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Siate tristi, siate incavolati! L’umore ai tempi delle sostanze chimiche

“Dai, giù con la vita!”, “un giorno senza sorriso… è un giorno guadagnato”, “cerca di vedere il bicchiere mezzo rotto!”, “tutto è bene quel che finisce peggio”. Chi non si è mai sentito dire da amici e parenti una frase del genere? Sicuramente nessuno dei cari lettori. Perché essere circondati da persone così originali, e brillantemente sarcastiche, è cosa assai rara. Come raro è sentirsi dire che il cosiddetto “cattivo umore” non è poi così cattivo.
La nostra società vuole incollare una paresi espressiva di giubilo a tutti, snaturando il significato della parola felicità, e classificandola come assenza di dolore – condizione che se fosse vera, la renderebbe accomunabile alla noia, che ha esattamente gli stessi sintomi. Questa felicità – potremmo dire – sancita costituzionalmente, imposta, rivendicata, pare però che non sia sempre d’aiuto.
Lo dimostra, come sempre, una ricerca di qualche università di un posto molto lontano e dal nome abbastanza lungo da risultare autorevole. Gli studiosi dell’Università di New South Wales hanno infatti pilotato l’umore di alcuni volontari attraverso diversi generi di film e spingendoli a ricordare avvenimenti più o meno spiacevoli della loro vita. La scoperta è che le persone di buon umore risultavano essere più creative, cooperative, flessibili, fiduciose ed inclini alle facili soluzioni. I musoni invece erano più critici, inclini a riflessioni più attente e profonde, refrattari ai luoghi comuni e ai pregiudizi, più recettivi e analitici nei confronti della realtà circostante, e dotati di una più elevata capacità di memorizzazione.

Diamo ora un fondamento scientifico a questo articolo. Tutto questo accade perché la concentrazione nel sangue della feniletilamina (PEA) aumenta esponezialmente in seguito a stimoli positivi. La sua azione è simile a quella delle anfetamine e favorisce il rilascio di dopamina, neurotrasmettitore che induce uno stato di euforia. Le endorfine che agiscono sugli stessi recettori cerebrali di droghe come l’oppio e l’alcol provocano uno stato di benessere e di ebbrezza generalizzato. Poi c’è la serotonina, parente pacifista dell’adrenalina, che innalza il tono dell’umore. In tutto questo stato di gioioso rincitrullimento generale, vengono però trascurate noradrenalina e dopamina, responsabili dell’aumento della concentrazione e focalizzazione. Inoltre la capacità di essere positivi è stata dimostrata essere un fattore genetico, dovuto ad un gene variante di 5-HTTLPR, che regola la trasmissione di serotonina.

Trascurando dissertazioni scientifiche, che svaniranno dalla mente del lettore entro la fine di questo articolo, o verranno distorte in una di quelle conversazioni nelle quali ci si improvvisa un po’ medici per impressionare gli interlocutori, bisognerebbe fidarsi di più della propria vocina pessimista utilizzandola a proprio favore, non solo sfogando questa energia “oscura” in una sterile vena polemica e disfattista. Come direbbe il guru Barney Stinson “don’t be sad, be awesome instead”.

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Scritto da Maria Pia Montemitro Pubblicato il 1 aprile 2013

 

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