Uno sguardo ai meccanismi della mente

Inside Neuroscience

15 settembre 2009 - 6:48 pm

Quando il Cervello Decide il Suicidio (V Parte): Il maggiordomo

Ischemia Cerebrale (Parte V): Il maggiordomo

Qualcuno disse che non ci può essere giallo dove non ci sia anche il maggiordomo e la servitù. Il nostro poliziesco non ne è immune ovviamente, vediamo il proseguio delle indagini.

Preambolo

Continuiamo il nostro percorso in questo strano giallo, per chi non avesse seguito le puntate precedenti vi prego di visitare i seguenti links 1, 2, 3 e 4. Qui tratteremo un post di ‘transizione’, molto più semplice dei precedenti, ma che ci serve per capire i prossimi capitoli che saranno un po’ più complessi del solito.

Data la lunghezza eccessiva ho deciso di tagliare la storia in più sezioni, in questa vi presento la premessa (l’incontro). Come al solito sono bene accetti commenti di ogni tipo, suggerimenti per gli argomenti da trattare o migliorare.

La quiete dopo la tempesta

Sunset02Come abbiamo visto nel precedente post, il nostro ispettore cellulare è stato improvvisamente freddato dallo scagionamento del primo imputato eccellente. La teoria iniziale non faceva una grinza e c’erano anche molti indizi pesanti contro l’accusato. Purtroppo con il tempo e con l’uso di sostanze sempre più specifiche per il blocco del fattore transcrizionale la teoria della difesa ha avuto sempre più supporto. HIF-1 non è sicuramente una proteina da mettere tra i cattivi per l’ischemia cerebrale. A quanto pare c’è stato un grosso fallimento da cui abbiamo imparato a non concludere facilmente le indagini prima di approfondirle con cura.

Siamo quindi costretti a ritornare sui nostri passi ed ricominciare le indagini dall’inizio con più zelo, cercando di raccogliere informazioni sempre più precise e concordanti su cosa stava accadendo ai neuroni poco prima di morire.

Direi di iniziare l’interrogatorio su tutti i possibili testimoni oculari o detentori di informazioni cruciali.

Dove trovare i colpevoli?

cercarePensare all’ipossia come innesco di un meccanismo che porterà a morte inevitabile per i neuroni non è male come teoria, tuttavia ci sono dei ricercatori che la pensano diversamente. Una volta, in un congresso un mio amico mi fece un’obbiezione inappellabile… per quanto possa essere interessante quel meccanismo che innesca la morte delle cellule, non c’è modo di evitarlo, un paziente arriva al pronto soccorso quando manifesta già i sintomi, ovvero quando c’è già stato “l’innesco letale”. Inoltre non è neanche possibile prevedere quando un individuo avrà un ictus, la nostra unica possibilità di aiutarlo risiede proprio in quella finestra di tempo che intercorre tra la comparsa dei sintomi e l’effettiva morte neuronale.

Se ci pensate è assurdo che le cellule siano ancora vive quando arrivano nelle nostre mani, e nonostante i nostri mezzi siamo incapaci evitarne la morte. Se vogliamo veramente fare qualcosa il primo punto dell’ordine del giorno deve essere fermare l’arma che ucciderà i neuroni, e solo dopo capire chi ha innescato il meccanismo ed è colpevole (scoprire il mandante).

Nel nostro caso dovremmo soffermarci sul perché le cellule non riescono più a gestire il calcio e muoiono. La soluzione di questo enigma sarà certamente correlata con la possibilità di salvare le cellule, mentre la cattura del mandante che ha scatenato la serie di eventi non servirà ad evitare nessun decesso cellulare al momento. Solo in un passaggio successivo potremmo chiarire anche chi ha causato tale massacro neuronale e perché.

Seguendo questa linea di pensiero in questo post ci concentreremo sui meccanismi di controllo e mantenimento dell’omeostasi ionica, cercando di fare il punto della situazione per poi trarne degli indizi.

La prima domanda è chi mantiene in ordine le concentrazioni ioniche intra ed extra cellulari?

CarloBevilacquaCameriera1952Se fate questa domanda ad un qualsiasi esperto nel settore vi dirà che ci sono migliaia di proteine che fanno ‘ordine’ tra i diversi ioni, e sono divise in famiglie, superfamiglie e classi. Questi meccanismi possono dividersi grossolanamente in pompe e trasportatori, in base al fatto che usano direttamente, o no, l’ATP.

Tra le pompe più famose ci sono la Na+/K+ ATPasi che estrude sodio e fa entrare potassio, la pompa del calcio di membrana ed endoplasmatica (PMCA e SERCA), etc. Tra i trasportatori passivi i più noti sono lo scambiatore sodio/calcio (NCX), lo scambiatore sodio/calcio potassio (NCKX), lo scambiatore sodio/idrogeno (NHE), ed altri. Si tratta di un gruppo enorme di proteine che mettono continuamente in ordine i vari ioni, riportando continuamente le condizioni cellulari allo stato di riposo dopo le stimolazioni nervose che sono servite per attivare la cellula e per comunicare con il neurone successivo. E’ un po’ come avere delle cameriere e dei maggiordomi in una grande villa che mettono continuamente in ordine le camere ogni qual volta sono utilizzate.

Oggi ci concentreremo proprio su questi personaggi che stavano lì quando dalla calma apparente si è scatenata la disfatta neuronale.

La domanda ora è ‘Perché non hanno funzionato a dovere nel momento del bisogno?’

Vale la pena rispondere con chiarezza.

Prima domanda: Chi era in servizio durante l’ischemia e poco prima?

teamA questa domanda c’è una risposta più o meno ovvia. Poco prima dell’ischemia funzionava tutto come al solito, nulla lasciava presagire il disastro, e tutte le proteine risiedevano al loro nomale posto fino a che è mancata l’energia necessaria per il trasporto attivo degli ioni. Quando è iniziata a mancare l’energia l’efficienza del trasporto ionico si è ridotta mentre il disordine ionico dei neuroni aumentava. Poco dopo questa fase gli unici che potevano fare qualcosa erano gli scambiatori ionici che non necessitano di ATP, ma il destino della cellula era oramai segnato; senza ATP non si può andare avanti per molto. Poi d’improvviso è arrivata nuova energia e tutto è cominciato a rifunzionare alla normalità fino al danno irreparabile.

