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Siamo davvero nella caverna di Platone. Anzi, siamo le ombre sulle pareti!

Ai fisici piace approssimare tutto a delle palline, che poi incastrano nei loro modelli come approssimazione di quello che vedono nella realtà. Dato che le palline normali sono difficili da trattare, quelle che i fisici adorano sono le palline più semplici di tutte: i punti adimensionali. Arriva però un punto in cui nemmeno le palline adimensionali vanno più bene, quando l’Universo si comporta in maniera molto diversa dalle palline. E allora l’uomo sostituisce le palline del tutto, sostituendole con delle equazioni che solo quando vengono disturbate sputano palline. E se le palline non ci fossero per nulla?

E se fossimo NOI la manifestazione matematica e virtuale di un'entità reale, e non viceversa? Fonte: http://www.phy.duke.edu

Meccanica quantistica è quando spettro a righe, direbbe Boskov. La meccanica quantistica nasce quando le palline non vanno più bene a rappresentare l’universo così come esso si comporta. As esempio, prendiamo un elettrone. Un elettrone è come un piccolo magnetino: se lo muovo, esso genererà un campo elettromagnetico (così come un magnete ondeggiato nei pressi di un filo metallico induce nel filo una corrente elettrica). Se l’elettrone fosse una pallina che gira attorno ad un protone, si schianterebbe molto presto contro di esso, perdendo man mano la sua energia cinetica a causa del suo moto. Ma l’elettrone non è (non solo) una pallina: ad esso è associata una funzione d’onda, che ne descrive in maniera probabilistica la posizione spazio-temporale attorno al protone, ma che esso occuperà realmente solamente quando andrò ad infilare una mano nell’atomo per assicurarmi che lui è veramente lì (faccenda curiosa che prende il nome di collasso della funzione d’onda). La cosa più sorprendente è che per quanto faccia poco senso, le cose stanno effettivamente in questi termini. Un po’ come quando non credi che servano davvero tutte quelle cose controintuitive che devi fare per sciare in modo decente.

Ma che razza di roba è veramente una funzione d’onda? Fino a ieri chiunque vi avrebbe risposto (per limitare le ernie cerebrali che una risposta alternativa avrebbe provocato) che una funzione d’onda è una struttura matematica, che serve a descrivere degli oggetti (che assomigliano incredibilmente a delle palline) che non sappiamo bene come gestire.

Qualcun altro invece sostiene che la funzione d’onda sia un vero e proprio oggetto fisico, e propone degli esperimenti per interrogare l’Universo in merito a questa questione. L’idea è di effettuare una serie di misurazioni (per i più avventurosi, qualche dettaglio qui) che diano risultati diversi a seconda che la funzione d’onda sia una mera astrazione matematico-statistica, oppure sia una cosa che potete veramente utilizzare come fermacarte.

Che cosa potebbe cambiare una scoperta del genere? Tutto e niente: non cambierebbero i risultati per tutti quelli del “zitto e fai i conti”; però pensare di essere una effimera emanazione di qualcosa di simile ad una “entità matematica solida” manda un certo brividino lungo la schiena.

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Scritto da Piermatteo Barambani Pubblicato il 12 dicembre 2011

 

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8 Commenti »

  • Zarathustra dice:

