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Sperimentazione animale: nessuno salva i moscerini, ma sono loro che ci salveranno

Al solo nominare le parole “sperimentazione animale” (mal conosciuta come “vivisezione”), tutti corrono subito con la mente ai Beagle imprigionati negli allevamenti che subiscono inutili sevizie.
Già il nostro Piermatteo a suo tempo si era cimentato nell’ardua impresa di spiegare ad alcune persone diversamente informate che la sperimentazione animale è indispensabile ai fini della ricerca biomedica e, soprattutto, che non è affatto una tortura gratuita come gli animalisti vorrebbero far credere.

Oggi però vorrei sollevare un altro punto della questione, che forse molti ignorano, e cioè: il Beagle, e in generale il modello Canis lupus familiaris, viene utilizzato veramente in bassissima percentuale nella ricerca.
Il protagonista assoluto in questi termini è invece il topo (Mus musculus). Tale modello animale infatti rappresenta il compromesso ideale tra genoma relativamente semplice e manipolabile, velocità di riproduzione, numero di progenie abbastanza alto e peso economico (alto, per carità, ma non insostenibile come invece comporterebbe il mantenimento di centinaia di cani o primati).
Il topo è un modello animale conosciuto e screditato dagli animalisti, che affermano che “non è un modello affidabile perché diverso dall’uomo” (il topo è diverso dall’uomo? Non l’avevo notato!). Credo che con il termine “diverso” queste persone intendano dire “geneticamente diverso”.
Siamo ormai stanchi di dire che sì, ovviamente il DNA del topo non è in tutto e per tutto identico a quello dell’uomo, ma nonostante questo per moltissimi aspetti è un modello semplificato, estremamente utile ed affidabile (se viene utilizzato da sempre dagli scienziati e ci sono tanti farmaci disponibili sul mercato ci sarà un motivo? Veramente si dà più peso alle parole della Brambilla piuttosto che a quelle della Montalcini?).
L’importante, in ricerca, è conoscere a fondo il modello animale che si sta usando ed essere consapevoli dei suoi limiti e dei suoi vantaggi. Ci sono informazioni che un modello ci può dare e altri no, l’importante è pianificare una linea di lavoro scegliendo il modello animale più adatto ai nostri scopi.

Quelle che però gli animalisti ignorano bellamente, poverine, sono tante piccole creature che sono utilizzate ampiamente nella ricerca, molto più dei Beagle! Stiamo parlando di mosche, vermi e pesciolini, che nonostante non siano nemmeno mammiferi (e quindi ancor più differenti da noi di quanto lo sia il topo), hanno dato e danno tutt’oggi un enorme contributo.
Ho deciso di trattare in tre brevi puntate ciascuno di questi modelli animali, facendovi conoscere alcune delle loro caratteristiche più curiose e interessanti (diamo un po’ di credito anche a loro, suvvia!).

Iniziamo subito con il primo, famosissimo (per alcuni): Drosophila melanogaster, altresì noto come “moscerino della frutta”.

Ringraziamo gli amici di "A favore della sperimentazione animale" (http://on.fb.me/YRJiRv), che ci dilettano sempre con queste piacevoli chicche!

Non per smontarvi subito, ma a rigor di completezza va precisato che in realtà Drosophila sarebbe, più correttamente, il “moscerino dell’aceto” (il termine “moscerino della frutta” è però quello più usato nel linguaggio colloquiale anche nei laboratori). Ma non perdiamoci in quisquilie.
Questa simpatica moschina, vi chiederete, come può essere un modello di ricerca?
Può! Tanto che essa rappresenta il modello d’elezione per gli studi di genetica (chiunque abbia studiato genetica ha sentito parlare di Drosophila). Il suo genoma, interamente sequenziato, è così composto: quattro paia di cromosomi, per un totale di circa 15.000 geni. Più del 50% delle proteine codificate è analogo alle proteine umane e circa il 70% delle malattie genetiche conosciute è condiviso tra le due specie.