In questa indagine tutto è sottoposto alla lente di ingrandimento, e nulla è dato per scontato, quindi le dichiarazioni vanno convalidate e come al solito andiamo in laboratorio con una ricostruzione del delitto per cercare di confutare tali ipotesi. In questo caso potremmo ricorrere ad esperimenti in vitro fatto con delle cellule neuronali sottoposte a dei modelli di deprivazione di ossigeno e glucosio, seguito dalla riossigenazione. Si tratta ovviamente di un modello molto semplice, ma che ci evita di sacrificare animali, e consente un maggiore grado di controllo delle condizioni sperimentali. Effettivamente quando manca ATP funzionano solo i trasportatori passivi, e la loro capacità di controllare l’omeostasi ionica è discreta considerando le condizioni di emergenza. Inoltre nulla sembra cambiare nell’assetto dei vari trasportatori attivi e passivi, dopotutto non c’è abbastanza energia e tempo per cambiare le cose con una sintesi/degradazione proteica. I sistemi sono ri-settati all’essenziale ed a tutto quello che può aiutare a tamponare i danni o trarre energia.

Se tutte queste considerazioni sono vere dobbiamo escludere chi non poteva funzionare al momento dell’ictus e considerare invece solo chi poteva ed ha fatto qualcosa…

La prossima domanda è quindi: Chi funzionava al momento e cosa stava facendo?

NCX: il maggiordomo

battista1A questo punto del racconto io mi recherei sul luogo del delitto alla ricerca di qualche indizio e soprattutto di qualche risposta.

Escludendo le pompe che fanno uso di ATP, tra i pochi trasportatori passivi che rimangono e che possono dare un consistente aiuto c’è lo scambiatore sodio/calcio (NCX).

Io immaginerei un ipotetico interrogatorio a questa proteina, magari in una stanza buia e fumosa.

Lei chi è?

NCX è una proteina di membrana fatta da circa 1.000 aminoacidi che è presente in tutte le cellule dei mammiferi e che fisiologicamente espelle il calcio citosolico in cambio dell’ingresso di sodio.

Da quanto tempo è in servizio?

In pratica quasi tutti gli organismi possiedono uno scambiatore del calcio, e sono tutti filogeneticamente collegati da un gene ancestrale che si è mantenuto molto conservato sia nella sua struttura che nella sua funzione. In altre parole è una proteina presente negli archeobatteri, funghi, piante, fino a tutte le cellule eucariotiche di mammifero, quindi una proteina davvero molto conservata…

Davvero notevole, ma mi dica… qual è la Sua funzione nel cervello e con chi collabora solitamente?

Sappiamo bene che, quando i neuroni si trovano a riposo, le concentrazioni ioniche sono mantenute soprattutto da pompe che fanno uso di energia sottoforma di ATP. In queste condizioni un trasportatore passivo come NCX funziona relativamente poco, poiché ha una bassa affinità per il calcio e per il sodio. Tuttavia le condizioni cambiano drasticamente dopo l’eccitazione neuronale, ovvero quando le concentrazioni di calcio citosolico aumentano improvvisamente a dismisura, le pompe si saturano e non riescono a riportare la cellula alle condizioni ioniche di riposo. In queste circostanze entrano in funzione NCX e proteine simili che hanno una bassa affinità per gli ioni, ma possono trasportarne enormi quantità in pochi istanti.

In pratica NCX espelle uno ione calcio mediante scambio con tre ioni sodio che entrano nella cellula, (proprio da questo deriva il suo nome).

Quindi Lei è specializzato nelle condizioni di ‘emergenza’, ovvero quando le pompe non riescono a mettere ordine… cosa mi sa dire riguardo all’ipossia? cosa stava facendo in quei momenti?

La risposta sarebbe ovvia. NCX stava espellendo il calcio dalle cellule sfruttando l’unica fonte di energia disponibile al momento ovvero il gradiente del sodio.

Perché?

Come già abbiamo accennato nei post precedenti il calcio è un ottimo segnale citosolico, ma quando supera certi livelli può causare disastri, quindi l’azione di NCX è in linea con le aspettative.

Ha visto qualcosa di strano in quei ‘momenti’? Può dirmi qualcosa a tal riguardo?

Quello che NCX ha visto è che la pompa del calcio in una prima fase era efficiente e riusciva a mantenere le concentrazioni di calcio citosolico a livelli estremamente bassi, ma riusciva ad espellere solo pochi ioni alla volta. Ad un certo punti si stava accumulando il calcio, la pompa è andata subito in saturazione e non riusciva ad espellere abbastanza ioni… poi è cominciata a mancare l’energia e l’efficienza di estrusione si è ridotta sempre di più. Si stava accumulando calcio citosolico oltre i normali livelli e tempi sopportabili per il neurone, per cui NCX è entrato in funzione ed ha espulso fino ad oltre 10.000 volte più ioni calcio nell’unità di tempo rispetto alla pompa in presenza di ATP, un fenomeno insomma.

…e cosa sa dirmi su cosa sia successo negli ultimi ‘istanti di agonia’? Alla fine è riuscito a tenere sotto controllo il calcio?

Effettivamente ci è riuscito parzialmente, poiché durante l’ipossia le concentrazioni di calcio si sono mantenute più o meno stabili per quanto fosse possibile farlo senza utilizzare ATP, e soprattutto fatto in così poco tempo… successivamente al ritorno dell’ossigeno tutto è tornato ad una apparente normalità; il livello di calcio citosolico è tornato nel suo normale range di concentrazioni citosoliche, quindi tutto ok, passata la tempesta è stato ovvio pensare che il peggio era oramai passato. Tuttavia, dopo un po’ qualcosa è cominciato ad andare sempre peggio, ci sono stati degli sbalzi di calcio improvvisi sempre più gravi, e la cellula si è resa conto ad un certo punto che non era possibile recuperare la situazione e si è arrivati all’inevitabile. Quei momenti sono stati talmente turbolenti che non è stato possibile capire cosa stesse succedendo.

