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Storia dell’inconscio, dalla filosofia alle moderne neuroscienze (parte 3: Inconscio Cognitivo e Neuroscienze)

C’è una cosa che ha sempre affascinato tutti gli scienziati: perché pensiamo? Com’è possibile che il nostro cervello, biologicamente, abbia la coscienza e la conoscenza di sé stesso? Già questo unico dilemma farebbe esplodere cervelli a ripetizione. Per questo abbiamo voluto ospitare un’analisi in quattro parti sulla “storia dell’inconscio”, realizzata da Davide Mangani. Potete dare una ripassata alla parte 1 e alla parte 2, oppure passare subito a questa terza puntata: in ogni caso buona lettura!
Giovanni Argento

 

Come esposto nei precedenti articoli, non è stato Freud a “scoprire” l’inconscio. Invero Freud ha elaborato il concetto secondo il quale abbiamo l’interesse a rimuovere qualcosa che ci fa male e che non possiamo o vogliamo ricordare. Questi contenuti verranno serbati nell’inconscio e il compito del terapista sarà quello di far riaffiorare alla coscienza tali ricordi, in modo da eliminare i sintomi manifesti, connessi alla rimozione.
Gli studi successivi hanno dimostrato che l’inconscio “Freudiano” non era l’unico inconscio: infatti, insieme a questo inconscio definito “Dinamico”, proprio per la sua capacità di muoversi dal campo del conscio a quello dell’inconscio e viceversa, è stato scoperto un inconscio “Cognitivo” che è una facoltà psichica oggettiva, in cui più che di emozioni si parla di “cognizioni”, e più che di contenuti si parla di “processi”.
L’inconscio cognitivo non è stato mai “rimosso”, è semplicemente una facoltà che “non si può mai ricordare né dimenticare” e rappresenta una parte fondamentale della nostra vita quotidiana. Nelle neuroscienze viene anche chiamata “memoria procedurale” ed è deputata a regolare e portare con sé tutti quei movimenti automatici che compiamo senza portarli alla coscienza, come guidare la macchina o camminare.
Dunque ci serviamo di alcuni contenuti senza che questi affiorino alla coscienza mentre per altri è necessario che ne siamo consapevoli per poterli attivare: ebbene, come avviene il processo di discernimento?
La risposta è insita nella natura del nostro Sistema Nervoso. Sappiamo che il cervello lavora come i computer di nuova generazione, “in parallelo”; in esso afferiscono continuamente migliaia di stimoli dal mondo esterno e dall’organismo, tali stimoli vengono elaborati ed organizzati e ne siamo contestualmente “informati”. Lo scienziato Edoardo Boncinelli ha definito ognuno di questi processi “Neurostato”, ossia uno stato nervoso definibile con precisione. Nel Sistema Nervoso viaggiano continuamente diversi neurostati con diversa finalità: se devono emergere alla coscienza, perderanno la loro natura “in parallelo” per diventare “seriali” disponendosi in una sequenza. Tale processo di serializzazione genera uno “psicostato” e viene percepito attraverso una sincronizzazione a livello cerebrale di gruppi di neuroni che scaricano impulsi elettrici. Boncinelli, per meglio spiegare questo processo, assimila la coscienza ad una “clessidra” in cui processi nervosi paralleli vengono per un attimo costretti a serializzarsi nella strozzatura dando luogo ad una presa di coscienza, per poi tornare nuovamente in parallelo in modo da generare una risposta.
Va sottolineato che il processo di serializzazione è irreversibile e che nel momento in cui processi paralleli confluiscono in una serializzazione della coscienza per formare uno psicostato, non possono più tornare indietro e risalire ai neurostati che lo hanno determinato; inoltre questi neurostati saranno di forma e natura diversa rispetto a quelli entrati nella “strozzatura” della coscienza!
Dunque, data la diversa natura psichica di queste due facoltà, seriale e parallela, noi non prendiamo coscienza di tutti i processi inconsci né potremmo mai esprimerli a parole (pensiamo ad esempio alle strutture che regolano il movimento, la coordinazione, che non saranno mai personalmente comprensibili). Addirittura studi recenti hanno dimostrato come questi processi dell’inconscio cognitivo non siano solo relegati agli atti motori ma anche ai rapporti interpersonali; si è visto che alcuni schemi relazionali, instaurati durante l’infanzia (e non solo), quindi schemi che sostanzialmente sono scevri della coscienza, permangono anche in età adulta e regolano i nostri comportamenti affettivo-relazionali senza che noi ne siamo consapevoli. Tali processi potrebbero perfino essere alla base di come ci relazioniamo con gli altri, ad esempio nella modalità in cui sviluppiamo simpatie, antipatie e le emozioni ad esse correlate.
Per meglio spiegare questo concetto vi descrivo un’interessante esperimento compiuto a riguardo.
Alcuni ricercatori hanno effettuato uno studio su circa venti selezionatori, incaricati di assumere del personale sulla base di curricula che riportavano referenze grossomodo uguali e la descrizione dell’intervista del candidato. In un report, tra i vari curricula veniva descritto di un candidato che durante l’intervista aveva rovesciato una tazza di caffè di fronte ai commissari. Ebbene, i soggetti sperimentali hanno preferito quel curriculum e quando gli si è chiesto il motivo della scelta nessuno ha menzionato l’episodio del caffè, ma ha addotto come motivazione il riscontro di competenze, qualità ed esperienze migliori rispetto agli altri soggetti. L’episodio del caffè è stato determinante, ma a livello inconscio poiché, come spiegano i ricercatori, tendiamo ad immedesimarci e simpatizzare per situazioni in cui qualche volta ci siamo trovati o potremmo trovarci anche noi.

