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La quantizzazione dello spazio, ovvero: Achille, la tartaruga e i pixel dell’universo

In un precedente post abbiamo iniziato ad affrontare la bizzarra questione di quante dimensioni abbia il nostro universo, concludendo quella prima parte di discussione con un esperimento mentale riguardante una scatola di biglie d’acciaio ed una formica.
Quell’espediente per approssimare il concetto di impacchettamento delle dimensioni extra contemplate dalle diverse teorie delle stringhe esemplifica anche cosa si intenda per quantizzazione dello spazio-tempo, ovvero la suddivisione dello spazio (e del tempo) in unità base non ulteriormente divisibili (nel nostro caso erano le sfere d’acciaio nella scatola).

Prima che gli astrofisici iniziassero a convenire che probabilmente lo spazio-tempo è quantizzato, per millenni i comuni mortali e perfino illustri sapienti hanno vissuto felicemente concependo lo spazio come continuo. Ad esempio, nel quinto secolo avanti Cristo Zenone di Elea, per sostenere l’ipotesi dell’illusorietà del movimento, propose il famoso paradosso di Achille e della tartaruga secondo cui l’agile Achille che  si muove  dieci volte più veloce della tartaruga non riuscirà mai a raggiungerla, perché mentre lui percorre dieci passi che lo separano dall’animale lei ne percorrerà uno; mentre lui percorre quel passo, lei percorre un decimo di passo e cosi’ via all’infinito…

Zenone in realtà aveva preso una cantonata (ovviamente) basandosi su un’erronea interpretazione matematica del concetto di infinito: una lunghezza finita di dimensione ‘n’ può essere divisa in un numero infinito di parti, ma la somma di tutti questi intervalli non produce una lunghezza infinita, ma quella di partenza (in matematica si direbbe che il limite della serie infinita tende ad ‘n’ e non ad infinito). Tuttavia il paradosso di Zenone, pur sbagliato, ha un’importante implicazione: in uno spazio continuo può essere immagazzinata una quantità infinita di informazione, questo perché se una particella si muovesse lungo un segmento di AB e fosse in grado di assumere qualunque posizione intermedia  tra A e B ci vorrebbe un numero infinito di coordinate per definire il moto punto per punto della particella da A a B.

Nel prossimo post vedremo cosa implichi avere la capacità di immagazzinare una quantità infinita o finita di informazione in un volume di spazio; prima però è necessario approfondire un poco il concetto di quantizzazione dello spazio stesso e per questo bisogna tirare in ballo la meccanica quantistica. Con l’avvento della meccanica quantistica ci si rese conto che l’energia non è un’entità continua arbitrariamente suddivisibile all’infinito, ma è organizzata in pacchetti detti appunto ‘quanti’.
Curiosamente gli oggetti studiati dalla meccanica quantistica, le particelle, hanno una duplice natura quantistica (per l’appunto), ma anche ondulatoria, ovvero si comportano sia da particelle che da onde e l’energia portata da un ‘quanto’ è intimamente legata dalla sua frequenza. Maggiore è la frequenza, ovvero il numero di oscillazioni che compie la particella in un certo tempo (tipicamente in un secondo) e maggiore è l’energia immagazzinata. Questo puo’ essere facilmente verificato scaldando un pezzo di metallo: se prendete una moneta in mano dopo pochi minuti essa sarà alla vostra temperatura corporea (tipicamente 36-37°C). Osservandola ad occhio non è cambiato nulla , ma se aveste una macchina fotografica ad infrarossi (o meglio ancora il visore dell’alieno del film Predator) potreste chiaramente vedere che la moneta ‘brilla’ rispetto ad un’altra che avete lasciato sul tavolo senza toccarla.

Se non avete costose macchine fotografiche o tecnologie aliene a disposizione potete mettere la vostra moneta su un fornello e dopo poco il metallo diventerà rosso cupo e poi via via più brillante. Con una fiamma abbastanza calda potreste rendere il metallo della vostra moneta incandescente abbastanza da illuminarci una stanza (e questo è ciò che succede nelle lampadine a incandescenza). Questo cambio di colore dall’infrarosso, al rosso e poi al bianco è dovuto alla quantità di calore assorbita dal metallo e poi riemessa sottoforma di energia elettromagnetica. Con poca energia  i fotoni emessi sono nell’infrarosso, aumentando l’energia si inizia ad emettere radiazione nello spettro visibile  prima alle frequenze del rosso poi a quelle del verde (e rosso e verde assieme danno il colore giallo per somma cromatica) ed infine del blu (rosso, verde e blu assieme danno il bianco).
Ma tutto questo cosa ha a che fare con la quantizzazione dello spazio-tempo?