Uhmm.. Per ora l’interrogatorio è finito, e diciamo che siamo soddisfatti delle informazioni raccolte…

Riepilogando, stiamo parlando di una proteina molto conservata, al che se ne potrebbe dedurre che il suo ruolo sia fondamentale per la sopravvivenza; insomma sembra interessante, ma purtroppo non sembra essersi aperta alcuna strada per noi. Praticamente non ci ha detto nulla.

C’è un’altra cosa…

schedarioRitornando in ufficio c’è una cosa che non quadra… questo trasportatore passivo dove ha trovato tutta questa energia per espellere una quantità di calcio ionico così colossale? Una pompa del calcio consuma circa 1 ATP per 1 ione calcio, possibile che NCX abbia lavorato gratis contro ogni legge della termodinamica? In altre parole quanto è costato alla cellula questo ‘servizio’?

Ovviamente NCX ha sfruttato il gradiente di sodio tra l’ambiente extracellulare e quello intracellulare, ed in questo modo ha potuto espellere il pericoloso calcio dalla cellula scambiandolo con l’innocuo sodio…

Ma cosa succede a tutto quel sodio che NCX ha fatto entrare nella cellula e che non può essere espulso dalla pompa sodio/potassio?

Se sono stati necessari 3 ioni sodio per espellere ciascuno ione calcio, facendo dei semplici calcoli, a naso direi che nella cellula si sarà accumulato tanto di quel sodio da innescare altri meccanismi, ad esempio alterare il potenziale di membrana.

Se questo fosse vero la depolarizzazione causerebbe l’attivazione della cellula, con rilascio di neurotrasmettitori e conseguenze da definire. Sicuramente potremmo parzialmente spiegare l’ipereccitabilità, il calcio che rientra nuovamente nelle cellule e le onde di eccitazione neuronale che si espandono dal core ischemico.

La situazione non è molto chiara, e tornando alla centrale io darei un’occhiata allo schedario delle fedine penali, www.pubmed.gov , in cerca di cosa si sappia in giro di questo ‘maggiordomo’.

Da una rapida occhiata possiamo vedere che è correlato con numerosi meccanismi, NCX si lega con pompe e trasportatori ed esalta alcune caratteristiche dei canali ionici. Però qualcosa è più importante di tutto, è stato visto correlato con l’ischemia cardiaca; leggendo bene possiamo vedere che l’uso di farmaci che inibiscono l’attività di NCX diminuisce l’estensione della morte del miocardio in seguito all’infarto.

L’ipotesi è che la cellula si sia talmente indebitata di energia durante l’ipossia che al ripristino delle condizioni ottimali non ce n’è abbastanza per ristabilire il gradiente di sodio e reimpostare le condizioni di riposo. Un giro vizioso che può portare solo al disastro, come aver chiesto dei soldi ad uno strozzino.

Una crepa sul vetro cristallino di NCX: Calunnie?

crepaUhmm… Forse calunnie, leggendo bene qua e là i farmaci utilizzati per inibire NCX non sono molto specifici, agiscono anche su altri canali; magari NCX è stato coinvolto in qualcosa di più grande ed è stato usato come capro espiatorio. Improbabile che una proteina così letale possa essere conservata per milioni di anni durante l’evoluzione se non migliori sensibilmente il fitness dell’organismo.

Per dare una prova decisiva possiamo utilizzare, come tutti voi sapete, la prova del nove… un topo transgenico knock-out per NCX e verificare cosa succede.

In questo modello, infatti, se non ci sono variazioni dell’espressione degli altri canali/trasportatori c’è la massima specificità dell’inibizione di questa proteina… e quindi potremmo ufficialmente capire se si tratta di una proteina così cattiva.

Andiamo in lab e chiediamo di sviluppare il topo knock-out. Passano anni e qui il primo intoppo, il topo muore durante l’embriogenesi per mancato battito cardiaco. Si tratta di una scoperta senz’altro interessante ma sono anche anni di lavoro buttati al vento senza una risposta. Rifare tutto il lavoro daccapo e passare altri anni a sviluppare un altro topo? Uhmm…

Qualcuno ha suggerito una soluzione da fantascienza che potrebbe risolvere la situazione, ovvero utilizzare un virus in grado di infettare i cardiomiociti dell’embrione knock-out ed inserire in queste cellule il cDNA di NCX in maniera transiente… insomma abbastanza per attivare il battito cardiaco, poi successivamente l’espressione calerà di nuovo quando il topo non sarà più infettato.

Lo sviluppo della metodologia ha impiegato un paio di anni con risultati sconfortanti, il risultato è stato che l’espressione transiente di NCX nei cardiomiociti non serve a nulla. La mancanza di NCX è fondamentale per la vita dell’animale, probabilmente è necessaria l’espressione anche in altri tessuti (es le cellule pacemaker del cuore, di tipo nervoso), oppure è necessaria una espressione ancora più precoce della proteina, magari quando non si è ancora formato il primo abbozzo di cuore.

Disperati, si è ricorsi a strategie farmacologiche sempre più complesse, ma i risultati sono stati discordanti e dubbi; mancano sempre di selettività e specificità.

Il volo Pindarico

581cf63922ae07e9d8efdc897273c0abLe cose, da allora, non sono andate molto avanti, le pubblicazioni si sono rincorse tra di loro in un misto di ripetizioni e staccate con farmaci sempre più specifici e potenti. A questi articoli facevano seguito altri che descrivevano dell’effetto di queste sostanze sulla circolazione, ipertensione, inibizione di canali del calcio, respirazione mitocondriale, disaccoppiamenti mitocondriali etc etc.