    Post molto interessante.
    Da parecchio tempo la fisica si interroga sul reale significato delle equazioni che vengono usate per descrivere i fenomeni, e questo non vale solo per la meccanica quantistica.
    Il problema è un po’ il problema ‘dell’uovo o della gallina’ ovvero: “è l’universo che ha una struttura matematica, oppure la matematica è lo strumento con cui riusciamo a modellizzare meglio cio’ che accade nell’universo?”
    Finchè la fisica è stata deterministica le cose sono state ‘relativamente facili’, con l’avvento della meccanica quantistica e l’intervento di realtà con comportamenti eminentemente statistici il problema è nuovamente riemerso.
    Pero’ è sempre esistito, solo che A NOI sembra piu’ naturale il comportamento ‘prevedibile’ della gravità rispetto al moto di un elettrone.
    Tuttavia, il fatto che una forza decresca col quadrato della distanza (come per la gravità) è piu’ facile da comprendere PER NOI. Il sasso che cade non ha alcuna consapevolezza del proprio moto, proprio come l’elettrone non ha alcuna consapevolezza della propria funzione d’onda.
    Semplicemente, per noi è piu’ facile capire dove andrà a cadere il sasso.
    Il concetto stesso di probabilità in senso generale ci è comprensibile, ma ogni evento di natura statistica, per definizione, non è esattamente (deterministicamente) prevedibile.
    E non c’è bisogno di scomodare gli elettroni per giungere al collasso delle funzioni d’onda ed al passaggio da statistica a determinismo:
    ad ogni estrazione del lotto la probabilità di uscita di un numero è la medesima finchè il bussolotto non viene estratto dall’urna.
    Prima della nostra ‘osservazione’ nel bussolotto ci puo’ essere qualunque numero.
    E’ solo la nostra misurazione a far ‘collassare’ tutte le possibilità in una realtà deterministica.
    Io posso tranquillamente affermare che mentre girano nell’urna tutti i bussolotti contengano tutti dei fogli identici su cui sono impressi uno sull’altro tutti i numeri e solo quando apriamo il bussolotto uno di questi numeri diviene reale e, tramite entanglement, influenza, riducendola a zero, la propria probabilità di comparsa in un qualunque altro bussolotto dell’urna.
    Questo per dire che forse, la meccanica quantistica è un modo complicato per spiegare qualcosa di piu’ semplice, ma quel qualcosa di piu’ semplice non è detto che ci sia facilmente intuibile.
    Chi fosse in grado di riuscirci probabilmente vincerebbe sia il nobel che la lotteria.

  • Doriano Brogioli dice:

    Per completare l’iottima nformazione dell’articolo, andrebbe ricordato che nella storia della meccanica quantistica la funzione d’onda e’ stata gia’ considerata un oggetto reale, da H. Everett.

    In realta’ tutto stava filando liscio. Era stata trovata una equazione d’onda, erano stati fatti esperimenti che confermavano la precisione della teoria. C’erano dei paradossi (il gatto di Schroedinger), ma fortunatamente arrivo’ Everett a spiegare che il paradosso non era un problema, ma che semplicemente ci appariva tale perche’ ci stavamo rifiutando di capire che noi stessi facciamo parte dell’universo, anziche’ essere osservatori onniscienti.

    Quello che dimostro’ Everett e’ semplicemente che, se il gatto vivo e il gatto morto effettivamente coesistono, comunque non possono vedersi. Ottenne il risultato analizzando l’equazione di Schroedinger. E se esistono due sperimentatori, rispettivamente uno che vede un gatto vivo e uno che ne vede uno morto, i due sperimentatori non hanno modo di accertare la presenza uno dell’altro. Il mondo si biforca effettivamente ad ogni istante. L’esperimento con il quale verifico la coesistenza di due pacchetti d’onda nell’elettrone (esperimento della doppia fenditura) e’ diverso dall’esperimento con cui verifico la salute del gatto.

    Insomma, un po’ quello che si sta riscoprendo adesso.

    Invece, come si puo’ immaginare, la censura esisteva anche allora. “Teoria pericolosa! No, no, cosi’ non va!” Bohr decise di evitare ogni problema, aggiungendo un postulato alla sua interpretazione probabilistica della meccanica quantistica: “la meccanica quantistica non si puo’ capire” e pertanto non e’ lecito discuterne. Cosi’ come gia’ aveva detto ad Einstein. Penso che su questa strana posizione, antiscientifica, dello “zitto e calcola”, ci sia l’ombra della passione di Bohr per la filosofia e le religioni orientali. Brutta cosa, quando la religione offusca la comprensione della natura.