Tutto questo c’entra perché la  frequenza di una radiazione è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda (se faccio due oscillazioni in un metro, ogni onda è lunga mezzo metro, ma se ne faccio venti di oscillazioni, ogni onda è lunga cinque centimetri). E la lunghezza d’onda è per l’appunto una lunghezza ovvero una dimensione dello spazio.
Albert Einstein con la sua famosa equazione E=mc^2 ha dimostrato che energia e materia sono due facce della stessa medaglia e da quanto detto qui sopra l’energia è collegata allo spazio tramite il concetto di lunghezza d’onda. Ora, se noi avessimo a disposizione una macchina (chiamiamola SuperFornello+SuperMoneta(tm) )capace di concentrare una quantità di energia a piacere tutta in un singolo fotone potremmo osservare un fenomeno interessante. Aumentando progressivamente la quantità di energia, passeremmo dall’emettere un fotone radio, ad uno di luce visibile e poi ultravioletta, fino ai raggi X e gamma. Spingendo la nostra macchina ancora oltre, la lunghezza d’onda del fotone continuerebbe a diminuire mentre la sua energia ad aumentare. Ma siccome sappiamo che la materia e l’energia sono piuù o meno la stessa cosa, ad un certo punto i nostri fotoni avrebbero abbastanza energia da generare un campo gravitazionale abbastanza intenso da essere percepibile; aumentando ancora l’energia si arriverebbe alla minuscola lunghezza d’onda di 1,6*10^-35 metri, e a quel punto il campo gravitazionale diverrebbe così intenso da trasformare il nostro fotone in un piccolissimo buco nero (delle dimensioni paragonabili a quelle della sua lunghezza d’onda).

Poiché la ‘vita’ di un buco nero però è proporzionale alla sua massa, un buco nero così piccolo sarebbe assolutamente instabile e decadrebbe esattamente nel tempo che ci impiega la luce ad attraversarlo (circa 5.3*10^-44 secondi). Di fatto, quindi, nell’Universo non esiste nessuna possibilità di raggiungere lunghezze d’onda inferiori a 1,6*10^-35 metri che quindi è considerata la minima lunghezza che abbia un significato nei fenomeni fisici, e non esiste nessuna possibilità di avere eventi che si compiano in meno di 5.3*10^-44 secondi dato che è esattamente il tempo richiesto dalla velocità della luce per percorre il minimo spazio che abbia un senso dal punto di vista fisico.

Quelle riportate qui sopra  sono rispettivamente la Lunghezza e il Tempo di Planck, e sono considerati i limiti del potere di risoluzione della fisica nello spazio-tempo. In pratica, sono le dimensioni dei suoi pixel.

 

Parola di Zarathustra

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Scritto da Zarathustra Pubblicato il 26 ottobre 2011

 

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5 Commenti »

  • Piermatteo Barambani dice:

    Caro Zarathustra, approfitto per farti alcune domandi che mi hanno sempre stuzzicato. Hai una referenza per “ad un certo punto i nostri fotoni avrebbero abbastanza energia da generare un campo gravitazionale abbastanza intenso da essere percepibile”? Intuitivamente, sono portato a pensare che la luce curvi lo spaziotempo (sebbene così poco da non essere rilevabile in alcun modo), ma non ho mai trovato qualcosa a supporto.
    Anche in questo forum, in cui mi sembra di cogliere degli interventi preparati (http://boards.straightdope.com/sdmb/showthread.php?t=526189), non arrivo ad una soluzione netta dell’inghippo.
    Vorrei condividere con tutti questo intervento che mi sembra cardine: “If a photon releases a graviton in the forest, does anyone feel it”?

  • Zarathustra dice:

    Ciao,
    qui trovi qualcosa sulla luce come fonte di gravità…

    http://books.google.ch/books?id=bU4xUMuJlukC&pg=PA16&lpg=PA16&dq=antiparallel+laser+beam+curved+spacetime&source=bl&ots=G_TzAWiTuC&sig=2c8j4eQucyH0O-1jC5JzT0vIZeE&hl=it&ei=5PuvTrfqJtKP4gTsz6XAAQ&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CB8Q6AEwAA#v=onepage&q&f=false

    http://en.wikipedia.org/wiki/Kugelblitz_%28astrophysics%29

    Onestamente non mi ricordo la referenza ma mi ricordo che la luce in realtà curva lo spazio piu’ di una quantità di materia con pari energia, se non mi ricordo male ha un’efficienza esattamente doppia. Il problema è che mentre si possono produrre grandi aggregati di massa non esistono processi sufficientemente energetici da generare fotoni con energie enormi.

    Infine vorrei sottolineare che non è possibile comprendere quale sia la natura della materia dentro un buco nero, ma se è vero che un buco nero possiede la massima entropia possibile (lo affrontero’ in un post uno di questi giorni) la sua temperatura interna deve essere la massima possibile.
    A tali scale di temperatura (10^30°K è la temperatura di planck) non puo’ esistere materia ordinaria (e secondo alcuni modelli vigenti anche la materia oscura potrebbe disintegrarsi) per cui alcuni ipotizzano che un buco nero sia solo un gas di fotoni che si autoconfinano gravitazionalmente.

    Spero di essere stato abbastanza esauriente

  • Carlo dice:

    Ciao Zarathustra
    hai spiegato un concetto complicato in maniera molto comprensibile complimenti… sarei molto curioso di sapere come plank sia giunto sperimentalmente a determinare il suo quanto di spazio. Mi puoi aiutare?

  • Zarathustra dice:

    Ciao Carlo,
    in realtà le varie unità di misura di Planck sono particoarmente importanti perchè non sono ricavate sperimentalmente ma sono ottenute per via puramente teorica a partendo dalle varie costanti fisiche dell’universo (la misura di queste costanti è ricavata sperimentalmente).
    Per la lunghezza di plank entrano in gioco la costante di gravitazione universale, la velocità della luce e la costante di planck.