come potremmo impedire che questo accada.

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