Tuttavia per fare una buona ricerca c’è bisogno di determinazione, genialità ed anche un po’ di fortuna, tutte caratteristiche ben rappresentate nel padre di NCX, Kenneth Philipson, quando a sorpresa decide di intraprendere un nuovo e più Pindarico volo, investendo diversi anni nella generazione di un nuovo topo knock-out per NCX, ma questa volta condizionato (tecnica Cre/LoxP). Si tratta di una tecnica citata già più volte e che funziona bene, in poche parole il topo nascerà con una normale espressione di NCX in tutto l’organismo, poi ad un certo punto l’enzima Cre, come una bomba ad orologeria, eliminerà il gene di NCX solo nei cardiomiociti e darà un topo adulto privato improvvisamente di NCX.

Per i più curiosi il meccanismo sfrutta il cambio della catena pesante della miosina dei cardiomiociti subito dopo la pubertà. In questi topi transgenici insieme al promotore della catena pesante della miosina c’è una ricombinasi che andrà a distruggere il gene ncx causando un knock-out tessuto e tempo specifico.

Non vi dico del rischio che il topo muoia proprio quando la proteina verrà a mancare e vanificare ancora una volta il lavoro di anni di sacrifici.

Passarono degli anni e finalmente eravamo arrivati vicino al fatidico momento, la nascita del primo topo transgenico. Da quel momento devo dire che c’è stata una lunga agonia misto di silenzio ed impazienza aspettando quel fatidico momento in cui un topolino che ha in sé tutte le promesse di questo mondo deve passare per quell’unico istante in cui diventerà knock-out e dimostrerà al mondo se è possibile vivere senza una specifica proteina cardiaca.

Purtroppo capita anche di affezionarsi ad un animale che vivendo darà inconsapevolmente un enorme contributo alla ricerca. I giorni passavano ed il topo alla sua maturità sessuale era ancora vivo e vitale, le analisi non hanno dimostrato anomalie cardiache e tutto procede come nulla fosse. Così è stato anche per le nidiate successive e la biochimica ha dato l’ok, questi topi adulti hanno un knock-out cardiaco. Si decide di fare l’ischemia cardiaca e il risultato è stato sconcertante. La mancanza di NCX nel cuore provoca un’entità del danno al miocardio pari al 50% circa rispetto ai topi wild-type.

NCX è sicuramente colpevole… un fulmine nel cielo sereno, una pubblicazione che cambierà definitivamente la storia di questo trasportatore.

Su questo modello animale sono stati poi tentati tantissimi esperimenti, soprattutto con quei farmaci così potenti e specifici per NCX; i risultati hanno dimostrato in maniera incontrovertibile che gli effetti ottenuti erano dovuti all’azione su altre proteine, è stato solo un caso che l’uso di queste sostanze dimostrano gli stessi effetti del knock-out per NCX.

Quello che succede al cuore succede anche al cervello?

punto_interrogativoAnalisi su analisi in diverse salse hanno dimostrato che questa proteina è fondamentale per alcuni meccanismi cardiaci e non solo, ma sicuramente esalta anche il danno ischemico al miocardio. E’ una circostanza difficile da spiegare in termini evoluzionistici e non è possibile capirne a fondo il meccanismo esatto.

Qualcuno fa notare che sia l’eccesso di ioni sodio durante il lavoro di NCX a causare danno per osmosi; tre ioni sodio per miliardi di ioni calcio determinerebbero uno squilibrio osmotico che liserebbe la membrana cellulare formando prima delle bolle sulla superficie e poi la rottura fino alla morte.

Ovviamente la trasposizione al cervello è immediata, se fa male al cuore potrebbe far male anche ai neuroni?

La situazione non è semplice, abbiamo diverse opzioni per verificare questa ipotesi e nessuna di queste è facile.

L’esperimento più determinante potrebbe essere, come al solito, la generazione di un knock-out per NCX nel cervello, però si corre nuovamente il rischio di un nuovo tonfo in acqua, poiché potrebbe mancare l’embriogenesi del SNC e quindi aborto precoce. Se questo dovesse avvenire avremmo speso tempo e denaro inutilmente, per non parlare delle sofferenze indotte sugli animali.

D’altra parte fare dei knock-out tessuto specifico, soprattutto per il cervello, è difficile, lungo e dispendioso; per ora accantoniamo l’idea fino a che non sia strettamente necessario.

Potremmo ricorrere a dei saggi alternativi per chiarire la situazione, e magari li vediamo nella prossima puntata.

Conclusione

Si potrebbe definire serendipità: cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino (Julius H. Comroe).

Stavamo brancolando nel buio in cerca di prove e ci siamo scontrati con un pregiudicato per il danno cardiaco ischemico camuffato da semplice faccendiere delle pulizie da calcio.

Nelle prossime puntate analizzeremo meglio il personaggio, il suo ruolo nel cuore e poi nel cervello, cercheremo nuove prove a cui ovviamente farà seguito il ‘processo’ per concorso in neuro-omicidio.

Alla prossima

Tags: Animali transgenici, Calcio, Cre/LoxP, Ictus, Ischemia Cerebrale, NCX, Neuroni, Neuroscienze, PMCA, pompe, Potenziali d'azione, sodio
19 aprile 2008 - 2:02 am

Comunicazione

» di in: Neuroscienze

Non c’è dubbio: i ricercatori amano costruire semplici e chiari modelli dei processi biologici che studiano. Tutto sembra così bello quando c’è un schemino corredato di frecce e cascate del segnale che ti chiarifica come vanno veramente le cose… o forse no? Oggi vi faccio un esempio di come a volte la situazione è un po’ più complessa (e meno perfetta) di quanto ci piacerebbe credere.

Parliamo di comunicazione neuronale: il modello classico a riguardo è quello della sinapsi. Citando da Wikipedia: “una sinapsi è una struttura altamente specializzata che consente la comunicazione tra le cellule del tessuto nervoso, i neuroni”. Quello che ciascun libro di testo vi fa vedere è che l’assone di un neurone (il neurone presinaptico) va a contattare un dendrita, il corpo cellulare o l’assone di un altro neurone (il neurone postsinaptico). In questo modo i due neuroni sono connessi e possono parlare fra di loro.
Ma come fanno esattamente? Ci sono due tipi di sinapsi : sinapsi chimiche e sinapsi elettriche. Oggi vi parlerò solo di sinapsi chimiche: non ne farò una descrizione esaustiva, quindi non prendete questo post come testo sacro… non ha nemmeno uno schemino corredato di frecce!