    Il risultato e’ che per quasi un secolo la meccanica quantistica e i suoi fondamenti sono rimasti un mistero. E a tutti insegnano le sciocchezze del collasso e della dualita’. Il povero H. Everett visse da depresso e mori’ prematuramente a causa dell’alcool e del fumo, dopo aver rovinato anche la vita dei figli. Non ricevette alcun premio, anzi lascio’ la fisica, per dedicarsi alle strategie militari di sterminio di massa. Se il mondo non capiva una cosa tanto banale quanto la sua teoria, tanto valeva distruggerlo.

    Al sua teoria fu sbeffeggiata, assegnandole il nome di “teoria dei molti mondi”. Ogni tanto qualcuno la riscopre, ma deve fare ben attenzione a non nominarla. Ad esempio, il concetto di “decoerenza” non e’ altro che una riscrittura in bella copia del lavoro di Everett. Anche l’articolo citato non mi sembra sorprendente. Nonostante questo, sperio che i tempi stiano veramente cambiando.

    Doriano

  • Zarathustra dice:

    Ciao Doriano,
    la teoria dei molti mondi (o anche ‘di tutti i mondi possibili’) non è poi cosi’ oscura e ignota, tuttavia, per quanto ne so ha due problemi di fondo: il primo è la non verificabilità dato che postula l’incomunicabilità tra i due universi dopo la biforcazione, il secondo problema è correlato al primo ed è la mancanza di esperimenti che possano falsificare la teoria.
    Di fatto credo che siano questi i motivi per cui la comunità scientifica l’ha considerata poco.
    Va poi considerato il fatto che dal punto di vista ‘pratico’ non risolve nulla: nell’interpretazione classica della meccanica quantistica (interpretazione di copenhagen) prima del collasso gli stati sono inconoscibili per motivi connaturati (potremmo dire ontologici) nella natura non deterministica del fenomeno, nell’interpretazione a molti mondi gli eventi procedono deterministicamente (vengono creati universi che soddisfino tutte le soluzioni quantistiche), ma prima della misurazione noi comunque non possiamo sapere in quale universo siamo, per cui in questo secondo caso il problema non è ontologico ma conoscitivo (gnoseologico), ma di fatto non cambia nulla: abbiamo bisogno di effettuare la misura o per far collassare la funzione d’onda o per capire in quale ramo della biforcazione cosmica siamo.

    Vorrei aggiungere comunque che la natura reale (e quindi non di modello utile per descrivere la realtà, ma di regola cui sottostà la realtà stessa) delle leggi fisiche in forma matematica è stata riproposta tante volte ed in varie forme.
    Burkhard Heim propose che tutti gli enti che conosciamo, particelle incluse, siano forme puramente geometriche che oscillano nello spazio e che il nostro unviverso quadridimensionale sia una ‘funzione di conversione’ di informazioni matematiche che rimbalzano tra due altre dimensioni. Le equazioni sviluppate da Heim sono piene di errori (Heim era cieco, sordo e invalido) ma l’impianto teorico generale non è poi cosi’ lontano da quello della teoria delle stringhe che postula che tutta la materia sia in realtà il comportamento macroscopico della vibrazione di oggetti matematici bidimensionali.

    Il problema della pretesa (reale o presunta che sia) realtà della matematica come entità fisica emerge costantemente nella storia della scienza perchè il formalismo matematico è quello con cui il cervello ordina gli eventi e il caso è cio’ che esula da questo formalismo.
    Ogni apparato teorico di conoscienza che voglia possedere una completezza formale sufficiente a descrivere il tutto DEVE comprendere questi due aspetti.
    Già l’epicureismo con il ‘clinamen’ prevedeva un moto regolare degli atomi (in caduta rettilinea nel vuoto) perturbato da fluttuazioni casuali…

    Le equazioni poi diventano piu’ complesse, ma la macchina che le pensa è sempre la stessa e possiede sempre gli stessi modelli per cui credo che tra 100, 1000 o 10000 anni, con apparati formali sempre diversi e piu’ accurati, l’uomo continuerà a scontrarsi con qualcosa che deve integrare l’ordine e la prevedibilità con il caos e l’imprevedibilità

    • Zarathustra dice:

      Oddio, ho scritto conoscienza con la “i”!?
      Arcaismo o ignoranza?

