Home » Come funziona?

Cercare particelle brancolando nella nebbia, ovvero: come costruire in casa un rilevatore

ATTENZIONE! In questo post Zarathustra ci insegna due cose meravigliose: come funziona un rilevatore di particelle, e come costruire una ‘camera a nebbia’ nel salotto di casa, per rilevare (alcune) particelle senza dover chiedere al CERN. Se decidete di realizzarla fate però MOLTA ATTENZIONE: bisogna usare materiali pericolosi, anche se facili da reperire. Se non sapete cosa state facendo, fermatevi subito e limitatevi a guardare i video su Youtube riportati in questo stesso post. Potete apprezzare la scienza anche senza dare fuoco alla casa, senza nuclearizzare il gatto e, soprattutto, senza far male a nessuno.
Buona lettura!

[Gio Argento]

 

Nel mio precedente post ho iniziato a descrivere in maniera molto, molto qualitativa perché si ricorra agli acceleratori di particelle per disintegrare la materia nelle sue componenti più fondamentali.
In quell’articolo ho spiegato che più la materia viene accelerata e più alta sarà la velocità delle particelle liberate dopo l’impatto, rallentando così il loro tempo proprio in modo che non decadano prima di arrivare ai rilevatori. Un altro motivo fondamentale per cui la materia è accelerata in macchine come l’LHC di Ginevra è che più veloce va la materia e maggiore sarà l’energia liberata dall’impatto. Ma, come ho cercato di spiegarvi nel post sulla quantizzazione dello spazio-tempo, a maggiori energie corrispondono lunghezze d’onda sempre più piccole: per cui, grossomodo, più veloce vanno le particelle in un acceleratore e più diviene affilata la lama con cui stiamo affettando la materia, permettendoci di fare fettine sempre più sottili e più piccole.

Questo post però non riguarda tanto il funzionamento della nostra “affettatrice atomica” quanto piuttosto gli strumenti necessari per rilevare le particelle emesse: tali strumenti sono detti rilevatori (in inglese detector).

Ora, mentre la camera di accelerazione consiste in un tubo sotto vuoto di pochi millimetri o centimetri di diametro i detector sono macchine enormi: questo perché le particelle sono molto piccole e veloci, quindi per loro la probabilità di interagire con gli atomi della materia che compone i rilevatori è molto bassa (di fatto possono passare tranquillamente nello spazio tra un atomo e l’altro) e attraversando i rilevatori a velocità altissima sono necessarie macchine gigantesche affinché le particelle vi rimangano per un tempo sufficiente per le misurazioni. Tanto per darvi un’idea, i rilevatori di un moderno acceleratore di particelle come l’LHC sono alti come un palazzo di sei piani e pesano svariate migliaia di tonnellate.

Siccome particelle diverse hanno proprietà differenti, ma sono tutte sparate in giro dalle collisioni nel tubo di accelerazione, i detector hanno una struttura ‘a cipolla’ con strati concentrici disposti attorno alla camera di collisione (la parte del tubo di accelerazione dove vengono fatti collidere i fasci di particelle). Nella zona più interna e vicina al punto di collisione c’è la regione del tracker che è costituito da cellette di silicio ordinate in strati concentrici e quando una particella attraversa una celletta può eccitare il silicio producendo un segnale misurabile.

Una caratteristica importante di tutte le parti del detector è di essere immerse in un forte campo magnetico che fa deviare le particelle cariche spingendole ad attraversare i vari strati con un movimento ad spirale. L’ampiezza di tali curve fornisce informazioni sul rapporto tra carica e massa della particella: per comprendere meglio la cosa pensate a due tir con rimorchio aperto che transitino su un viadotto spazzato da un forte vento laterale. Un tir che trasporti un cubo di polistirolo di una tonnellata sbanderà molto di più di un tir che trasporti una tonnellata di piombo: la massa è uguale, ma la superficie di interazione col vento (che qui rappresenta il campo magnetico) è molto maggiore nel caso del polistirolo.

Il tracker è fatto di un materiale relativamente poco denso per cui è capace di bloccare solo le particelle meno penetranti. Inoltre, tutte le particelle senza carica lo attraversano in linea retta non fornendo alcuna informazione (a parte il fatto di non avere carica e quale sia la loro velocità di attraversamento).  Per questo attorno al tracker, con una struttura a cellette disposte in strati e immerse in un campo magnetico, c’è il calorimetro, che è composto da materiali molto più densi che variano a seconda delle particelle che è preposto a misurare.
Il calorimetro è diviso in due parti: quella più interna è di stolzite (un ossido di piombo e tungsteno) che ha la simpatica caratteristica di avere una densità doppia di quella del ferro, ma di essere  perfettamente trasparente; mentre la seconda parte è costituita da strati di rame e acciaio separati da materie plastiche capaci di emettere fotoni se lo strato adiacente di metallo è stato eccitato. Le due parti del calorimetro misurano particelle diverse, ma funzionano allo stesso modo:  nel calorimetro buona parte delle particelle (vista la densità della struttura) incontra atomi con cui reagire iniziando una ‘particle shower’ ovvero una doccia di particelle. Questa doccia inizia perché da un lato le particelle rallentano, quindi il loro tempo proprio accelera (e quelle instabili iniziano a decadere) e dall’altro perché urtando i nuclei del materiale del calorimetro le particelle generano collisioni secondarie che hanno sufficiente energia da generare particelle secondarie che alla fine determinano l’emissione di fotoni ed elettroni. Osservando come le cascate di particelle secondarie sono deviate dal campo magnetico è di fatto possibile capire quali siano state le particelle incidenti e quale fosse la loro energia (perché in questi urti e decadimenti le particelle progressivamente perdono tutta la loro energia fino a non essere più in grado di produrre altri “fuochi d’artificio”): questo equivale a vedere quanto il vento sia capace di spingere lontano i pezzi di polistirolo o i lingotti di piombo dopo che i nostri tir dell’esempio precedente  sono sbandati uscendo di strada.