La sinapsi chimica in breve funziona così: il neurone presinaptico viene in qualche modo attivato, non ci interessa come al momento. Questo provoca la generazione di potenziali d’azione (e su dove esattamente questi potenziali d’azione siano generati si potrebbero spendere pagine…) che possono viaggiare sull’assone ed arrivare al terminale, dove abbiamo la nostra sinapsi chimica. Il terminale del neurone è pieno di piccole strutture chiamate vescicole, e piene di una o più determinate sostanze chimiche dette neurotrasmettitori. Quando i potenziali d’azione arrivano al terminale, facilitano l’entrata di calcio nel neurone presinaptico e ciò permette la fusione delle vescicole con la membrana sinaptica ed il rilascio del loro contenuto all’esterno. Il neurotrasmettitore potrà poi legarsi ad opportuni recettori localizzati all’interno della sinapsi sul neurone postsinaptico e attivare o inibire quest ultimo, modulandone la capacità di generare potenziali d’azione e quindi in ultima istanza di rilasciare le sue vescicole di neurotrasmettitore sul neurone successivo. Il neurotrasmettitore viene poi recuperato dai neuroni o dalla glia (l’altra grossa categoria di cellule presente nel cervello) per essere riciclato o alterntativamete distrutto.
Questa immagine, presa da questo sito, mostra una fotografia al microscopio elettronico di una sinapsi. Tutte quelle sferette che vedete sono vescicole sinaptiche che si stanno fondendo con la membrana plasmatica ad una sinapsi.

Vescicole sinaptiche
Bene, quindi è tutto semplice e funziona benissimo… beh non proprio!
Benchè questo fosse un po’ il dogma di come funziona una sinapsi, negli ultimi 15-20 anni sono state scoperti altri modi in cui il nostro cervello utilizza i neurotrasmettitori.

Innanzitutto, partirei dalla glia: la glia è sempre stata considerata come qualcosa di inerte, materiale di supporto per i neuroni. Questo è risultato essere assolutamente falso, la glia ricopre ruoli molto più complessi nel cervello ed uno di questi è proprio quello di produrre neurotrasmettitori! Non solo quindi è implicata nel riciclaggio dei neurotrasmettitori, ma può anche secernerli. Un recente studio ha addirittura mostrato che alcune cellule gliali possono generare potenziali d’azione… non esattamente materiale inerte quindi! Gli stessi trasportatori che permettono di internalizzare il neurotrasmettitore nella glia, possono funzionare al contrario in alcune situazioni ed invece di internalizzarlo lo trasportano all’esterno!

Un’altra modalità di rilascio di neurotrasmettitori è il rilascio non vescicolare: in alcuni casi infatti un po’ di neurotrasmettitore può “scappare” da un neurone senza bisogno che ci sia la fusione di una vescicola con la membrana sinaptica. Questo processo è assolutamente indipendente dai potenziali d’azione e quindi questo neurotrasmettitore viene rilasciato passivamente.

Infine quando il neurotrasmettitore viene rilasciato nello spazio sinaptico, ancora una volta un po’ ne può “scappare via” (neurotransmitter spillage) e andare all’esterno della sinapsi, in sinapsi  o all’esterno di sinapsi di altri neuroni. Questo è un bellissimo esempio, a mio parere, di quanto imperfetto sia il nostro cervello, ma di come l’evoluzione ci abbia permesso di sfruttare queste imperfezioni.
Se infatti è vero che questo rilascio involontario di neurotrasmettitore può andare ad attivare altri neuroni che in teoria non avrebbero dovuto partecipare alla trasmissione di quel particolare impulso, è anche vero che il nostro cervello è in grado di sfruttare questa situazione: esistono infatti i cosiddetti recettori extrasinaptici per i neurotrasmettitori, cioè recettori localizzati al di fuori della sinapsi che possono captare queste “perdite” ed attivare segnali intracellulari. Se pensate che un metodo di comunicazione puramente basato sulla casuale perdita di una sostanza dalla sinapsi sia inefficiente e poco “smart”… beh, vi do ragione, ma sappiate che esistono cellule nel cervelletto che comunicano esclusivamente utilizzando perdite di glutamato da sinapsi vicine!

Tags: Attività neuronale, Firing, Neuroscienze, Potenziali d'azione
11 aprile 2008 - 12:47 pm

Una luce… eccitante

Come abbiamo già detto in passati post i neuroni comunicano tra loro grazie alla generazione di “scariche elettriche”, chiamate potenziali d’azione. E’ quindi interessante avere la possibilità di generare artificialmente dei potenziali d’azione per studiare le proprietà di un certo neurone o di un network di neuroni. Ad esempio uno può stimolare il neurone 1 e vedere cosa succede al neurone 2 che vi è collegato.

Il classico approccio per fare ciò è utilizzare un elettrodo (un piccolo filamento di argento) inserito in una micropipetta di vetro dalla punta di pochi millesimi di millimetro di diametro e riempita di una soluzione conduttrice. Questo microelettrodo viene messo a contatto con la cellula (rompendone o meno la membrana a seconda del tipo di esperimento) e permette di iniettare con precisione corrente nella cellula, oltre a poterne rilevare l’attività elettrica spontanea.

Esistono però diversi altri approcci per eccitare o inibire un neurone che non richiedono l’utilizzo di un microelettrodo. I vantaggi di non usare microelettrodi sono molteplici, ma i principali sono: 1) andare a piazzare la minuscola punta dell’elettrodo sulla membrana cellulare non è proprio la cosa più semplice del mondo… 2) non si va a disturbare meccanicamente la cellula 3) sono più alla moda oggigiorno, tanto che qualcuno ne parla in un blog :)

Uno di questi metodi è quello di utilizzare un neurotrasmettitore come, ad esempio, il glutamato. Possiamo “spruzzare” una piccola quantità di glutamato sulla cellula e questa, nella maggior parte dei casi, verrà eccitata. Esistono molte variazioni sul tema, ma oggi vi parlerò di un nuovo lavoro, apparso su Nature Methods di questo mese, che ha introdotto un nuovo interessante approccio.