      Ignoranza.

      :(

  • Doriano Brogioli dice:

    La teoria di Everett e’ chiamata in modo offensivo “dei molti mondi”. E’ talmente banale, che spesso la gente non la capisce, eppure crede di si’. E Zarathustra non la ha capita. Perche’ ne sono convinto? Ecco cosa dice:

    “postula l’incomunicabilità tra i due universi dopo la biforcazione”

    La teoria di Everett non “postula” nulla di simile. Parte invece dalla dimostrazione, attraverso la equazione di Schroedinger (o ogni altra formulazione quantistica) che i due pacchetti non possono comunicare. Oggi questo concetto e’ chiamato “decoerenza”. E’ una osservazione di un dato di fatto. Finche’ ci sono esperimenti in grado di vedere interferenza tra i pacchetti, questi mostrano che i due pacchetti esistono, contemporaneamente, come per l’elettrone nella doppia fenditura.

    Oltre un certo limite, gli esperimenti di “comunicazione” diventano difficili, e addirittura impossibili. E’ proprio qui, che la teoria di Bohr “postula” il collasso della funzione d’onda.

    Quindi, chi sta postulando qualcosa e’ Bohr. Sempre Bohr (e Zarathustra con lui) sostiene che il collasso avviene, ma lo colloca proprio nelle condizioni non accessibili agli esperimenti. Quindi, posso rispondere con le stesse parole di Zarathustra, ma che si riferiscono alla teoria del collasso, e non a quella di Everett:

    “[la teoria del collasso] ha due problemi di fondo: il primo è la non verificabilità dato che postula [il collasso in condizioni non verificabili sperimentalmente], il secondo problema è correlato al primo ed è la mancanza di esperimenti che possano falsificare la teoria”

    Come dicevo, purtroppo Bohr, con le sue motivazioni metafisiche, e’ riuscito a impedire lo sviluppo di una sana e lucida visione del problema. Ovviamente, non e’ affatto chiaro se la teoria di Everett sia la teoria fondamentale. Cioe’ non e’ affatto chiaro se veramente esistono tanti pacchetti macroscopicamente diversi che non si parlano. Pero’ questa e’ l’interpretazione piu’ sana e lucida della meccanica quantistica. Se, per ragioni metafisiche, vogliamo modificarla, aggiungendo delle forzature non controllabili sperimentalmente, come il collasso della funzione d’onda, dobbiamo capire pero’ che lo stiamo facendo, appunto, al di fuori della scienza. Magari, per qualche inconscia ragione metafisica.

    Fortunatamente, molta gente ormai ha capito queste cose, anche se e’ ancora difficile parlarne. Quando Zarathustra dice “per quanto ne so la teoria dei molti mondi ha questi problemi”, sta riferendo i pensieri della comunita’ di fisici che discutono (come fanno da un secolo) sulla meccanica quantistica, un po’ a vanvera. Se invece provasse a parlare con la gente che la meccanica quantistica la conosce a fondo, come quelli che si occupano di quantum computing, gli direbbero piu’ o meno quello che sto dicendo io.

    Doriano

    • Zarathustra dice:

      Doriano,

      scusa il ritardo con cui rispondo al tuo commento, ovviamente ogni critica è sempre ben accetta, tuttavia mi permetto di obiettare su alcuni punti.

      tu dici:

      ‘Bohr, con le sue motivazioni metafisiche, e’ riuscito a impedire lo sviluppo di una sana e lucida visione del problema’