Lo strato più esterno del rilevatore è detto muon detector ed è dedicato a rilevare i muoni, che assieme ai neutrini sono le particelle più penetranti. Avendo intuito che più le particelle sono penetranti e più il materiale deve essere denso per fermarle, potreste aspettarvi che il rilevatore di muoni sia fatto di piombo, osmio o uranio: invece no. Siccome i muoni sono carichi, le celle del rilevatore sono tubi riempiti di gas e collegati ad elettrodi, come una sorta di lampada al neon di ultraprecisione. Muovendosi, ogni muone ha una probabilità (a dire il vero piuttosto bassa) di eccitare un atomo del gas spiazzando un elettrone e generando un segnale all’elettrodo. In questo processo il muone a sua volta rallenta e perde energia decadendo in altre particelle.

Una caratteristica importante dei muoni è che possono essere essi stessi il frutto del decadimento di particelle che non riusciamo ad individuare direttamente, per esempio il famoso Bosone di Higgs, che secondo i modelli attualmente in vigore dovrebbe decadere proprio in un quartetto di muoni.

Alla fine si torna sempre al nostro caro Bosone di Higgs…

Quella descritta qui sopra è la struttura dei moderni rilevatori, ma esistono modi molto più semplici per individuare le particelle, o per lo meno alcune. Nel post precedente vi avevo promesso che vi avrei insegnato a costruire un rilevatore  che vi permettesse di vederle ad occhio nudo in casa vostra. Dato che non credo abbiate a disposizione metalli pesanti e supersensori costruiremo quella che è definita una camera a nebbia.

Per costruirla vi basterà recuperare un po’ di alcool, una scatola di plastica con un coperchio trasparente, un pentolino d’acqua calda, un pezzo di panno scuro di colore uniforme (anche cartone va bene) e del ghiaccio. Per la versione ottimale di questo esperimento è meglio che l’alcool sia isopropilico e usare ghiaccio secco al posto del ghiaccio normale: questi ultimi due reagenti si possono comperare su internet  MA DEVONO ESSERE USATI CON ATTENZIONE DATO CHE L’ISOPROPANOLO E’INFIAMMABILE PROPRIO COME L’ALCOOL ETILICO, MA PER DI PIU’ E’ TOSSICO SE INALATO O INGERITO, MENTRE IL GHIACCIO SECCO PUO’ CAUSARE USTIONI DA FREDDO E ACCUMULO DI CO2 NELL’AMBIENTE.

La procedura per costruire il tutto pero’ è piuttosto semplice:

1)      Mettete a raffreddare il panno/cartoncino nel freezer.

2)      Dopo una ventina di minuti recuperate il ghiaccio e appoggiatevi sopra la scatola.

3)      Mettete il panno nella scatola di plastica, versateci dentro un po’ d’alcool in modo da bagnarlo per bene.

4)      Chiudete la scatola con il coperchio, è meglio che il coperchio sia a tenuta, ma potete anche usare della pellicola da cucina.

5)      Appoggiate il pentolino con un po’ di acqua tiepida sul coperchio, l’acqua non deve essere bollente (acqua calda di rubinetto va benissimo).

6)      Aspettate un paio di minuti.

Se tutto è andato per il verso giusto dovreste accorgervi di sottili scie che guizzano nel vapore d’alcool proprio sopra il panno (per vederle meglio potreste dover illuminare la scatola con una luce radente). Tali scie sono scie di condensazione causate dalle particelle della radioattività ambientale. Siccome la scatola è chiusa e la parte inferiore è più fredda della parte superiore, i vapori di alcool tendono a condensare sul fondo, proprio come l’umidità dei prati in inverno.

Quando una particella attraversa questa nebbia genera un’onda d’urto che porta ad un crollo della pressione dietro il suo cammino, l’aria espandendosi per colmare il vuoto si raffredda facendo condensare l’alcool in modo molto simile a quanto succede all’umidità dell’aria quando un aereo supera il muro del suono. La radioattività ambientale è piuttosto bassa e varia a seconda delle zone, è maggiore al suolo e negli scantinati (dove si accumula radon) ed è maggiore in terreni vulcanici e sismici, a seconda di dove vivete potreste aver bisogno di costruire camere più o meno grandi.

Per chi non avesse voglia o la possibilità di costruire una camera a nebbia o per chi volesse vedere cosa succede prima di mettersi all’opera, ecco due video dove potete vederle in azione.

Questa è una versione ‘tascabile’.

Immagine anteprima YouTube

Questa invece è la cloud chamber del Museo della scienza di Berlino: è sufficientemente grande da individuare parecchi eventi di decadimento ambientale simultaneamente, poi ci mettono pure del radon per rendere il tutto più divertente.

Immagine anteprima YouTube

 

Buona visione e a presto.

 

Parola di Zarathustra.

 

 

Tag:, , , , , , , , ,

Scritto da Zarathustra Pubblicato il 11 marzo 2013

 

Se ti é piaciuto questo articolo, rimani aggiornato:
seguici anche su Facebook!

Commenti chiusi.