Il lavoro in questione è il seguente: Photochemical control of endogenous ion channels and cellular excitability. – Fortin et al. – Nat. Methods 2008 Apr;5(4):331-8.

Gli autori hanno generato un “photoswitchable affinity label” (PAL), una piccola molecola che si lega selettivamente a canali sulla membrana del neurone che fanno passare gli ioni potassio (K+). In particolare, questa molecola lega un tipo di canali per il potassio (voltage-gated potassium channels) che sono sensibili a variazioni di voltaggio nella cellula. La normale funzione di questi canali è quella di riportare la cellula allo stato basale dopo la generazione di un potenziale d’azione. Insomma hanno un effetto “calmante” sull’attività cellulare.

PAL può legarsi selettivamente a questi canali e bloccarli, impedendo così il passaggio di potassio, risultando quindi in un eccitazione della cellula. La cosa interessante è che PAL è “photoswitchable”, cioè può essere “accesa” o “spenta” utilizzando luce di colori differenti. Questo è dovuto al fatto che PAL può cambiare forma quando viene colpita da luce di un certo colore: utilizzando luce viola PAL non blocca il canale, utilizzando luce verde lo blocca.

Il risultato è facilmente visualizzabile in questa figura:

Come vedete, quando la cellula è colpita da luce verde è iperattiva (ogni linea verticale rappresenta un potenziale d’azione, in alcune parti sono così fitti da non poterli distinguere) perchè PAL sta bloccando i canali al K+, mentre la luce viola silenzia la cellula.

PAL - attivazione/inattivazione neurone

E non è finita così! Il funzionamento è graduale, quindi utilizzando luce di colore intermedio si ottiene una parziale eccitazione della cellula.

PAL - attivazione graduale neurone

Certo, tutto questo è stato fatto su cellule in coltura ma sarebbe molto interessante vedere questo tipo di tecniche utilizzate in vivo (non dubito che ci si arriverà presto…). Ovviamente lo stesso principio potrebbe essere applicato a qualsiasi altro canale sui neuroni, si tratterà solo di sintetizzare molecole specifiche che permettano di legarsi ad altri canali!

Tags: Attività neuronale, Canali voltaggio dipendenti, Elettrofisiologia, Firing, Imaging, Neuroscienze, Potenziali d'azione
14 marzo 2008 - 10:59 pm

Allo specchio (parte seconda, ovvero canta che ti passa)

(…continua dal post precedente)

Come dicevamo nella prima parte di questo post i neuroni mirror giocano un ruolo importante nell’imitazione. In questa seconda parte vi mostrerò un esempio pratico del funzionamento di questi neuroni, parlandovi di un articolo apparso sull’ultimo numero di Nature:
Precise auditory-vocal mirroring in neurons for learned vocal communication – Nature 2008 Jan 17;451(7176):305-10.

Questo articolo mostra la presenza di neuroni mirror nel cervello del passero che vengono attivati quando l’uccello canta una sua canzone e quando sente la stessa canzone cantata da un altro uccello (o sente una registrazione della sua canzone).
Gli uccelli canori, infatti, sono noti per imitare il verso di altri uccelli e i piccoli di queste specie imparano a cantare imitando i propri genitori.

Per effettuare questi esperimenti Prather e colleghi hanno sfruttato il fatto che molti uccelli canori hanno una tendenza al controcanto: quando sentono un altro uccello cantare nel loro territorio, infatti, rispondono cantando anche essi. Questo può essere un gesto di “sfida” nei confronti di un uccello di un’altra specie o ad esempio un gesto di riconoscimento di un “familiare”.
I ricercatori hanno quindi utilizzato registrazioni del canto di vari uccelli e sono riusciti a trovare dei mirror neurons che sono attivati sia quando l’uccello sente la registrazione sia quando vi risponde.

Mirror neurons responses

Questa immagine fa vedere un esempio della risposta di neuroni auditori. Nella prima colonna è mostrata la risposta alla canzone primaria dell’uccello. La prima traccia in alto rappresenta l’attività di un singolo neurone, e ciascuno dei picchi che vanno in basso è corrispondente ad un potenziale d’azione, indice di attività di quel neurone. L’attività è massima in corrispondenza dello stimolo auditorio (che vedete nell’ultima riga).
Se confrontate questa risposta con la risposta ad un altra canzone dello stesso uccello (colonna 2) o di un altro uccello (colonna 3) potete notare come in questi ultimi due casi non ci sia corrispondenza fra lo stimolo e i potenziali d’azione.
La cosa è ancora più chiara guardando la seconda riga che mostra la risposta del neurone a diverse presentazioni dello stimolo. Nel grafico ciascun puntino rappresenta un potenziale d’azione e ciascuna riga rappresenta un diverso trial su quel neurone. Come potete vedere la risposta è quindi altamente riproducibile.

Ma cosa succede durante il controcanto? Beh, ecco un esempio dei risultati ottenuti:
Mirror neurons responses

In a) l’uccello è esposto ad una registrazione della sua canzone primaria, e il neurone è attivo durante quel periodo. A questo punto l’uccello esegue un controcanto in risposta (con la stessa canzone) e il neurone è ancora attivo. Se però la canzone ascoltata e quella cantata differiscono (b e c) il neurone è attivo solo in una delle due situazioni! Insomma, una cosa molto simile a quanto visto nelle scimmie da Rizzolatti e colleghi (vedi post precedente).

Infine gli autori mostrano anche che queste risposte sono specifiche per le singole note del canto. Alcuni neuroni rispondono durante una particolare nota in una sequenza: facendo ascoltare la sequenza al contrario la risposta è molto attenuata, ma invece persiste se si fa ascoltare una registrazione della canzone di un altro uccello che abbia note simili.