Tornando alla nostra vita interiore “in toto”, possiamo dire che l’inconscio assicura, nelle sue due forme, quella continuità caratteristica della vita e dei processi biologici che possono essere esperiti grazie alla coscienza attraverso “momentanei episodi di coscienza”. Essi si susseguono l’un l’altro sostanziati dalla memoria che ci permette di associare il presente alle nostre esperienze passate. Quando vediamo una sedia, essa sarà sicuramente diversa dalla prima sedia che abbiamo visto, ma l’atto registrato nella nostra memoria rimane lo stesso e quindi nella nostra mente inconscia verrà facilmente ripescato il “concetto di sedia” e fatto affiorare facilmente alla coscienza senza nessun problema.
Un altro processo incredibile nasce nel momento in cui i vari neurostati, che cercano di serializzarsi nella strozzatura della coscienza, portano con sé residui di associazioni parallele passate, pregne di eventi, sensazioni e pensieri, donando ai nostri stati di coscienza quella molteplice coloritura che in fondo è il nocciolo della nostra vita. Questi “residui” non vengono necessariamente serializzati ed influenzano dal profondo le nostre decisioni e motivazioni.
In pratica il nostro mondo emotivo sfrutta l’apparato della “Ragione” per emergere in grazia di quegli eventi che sono ad essi più strettamente associati.
Riprendendo l’esempio della sedia, possiamo pensare che se nella zona neuronale in cui conteniamo l’informazione della sedia abbiamo associato anche una emozione o coloritura emotiva particolare, quando la memoria richiamerà il concetto di sedia per portarlo alla coscienza, esso trascinerà con sé anche la coloritura emotiva connessa.