      Pur ammettendo che la scienza sia sempre perfettibile e che nuove teorie e nuovi modelli stravolgano/soppiantino quelle in vigore, ritengo piu’ forti i postulati della interpretazione a molti mondi (e non la chiamo teorie dei molti mondi in modo denigratorio, ma solo perchè la comunità scientifica usa frequentemente la terminologia ‘Many World Interpretation’ (MWI), se preferisci usero’ la terminologia ‘Relative State Interpretation (RTI), ma una rosa, anche chiamata con un nome differente, rimane una rosa).
      Everett sostiene un’idea razionalmente condivisibile, ovvero che le leggi della fisica modellate nelle equazioni che conosciamo possano descrivere perfettamente l’evoluzione di un sistema senza che sia necessario incasellarvi dentro anche il ruolo di un osservatore privilegiato.
      Dal punto di vista filosofico Everett sostiene la soluzione razionale dell’enigma Zen: se un albero cade nella foresta, anche se non c’è nessuno a sentirlo, l’albero comunque fa rumore.
      Everett sostiene che l’escamotage del collasso della funzione d’onda sia artificioso e di fatto la sua risoluzione del problema è elegante: non esiste un osservatore privilegiato, il fenomeno osservato (il suo stato quantico) dopo l’osservazione lega indissolubilmente l’osservato e l’osservatore in uno stesso sistema (entangled) con una funzione d’onda che comprende entrambi.
      Esiste quindi una funzione d’onda di sistema.
      Ed espandendo il sistema a tutto l’universo deve esistere quindi una funzione d’onda universale.

      A questo punto pero’, per evitare l’artificiosità del collasso della funzione d’onda si compie un balzo della fede.

      Per soddisfare l’osservazione di eventi non deterministici col determinismo delle leggi della meccanica quantistica, ad ogni variazione quantistica nell’universo ci deve essere necessariamente una ramificazione che permetta che tutte le possibili soluzioni siano soddisfatte.
      Ma questo è un postulato allo stesso modo del collasso della funzione d’onda, piu’ elegante dal punto di vista intellettuale, ma non meno artificiosa.
      Le ramificazioni, pur coprendo tutti gli stati, devono essere pesate per la probabilità dei singoli eventi, ma se non mi ricordo male Everett non deriva la legge di Born, ne postula la validità a priori,

      Puo’ essere benissimo che:

      ‘Bohr, con le sue motivazioni metafisiche, e’ riuscito a impedire lo sviluppo di una sana e lucida visione del problema’

      Ma un modello se non è verificabile è valido quanto qualunque altro che a sua volta sia non verificabile.

      Esistono esperimenti concettulai per distinguere l’interpretazione di copenhagen da quella di Everett, magari in futuro sarà possibile vedere chi aveva ragione.

      Ps.

      Vista la tua critica appassionata, sia che tu sia soddisfatto del mio commento, sia che tu non lo sia affatto ti invito a postare un articolo in materia, perchè piu’ punti di vista sono sempre meglio di uno.

      Un saluto.

      Z.

  • Doriano Brogioli dice:

    Ribadisco: non c’e’ alcun postulato sulla ramificazione dei mondi nella spiegazione di Everett.

    Sia Bohr che Everett postulano, ovviamente, l’equazione di Schroedinger.

    Poi, Everett nota che questa equazione porta alla ramificazione. Questo lo ammette anche Zarathustra, ma poi stranamente chiama questa scoperta con il nome di postulato: ma se e’ dimostrabile dalle premesse, non si chiama teorema?

    Invece, Bohr aggiunge un postulato, quello del collasso, che avviene in condizioni al di fuori della sperimentabilita’. E anche questo Zarathustra lo ammette: non ci sono esperimenti che “vedono” il collasso.

    Per il rasoio di Occam, dobbiamo credere a Everett. Ma quello che e’ importante non e’ che la ramificazione avvenga o no, cioe’ non e’ importante a chi credere. La cosa importante e’ capire che il collasso non e’ sperimentalmente osservabile, mentre la proliferazione dei pacchetti e’ conseguenza di una teoria. Certamente l’uomo della strada cerchera’ di dire che invece il mondo e’ come ha sempre creduto che sia: la terra e’ ferma, il mondo e’ unico e cosi’ via. Ma se crediamo alla scienza, non possiamo aggiungere postulati solo perche’ rispecchiano meglio la nostra visione ingenua del mondo, anzi, dobbiamo cambiare la nostra visione, anche se sappiamo che la scienza non ci dara’ mai la “visione ultima” del mondo.