Concludendo, questo studio mostra un altro interessante esempio di come il cervello interpreti con precisione le informazioni derivate dall’ambiente e di come l’imitazione sia codificata a livello neuronale. Situazioni simili a quella descritta in questo articolo potrebbero anche essere alla base dell’apprendimento del linguaggio nell’uomo, probabilmente integrate anche da altri stimoli (visuali e motori).

Tags: Elettrofisiologia, Imitazione, Percezione, Potenziali d'azione
7 gennaio 2008 - 3:20 pm

Non solo canale

Uno dei motivi per cui leggo spesso le riviste con altissimo impact factor è la speranza di trovare un articolo davvero rivoluzionario che possa chiarire un determiato meccanismo oppure possa aprire la strada verso nuove prospettive, oltre che per aggiornarmi sulle recenti scoperte. Purtroppo devo dire che le riviste scientifiche più importanti alla fine non pubblicano sempre cose drasticamente innovative o chiarificatrici, anzi a volte le riviste un po’ più modeste contengono articoli con informazioni molto più convincenti e serie rispetto a Nature, Cell, Neuron etc.

In una di queste letture, mi è capitato di leggere qualcosa su Cell che, a mio avviso, è veramente incredibile, oltre che curioso. L’articolo in questione tratta di un canale del calcio voltaggio dipendente (Cav1.2) che ha anche un secondo ruolo funzionale del tutto diverso ed imprevedibile da quello che ci si aspetterebbe da un semplice canale.

Prima di entrare nel merito bisognerebbe introdurre il concetto di canale voltaggio dipendente oramai acquisito da tanti anni nel campo delle neuroscienze ma che per i non addetti ai lavori potrebbe sembrare fuorviante.

Diciamo che almeno qualche migliaio dei circa 30.000 geni umani codificano per proteine di membrana che possono formare dei canali idrofilici attraverso cui, in particolari condizioni, possono passare degli ioni. Il motivo per cui esistono tante proteine non è dovuto alla presenza tanti tipi di ioni da far passare, ma dalla fine regolazione a cui questi canali devono rispondere. La quasi totalità di questi canali ionici sono sempre chiusi, ma possono aprirsi in determinate condizioni secondo una cinetica caratteristica che è dipendente dai componenti da cui è formato.

Alcuni canali possono aprirsi solamente in seguito al legame di un neurotrasmettitore sulla regione esterna, o interna, del complesso proteico (Recettori canale), come avvine per il recettore nicotinico che fa entrare sodio all’interno della cellula in seguito al legame dell’acetilcolina con la parte esterna del recettore; la cinetica di apertura/chiusura o l’affinità con l’agonista recettoriale dipende dai componenti del canale stesso. Ovviamente l’ingresso di sodio che ne scaturisce provoca a sua volta l’attivazione di una serie di altri meccanismi a cascata come le tessere del domino che portano all’attivazione di altri effettori. Altri canali possono invece aprirsi in seguito al cambiamento delle condizioni cellulari, variazione di pH (es ASICs), di concentrazioni ioniche (es Connessine) oppure del potenziale di membrana (es canali voltaggio dipendenti).

Ogni tipo cellulare possiede il proprio corredo di recettori canale, canali voltaggio dipendenti, canali passivi e trasportatori; l’insieme di tali complessi proteici con caratteristiche finemente diverse tra loro determina delle differenze macroscopiche e microscopiche nella reattività cellulare, forma del potenziale d’azione, velocità di risposta ad uno stimolo, eccitabilità di membrana, potenziale di membrana a riposo, picco di depolarizzazione e tantissime altre variabili che fanno di un neurone un sottotipo cellulare unico. Non entro nel dettaglio di quanti canali del calcio voltaggio dipendenti esistono, dico solo che sono identificate in varie classi con la sigla Cav seguita da un numero che identifica la classe seguito da un punto e  poi un altro numero che identifica il sottotipo. Tutti questi canali regolano direttamente o indirettamente tante funzioni neuronali, come la memoria, il dolore, l’eccitabilità, la fertilità e la sensibilità a determinati danni patologici. Tuttavia è noto anche che questi canali ionici possono avere anche una funzione nella regolazione della trascrizione genica, poiché molti fattori trascrizionali sono regolati dalle concentrazioni di determinati ioni come ad esempio il calcio. Questa è stata sempre una teoria debole, poiché indubbiamente ci sono dei casi in cui l’effetto sulla trascrizione genica può essere drasticamente diverso se si trasfettano in cellule dei canali composti da subunità diverse. Insomma se è l’ingresso di ioni calcio a determinare l’attivazione di alcuni fattori trascrizionali allora l’effetto dovrebbe essere uguale per qualsiasi canale che fa entrare calcio, soprattutto se 4 subunità su 5 sono identiche e le caratteristiche cinetiche di ingresso e uscita del calcio sono praticamente le stesse.

Tuttavia questo non avviene sempre, come ho già accennato, l’effetto può essere drasticamente diverso, tale che alcuni canali ionici possono determinare il differenziamento neuronale in alcune cellule, mentre altri canali possono determinare l’espressione di proteine del metabolismo o neurotrasmettitori in maniera non chiara.

Una spiegazione che, secondo me, ha aperto la strada e gli occhi a molti ricercatori scientifici risiede nell’articolo di cui parlavo all’inizio di questa disquisizione, pubblicato su un numero di Cell dell’anno scorso dalla dott.sa Gomez-Ospina dell’università di Stenford. Il canale del calcio voltaggio dipendente (Cav1.2) possiede nel dominio C-terminale una sequenza peptidica che, se tagliata, è di fatto un fattore trascrizionale a tutti gli effetti e modula un cospicuo gruppo di geni endogeni importanti per la neurotrasmissione e per l’eccitabilità neuronale.

Il fattore trascrizionale in questione è stato definito Fattore Trascrizionale Associato al Canale del Calcio (CCAT) e si origina mediante la proteolisi di Cav1.2. Appena liberato, questo fattore trascrizionale si localizza nel nucleo dei soli neuroni grazie a meccanismi non ancora ben chiari e lì lega proteine nucleari e sequenze specifiche di DNA attivando la trascrizione dei geni target.