Ricapitolando, l’inconscio ha una sua funzione dinamica di rimozione, ma è anche composto da una parte “cognitiva” che comprende tutti i processi fisiologici che hanno luogo in noi, tutti quei processi di interazione che instauriamo nell’infanzia, e non solo, che sono “liberi” dalla coscienza, tutti quei neurostati paralleli che non passano per la coscienza ma che la colorano emotivamente e la influenzano inconsciamente (rimando al concetto di memoria e ricordo).
Così si delinea una nuova linea terapeutica in cui il paziente va aiutato a sciogliere questa “viscosità” dei neurostati in modo da smorzare i collegamenti tra memoria, emozioni e coscienza che non solo aiutano la vita consapevole di tutti i giorni, ma migliorano anche la memoria procedurale e tutti quei processi che abbiamo in noi e che compiamo inconsapevolmente.
Da queste ultime riflessioni nascono nuovi temi, infatti le ultime scoperte delle neuroscienze teorizzano che forse non è la coscienza a determinarci come individuo, ma sono i processi inconsci a farlo al punto che gli scienziati sono arrivati a chiedersi se la coscienza è realmente rilevante nella nostra vita.
A tale proposito il filosofo della Mente, Daniel Dennett, ha creato la teoria della “competenza senza comprensione”. Per spiegare la sua teoria, Dennett prende ad esempio la struttura di un termitaio e della Sagrada Familia di Gaudì.

Dennett mostra come il termitaio, che è il frutto del lavoro prettamente inconscio della termite, sia così simile ad un capolavoro come la Sagrada Familia che è nata grazie all’opera cosciente di progettazione dell’architetto spagnolo. Com’è possibile che a partire dall’azione inconscia di una termite e dall’azione conscia di un genio come Gaudì si possano avere due rappresentazioni cosi simili?
Dennett afferma che l’azione della termite ricalca il funzionamento del computer che riesce a calcolare senza di per sé stesso saper calcolare, ossia riesce a dare, grazie ad algoritmi ed elaborazioni, un risultato. Per esperienza personale invece possiamo dire che l’uomo riesce a pensare grazie alla rappresentazione mentale e all’immaginazione.
Ma è davvero così per noi?
Se scendiamo a fondo, all’unità del nostro Sistema Nervoso, il Neurone, ci accorgiamo che esso non fa altro che “scaricare” impulsi elettrici senza avere comprensione di quello che fa. La comprensione è il risultato di elementi che a loro volta non comprendono se stessi, il computer non conosce l’aritmetica ma calcola, e allo stesso modo noi siamo composti da molecole “non viventi” come le proteine, che però hanno una altissima competenza di funzione. In pratica siamo composti da elementi altamente competenti ma non comprendenti. Filosoficamente ciò implica che non esiste nessuna res cogitans o funzione spirituale in noi, ma semplicemente una ben organizzata struttura di forme cellulari specializzate che sottoposte alla pressione evolutiva si sono organizzate sempre meglio per fare in modo di attuare una, a mio avviso, “illusoria comprensione cosciente” del mondo.

Quasi come in un cerchio, le neuroscienze sono tornate alla concezione di Nietzsche il quale affermava che la “grande attività mentale è inconscia”, ed in questo campo le ricerche sono tantissime ed incredibilmente interessanti.
Ci sarebbe ancora tanto da raccontare a riguardo, e tante, se non la gran parte, sono ancora le cose da scoprire!
A presto per l’ultimo articolo in cui, guardando a ritroso in questa miniserie di articoli, esporrò un’idea integrativa personale e porrò l’accento su alcuni quesiti ancora irrisolti ma che sono fondamentali per capire cosa regola ciò che siamo. In particolare parlerò della nostra INDIVIDUALITA’ che non è un concetto astratto o relegato al diritto, ma è ciò che ci sostanzia in quanto etimologicamente significa “ciò che non può essere diviso”, ossia ciò che ci rende unici e irripetibili!

Riferimenti:
E.Boncinelli – La vita della nostra mente
P. Migone – L’inconscio psicoanalitico e l’inconscio cognitivo
Zettel – Inconscio (Rai Educational- M.Ferraris, M.De Caro)
Daniel Dennett – Competence without comprension
Daniel Dennett – Intervista per “Repubblica”

 

Questo articolo è pubblicato in collaborazione con TheMangoBlack

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Scritto da Davide Mangani Pubblicato il 28 novembre 2012

 

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