Per questo i geni di Drosophila ci hanno aiutato moltissimo, come continuazione agli studi di Mendel, a comprendere la trasmissione dei caratteri ereditari, in particolare ci hanno permesso di chiarire la trasmissione dei caratteri legati al sesso (tipiche malattie genetiche legate al sesso sono il daltonismo, la sindrome dell’X-fragile, l’emofilia, il favismo).
Il moscerino ci va proprio a genio per questi studi perché le mutazioni che solitamente lo colpiscono sono molto frequenti e, soprattutto, estremamente tipiche. Una delle caratteristiche fenotipiche più osservate è il colore degli occhi. Lo scienziato Thomas Hunt Morgan, vincitore del premio Nobel per la medicina  nel 1933 per i suoi studi su Drosophila, aveva osservato che alcuni caratteri, tra cui appunto il colore degli occhi, non venivano trasmessi secondo le leggi di Mendel. I geni per questi caratteri infatti si trovano soltanto sul cromosoma X (mentre il cromosoma Y è piccolo e contiene un numero di geni scarso). Pertanto, il colore degli occhi, che è un carattere ereditario legato al sesso, non verrà tramandato ai figli rispettando le regolari leggi di Mendel, bensì seguirà diversi schemi di trasmissione.

Ma andiamo con ordine: perché Drosophila è utile per studiare la trasmissione di caratteri ereditari? Innanzitutto precisiamo che i geni per il controllo dello schema corporeo del moscerino hanno degli analoghi nell’uomo e negli altri animali superiori. Ma la differenza è che nell’uomo il genoma, si dice, è ridondante. Significa che per un gene con una funzione importante ci sono due o più geni omologhi, ovvero una sorta di geni “di scorta”. Qualora infatti il gene interessato dovesse funzionare male, o non funzionare del tutto, questi geni ridondanti potranno compensare la sua assenza e far sì che l’organismo funzioni comunque correttamente.
In Drosophila questa ridondanza non c’è, perciò se un gene viene mutato (cioè “alterato nella sua funzione”), la mutazione non verrà compensata da nulla e quindi si manifesterà automaticamente nel fenotipo, svelandoci facilmente qual era la funzione di quel gene per l’organismo, se questa non era ancora nota.
Per farvi un esempio immediato e un po’ drastico: se vogliamo scoprire la funzione di un gene di Drosophila ancora sconosciuta, possiamo provare a intervenire sul DNA per rimuovere solo e soltanto quel gene e vedere che conseguenze ci saranno nell’organismo. Poiché in Drosophila non c’è ridondanza, nessun gene di scorta sopperirà a questa mancanza. Otterremo, per esempio, un moscerino senza antenne. Osservando il fenotipo, sarà facilmente deducibile che quel gene che abbiamo rimosso era indispensabile per la formazione delle antenne. Facile, no?
L’assenza di ridondanza genetica è un vantaggio che può venire sfruttato al meglio grazie alla disponibilità di numerose tecniche di mutagenesi e transgenesi (cioè tecniche di manipolazione del DNA per mutare, modificare o togliere dei geni). E’ possibile anche fare transgenesi condizionale, e cioè mutare un gene soltanto in un particolare tessuto, per vedere la sua funzione in quel solo distretto corporeo.
Alcune mutazioni portano a fenotipi estremamente bizzarri, come la presenza di zampe al posto delle antenne!
(Per chi vuole saperne di più, ho messo un breve approfondimento alla fine dell’articolo).

Drosophila non è utilizzato ovviamente solo per la genetica, ma anche per studi comportamentali, come ad esempio l’assunzione di alcol. A questo proposito vi consiglio l’articolo scritto dalla nostra autrice Sabrina.
Sono disponibili molte pubblicazioni che mostrano come Drosophila sia un valido modello di studio di moltissime patologie (quali cancro, cardiopatie, diabete, morbo di Parkinson, corea di Hungtington e morbo di Alzheimer), nonché ottimo aiuto per comprendere molti meccanismi alla base della fisiologia, del remodeling neuronale, dello sviluppo embrionale, del differenziamento cellulare ecc.