    L’albero esiste anche se nessuno lo guarda? Ma non e’ solo zen: e’ soltanto Occam! Perche’ dovrei postulare che l’albero sparisca quando nessuno lo guarda?
    E poi, Zarathustra: credi davvero che l’albero sparisca (anche per te) quando io mi giro di spalle?

  • Doriano Brogioli dice:

    Rileggendo bene la lettera di Zarathustra, vedo c’e’ un errore fondamentale. La “ramificazione” non e’ un postulato, ma e’ una conseguenza della equazione di Schroedinger, e’ un teorema. D’altra parte, nella mia esperienza, le uniche persone che non apprezzano la spiegazione di Everett sono quelle che non l’hanno capita… almeno, per adesso e’ sempre stato cosi’.

    Cioe’, non e’ che Everett postula molti mondi per metterci le ramificazioni dei pacchetti. Al contrario, e’ che si puo’ dimostrare che i pacchetti stessi, al di la’ di strettissime condizioni sperimentali, non possono comunicare, e pertanto “rappresentano” mondi ramificati. Non c’e’ alcun postulato sulla probabilita’ di imboccare una ramificazione. Non c’e’ nessun postulato, ma solo un teorema. E non vedo perche’ una interpretazione, basata su un teorema, dovrebbe valere di meno che una basata sulla fede nella unicita’ del mondo.

    L’altro punto su cui Zarathustra sbaglia e’ l’artificiosita’ nel dire che l’ossrvatore (l’uomo) potrebbe non seguire l’equazione di Schroedinger. Per quello che ne sappiamo, l’uomo e’ tale e quale ogni altro oggetto (per quanto sofisticato), e pertanto, non c’e’ niente di strano ad rappresentarlo come la funzione d’onda di tutte le particelle che lo compongono. Anche qui, l’unica giustificazione nel mettere l’uomo al di fuori della natura e’ metafisica.

    Sbaglia ancora Zarathustra quando dice che pensare alla funzione d’onda complessiva “osservato – osservatore” sia come pensare a una funzione d’onda dell’intero universo. Non e’ affatto vero. La funzione d’onda dell’intero universo e’ quella della teoria di Wheeler–DeWitt, forse. E forse e’ vero che una funzione d’onda, anche senza andare sul quadridimensionale della equazione di WDW, che sia universale, potrebbe avere problemi. Ma qui si parla di un sistema finito, “osservato – osservatore”, che sicuramente non ha niente di piu’ fantasioso del semplice “osservato”.

    Sempre che non si voglia, per ragioni metafisiche, mettere l’uomo al di fuori della natura. Ma ancora, direi che vale il ragionamento contrario: visto che “mettere l’uomo nella natura” da’ come risultato una interpretazione cosi’ semplice, questa cosa e’ una prova metafisica che l’uomo non e’ niente di piu’ che natura, un oggetto molto sofisticato che ne segue le leggi come ogni altro. Forse e’ questo che disturba alcune menti…

    Forse il dubbio e’ sulla estensione dell’equazione di Schroedinger a piu’ variabili? Spero che nessuno dei lettori abbia problemi elementari di questo tipo; la meccanica quantistica a piu’ particelle non e’ un problema teorico, si risolve con un po’ di studio…

    Infine, mi sembra che il problema sia davvero sempre solo di metodo scientifico. Quando la scienza ci dice qualcosa di strano, come “la terra si muove”, la gente impiega sempre molto ad accettare, e tende a cercarsi delle scuse per non dover cambiare la sua visione del mondo. A quanto sembra, anche se il tempo passa, le rivoluzioni scientifiche, come quella eliocentrica, richiedono sempre secoli per essere accettate.

    Saluti,

    Doriano