La cosa curiosa è che CCAT a sua volta è regolato dalle concentrazioni di calcio e dalla presenza di altri fattori trascrizionali che variano durante lo sviluppo, quindi il suo funzionamento è regolato da diverse variabili. L’effetto finale che ha il canale Cav1.2 quindi non è semplicemente variare la concentrazione di calcio ma regolare direttamente la trascrizione di geni target.

Bhé in definitiva questo articolo ci racconta come a volte le teorie che vengono formulate e che leggiamo di continuo non siano altro che un velo oltre il quale si nascondono dei meccanismi, come in questo caso, inimmaginabili e forse anche al limite della credibilità secondo le attuali conoscenze molecolari.

Forse non tutti i meccanismi sono di questo tipo e così semplici da spiegare, ma possiamo essere certi che c’è ancora tanto da scoprire dietro le nostre attuali teorie.

Tags: Biologia molecolare, Canali voltaggio dipendenti, fattori trascrizionali, Neuroscienze, Potenziali d'azione
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6 dicembre 2007 - 9:47 pm

Una questione di forma

Come si diceva nel post di presentazione di questo blog, la bioinformatica gioca un importante ruolo nelle neuroscienze. Ho deciso quindi di scrivere questo post per tutti i nostri amici bioinformatici (e non).
Lo spunto nasce da una lettera a Nature che stavo leggendo tempo fa: Unique features of action potential initiation in cortical neurons – Nature 2006.

Premetto che l’articolo è piuttosto complesso ed entra in dettagli che credo non interessino ai più, ma quello che voglio far vedere è come sia possibile usare (nel bene o nel male, starà a voi decidere…) la bioinformatica per investigare i processi biologici del nostro cervello.
Prima di addentrarci nel problema specifico credo sia necessario fare una piccola introduzione: i neuroni nel nostro cervello comunicano fra di loro utilizzando scariche elettriche controllate, chiamate potenziali d’azione generati dal passaggio di ioni attraverso la membrana del neurone. Centinaia, se non migliaia di studi hanno analizzato nei minimi dettagli come vengano generati i potenziali d’azione, quali canali siano coinvolti, quali siano le cinetiche di questi canali e via dicendo. E qui entra in gioco la bioinformatica: se siamo in grado di usare questi dati per costruire un modello informatico di un neurone, possiamo riprodurre virtualmente un potenziale d’azione ed ottenere informazioni sul rapporto fra, per esempio, la sua forma ed i canali ionici che lo generano.
Tutto inizia con gli studi di Allan Hodgkin ed Andrew Huxley, che nel 1952 generarono il primo modello matematico di propagazione del potenziale d’azione, studio che garantì loro il premio Nobel nel 1963. Il modello di Hodgkin ed Huxley è basato su dati raccolti negli assoni giganti del calamaro e consiste di una serie di equazioni differenziali che permettono di rappresentare la generazione di un potenziale d’azione in una cellula eccitabile.
Negli ultimi 50 anni, tuttavia, questo processo è stato studiato più approfonditamente e si è venuti a scoprire che non tutti i potenziali d’azione sono uguali. L’eterogenicità è principalmente dovuta ai diversi canali espressi da diversi tipi di neuroni: giusto per fare un esempio, sono state identificate più di 100 subunità per i canali al potassio! Ciascun neurone, poi, può esprimere vari tipi di canali per lo stesso ione, quindi il numero di parametri da contare in un modello matematico diventa presto molto alto (solo per i canali di membrana si raggiungono facilmente 15 o 20 termini).

Arriviamo quindi al punto dell’articolo: gli autori hanno registrato potenziali d’azione della corteccia cerebrale in vivo ed in vitro, li hanno poi comparati con quelli generati da un modello che sfrutta le equazioni di Hodgkin ed Huxley e hanno trovato varie differenze tra la situazione sperimentale e quella derivata dal modello. In particolare la forma della fase ascendente del potenziale d’azione è differente così come il valore dell’onset potential, cioè il potenziale a cui inizia la rapida depolarizzazione della membrana, che è molto più variabile nella situazione reale che non nel modello. Questi problemi non riescono ad essere risolti semplicemente cambiando i parametri del modello, a meno di non andare ad usare valori assolutamente non fisiologici.
Queste possono sembrare piccolezze, ma non è così: i neuroni, infatti, “leggono” diversi parametri dei potenziali d’azione. La forma del potenziale d’azione può incidere ad esempio sul rilascio di neurotrasmettitori alle sinapsi e, più in generale, la forma contribuisce a generare diversi firing patterns, ossia diversi “motivi” nella generazione dei potenziali d’azione, che possono essere generati ad esempio a diverse frequenze, in continuo o in gruppi più o meno lunghi (bursts), in modo regolare o irregolare. Tutte queste variabili permettono la comunicazione di diversi stimoli da parte della stessa cellula utilizzando un solo sistema.
Gli autori dello studio propongono quindi un modello rivisto che invece modella bene le caratteristiche mancanti nel modello Hodgkin-Huxley. Il problema è che questo nuovo modello implica che i canali al sodio voltaggio-dipendenti che sono alla base della trasmissione del potenziale d’azione si aprano in modo cooperativo (cioè, l’apertura di uno favorisce l’apertura di quelli attorno). Ovviamente, non c’è alcuna prova sperimentale del fatto che ciò avvenga in un vero neurone!

Insomma, alla fin della fiera questo studio mostra come si possano derivare modelli matematici partendo dai dati sperimentali, smontare gli stessi modelli con altri dati sperimentali, per costruire così un nuovo modello che genera nuove teorie (non provate). Il prossimo passo, immagino, dovrà essere quello di accettare o smentire questo nuovo modello con altri dati sperimentali, grazie a quel magnifico processo chiamato metodo scientifico.

Tags: Bioinformatica, Firing, Hodgkin & Huxley, Modeling, Neuroscienze, Potenziali d'azione