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Quella lettera che scoprì – da sola! – la macchia di Giove

Internet è stata proprio una manna dal cielo per il progresso della Scienza.
Un studente che cominci or ora il proprio dottorato in un laboratorio moderno, molto probabilmente non visiterà spesso la biblioteca del proprio Ateneo… infatti, il 90% delle risorse di letteratura che gli serviranno le potrà trovare in pochi minuti con una ricerca sulla Grande Rete. Per non parlare poi dei milioni di email che gli scienziati si scambiano privatamente ogni giorno, per informare colleghi e collaboratori degli ultimi, emozionanti risultati appena ottenuti.
Tutto questo era fantascienza solo 20-30 anni fa, quando pesanti tomi, spesso un pochino polverosi (sic) erano i migliori compagni degli studiosi; e per comunicare, questi ultimi dovevano affidarsi alle lungaggini delle poste nazionali e internazionali.  Ma delle missive cartacee, il primo scienziato a diffidare è stato il primo tra gli scienziati: Galileo Galilei.
“In che modo posso inviare messaggi ai miei colleghi a Praga – si chiedeva il grande pisano – senza il rischio che occhi indiscreti leggano le mie righe?”. Beh, facendo affidamento sull’intelligenza del destinatario (tale Keplero), Galileo decise di ricorrere a testi anagrammati. Per esempio, nella lettera che Galileo inviò a Praga per comunicare la scoperta delle fasi del pianeta Venere, egli trasformò la frase chiave del messaggio “CYNTHIAE FIGURAS AEMULATUR MATER AMORUM” (ovvero: Le fasi della Luna [Cynthia] sono emulate da Venere [Mater Amorum]) nel seguente anagramma: “HAEC IMMATURA A ME IAM FRUSTRA LEGUNTUROY”. Ricevuta la missiva, Keplero trovò per l’enigma una soluzione che, seppur valida*, era però incredibilmente diversa da quella pensata da Galileo. La nuova soluzione era la seguente: “MACULA RUFA IN IOVE EST GYRATUR MATHEM ECC”. In pratica, secondo Keplero Galileo aveva visto una macchia rossa che girava sulla superficie di Giove.
Ora, Giove ha davvero una celebre macchia rossa in superficie, ma questa è troppo piccola per poter essere scorta dal cannocchiale galileiano (ed in effetti verrà osservata nel 1665, 23 anni dopo la morte dello scienziato pisano).
Morale della favola? Se hai un cervello come quello di Galileo, meglio buttar via le email e scrivere anagrammi ai colleghi di pari livello con carta e penna: chissà, magari la fantasia di questi ultimi getterà luce sui futuribili, strabilianti risultati scientifici dell’anno 2200!

 

* Il lettore attento avrà notato che la soluzione alternativa presenta una V in più ed una U in meno rispetto ad una soluzione pienamente valida dell’anagramma. Le fonti che riportano la storia della soluzione trovata da Keplero sembrano affidabili, potete controllare voi stessi con una ricerca mirata su Google. E chissà quindi che il suddetto lettore attento non si sia imbattuto in un errore del grande Keplero…

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Scritto da Pepito Sbazzeguti Pubblicato il 3 giugno 2011

 

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Un commento »

  • Andrea dice:

    Vorrei solo sottolineare che nel latino classico la ‘U’ e la ‘V’ venivano scritte con lo stesso simbolo ‘V’.

    Per cui nessun errore.