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Lo “spam” più microscopico che c’è grazie all’ex “batterio killer”

Chiunque controlli la propria casella di posta elettronica saprà di certo quanto fastidioso e seccante possa essere lo spam, cioè quella forma invadente di pubblicità indesiderata che può arrivare ad intasare le nostre caselle e-mail. Eppure, lo SPAM oggi assume anche un nuovo significato, addirittura utile: quello di batteri modificati in laboratorio capaci di nascondere messaggi cifrati. Ma andiamo con ordine.

Cosa significa veramente la parola spam? Secondo Wikipedia questa parola altro non è che il nome commerciale di un tipo di carne in scatola prodotto dalla Hormel Foods Corporation dal 1937, e diventata famosa Oltremanica (soprattutto nel secondo Dopoguerra) per le massicce campagne pubblicitarie, tanto che per un certo periodo la SPAM era ovunque! Proprio per questa onnipresenza, la SPAM è stata il soggetto di uno sketch comico dei Monty Python, nel quale una cameriera elencava un’interminabile sfilza di pietanze dal menù, tutte a base di SPAM (“uova e SPAM, uova pancetta e SPAM, salsicce e SPAM…”), mentre al cliente, poverino, quella carne in scatola non piaceva proprio (“Ma non c’è qualcosa senza SPAM?” “Certo, le uova con SPAM!”). Da qui dunque nasce l’odioso fenomeno che oggi interessa tutte le caselle di posta elettronica.

Per fortuna però non esiste solo questo spam. In uno studio pubblicato sulla rivista scientifica PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) da Manuel A. Palacios, della Tufts University a Medford, Massachussetts, lo SPAM è un acronimo per Steganography by Printed Arrays of Microbes (ovvero, “Scrittura in codice su matrici stampabili di batteri”) ed è una rivoluzionaria tecnica che permette la scrittura e la decifrazione di un codice utilizzando il batterio Escherichia coli (sì, lo stesso del cetriolo killer… ) appositamente modificato in laboratorio.

Nel dettaglio, in questi batteri viene inserita una proteina capace di emettere una luce fluorescente, scegliendola tra sette colori disponibili (verde, azzurro, verde scuro, giallo, arancione, rosso pomodoro e rosso ciliegia). I batteri vengono poi disposti su un foglio di nitrocellulosa a gruppi di due, secondo lo schema riportato nella figura A: per fare la lettera ‘M’, ad esempio, ci vogliono un batterio con il colore azzurro e uno con il rosso ciliegia, mentre per la lettera ‘B’ ce ne vorrà uno rosso ciliegia e uno arancione…

Come si può vedere nella figura B, in questo modo il gruppo di ricercatori è stato in grado, utilizzando 144 ‘punti’ colorati corrispondenti a 72 caratteri (inclusi gli spazi), di comporre il messaggio “questo è un messaggio biocifrato dal walt lab alla tufts university 2011” (sono riuscito a mantenere i 72 caratteri anche nella traduzione dall’inglese, ma se avessi scritto il messaggio in italiano la combinazione di colori sarebbe stata ovviamente diversa!).

 

Grazie alle conoscenze in campo biotecnologico, è poi possibile inserire altri livelli di codifica. Ad esempio, utilizzando diversi ceppi batterici è possibile far produrre ai singoli batteri le loro proteine fluorescenti in tempi differenti (per esempio, dopo 8 ore o 48 ore dalla preparazione del foglio di nitrocellulosa), generando in questo modo un sistema di consegna dei messaggi “on-demand” o “ritardato”.

Un altro livello di codifica si ottiene sfruttando la resistenza che i batteri hanno per gli antibiotici, e combinando questa caratteristica alla capacità di ‘produrre’ il colore fluorescente. Ad esempio, se i batteri resistono bene all’antibiotico ampicillina, mettendo sulla nitrocellulosa quell’antibiotico i batteri rimangono vivi, producono il loro colore fluorescente e codificano il solito messaggio (“questo è un messaggio biocifrato dal walt lab alla tufts university 2011”). Se invece negli stessi batteri vengono inseriti anche i geni per un altro colore fluorescente, accoppiato alla resistenza per un altro antibiotico (la kanamicina), il codice di lettura cambia: in presenza di kanamicina, rimarranno vivi i batteri capaci di resistere, e produrranno il colore associato alla resistenza per quell’antibiotico. In questo modo, si otterrà “il codice che è stato usato è errato e quindi il messaggio è senza senso” (sempre 72 caratteri!). In assenza di entrambi gli antibiotici non si produrrà invece alcun messaggio, dato che si manifesterebbero contemporaneamente i colori di due proteine fluorescenti, producendo nuovi colori che non corrispondono al codice.

Nonostante questa tecnologia sia relativamente semplice e sia in grado di consentire una comunicazione cifrata, la bassa densità di informazioni (che può essere ampliata usando diversi marcatori di selezione, ottenendo quindi un messaggio a più livelli) e la sopravvivenza di questi batteri, particolarmente sensibili ai cambi di condizioni ambientali* costituiscono alcuni piccoli ostacoli all’immediato impiego di questo modo di comunicare. Speriamo che queste limitazioni vengano presto superate!

Come molto spesso accade, la scienza offre quindi all’uomo un altro utile strumento. Solo in futuro però vedremo l’uso che verrà fatto di questa portentosa biotecnologia, sperando che non si riveli devastante come altre scoperte potenzialmente utili ma applicate in maniera controproducente…

 

* ulteriori studi andranno fatti su altri micro-organismi, quali Saccharomyces cerevisiae e Bacillus subtilis.

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Scritto da Matteo Beretta Pubblicato il 19 ottobre 2011

 

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