Infine, cosa da non dimenticare, il moscerino rende più facile il compito dei ricercatori anche in termini economici, visto che è molto semplice da allevare per via delle sue piccole dimensioni, ha una velocità di riproduzione elevatissima (2 settimane) e progenie abbondante (una femmina depone circa 500-600 uova alla volta!). Le uova si schiudono dopo 24 ore, la larva passa allo stadio di pupa dopo 5 giorni e diventa adulta a circa 10 giorni.

Non male per un “semplice” moscerino, eh?

 

Hermione

 

Approfondimento:
Durante lo sviluppo embrionale, nelle ultime fasi, il corpo del moscerino “in formazione” viene diviso in segmenti. Prima si approssima una divisione primaria, poi si definiscono i confini dei vari segmenti in maniera più netta. Questa suddivisione è precisa e regolare, ed è indispensabile proprio perché in ciascun segmento verranno espresse determinate strutture caratteristiche di quella futura parte del corpo, rispettando un asse antero-posteriore.
Questa espressione selettiva è possibile grazie alla presenza di alcuni elementi essenziali, detti geni selettori omeotici. Un’importante precisazione: i geni omeotici sono altamente conservati nelle varie specie, dal lievito all’uomo (ovviamente saranno in numero e gruppi diversi e definiranno diverse strutture).
In Drosophila, questi geni sono raggruppati sul DNA in due regioni distinte del cromosoma 3, denominate complessi omeotici (Hox complex). Questi due complessi prendono il nome di Antennapediabithorax.
Il complesso Antennapedia si troverà anteriormente a bithorax e comprenderà i geni per le strutture del capo e del torace (come le antenne, le ali e le zampe anteriori); il complesso bithorax si troverà posteriormente e includerà invece i geni per le strutture addominali (ad esempio Ultrabithorax, gene per le zampe posteriori). Se uno di questi geni viene a mancare, i geni posti in posizioni vicine tenderanno ad “espandersi” nella regione con il gene mancante. Perciò, se Ultrabithorax viene mutato, la mosca non avrà più le zampe posteriori. Nel frattempo però il gene a lui vicino (quello per le ali e le zampe anteriori) si espanderà in quella zona, e così la mosca, oltre a non avere le zampe posteriori, avrà un bel paio di ali in più! Allo stesso modo un’alterazione nel gene per le antenne provocherà un avanzamento del gene che si trova subito dopo, e così il moscerino si ritroverà con delle zampe al posto delle antenne!

Immagine tratta dal sito: http://ebook.scuola.zanichelli.it/sadavabiologia/

Per tutte le vostre curiosità su questo modello animale è disponibile questo portale online: http://flybase.org/

 

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Scritto da Hermione Pubblicato il 23 aprile 2013

 

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2 Commenti »

  • Gabriele dice:

    Per chi fosse interessato, volevo segnalare un bel libro sull’argomento:
    “Dio creò la mosca” di Martin Brookes, edito da Longanesi.
    E’ un libro di facile lettura, scorrevole ed intrigante quanto basta ad appassionare anche il lettore meno “tecnico”. Ci offre uno spaccato della ricerca genetica eseguita sulla Drosophila melanogaster, dagli albori fino a.. una decina di anni fà.

    A me personalmente è piaciuto moltissimo perchè l’autore, non senza una vena umoristica quà e là ci accompagna attraverso aneddoti da laboratorio, successi e fallimenti che fanno trasparire non solo l’importanza di quest’animale ma il grandissimo lavoro che stà dietro ad ogni scoperta che lo riguarda.

    Consigliatissimo anche visto il prezzo ormai irrisorio…
    http://www.ibs.it/code/9788830420229/brookes-martin/dio-creo-mosca.html

    Gabriele

    PS per i gestori del blog: Se ritenete sconveniente il link ad un sito commerciale rimuovete senza problemi le ultime righe :)

    • Giovanni Argento dice:

      come può essere sconveniente un ottimo consiglio per una lettura? :)
      Grazie, Gabriele, per la tua segnalazione!