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L’effetto “Jolie” è un abuso della medicina preventiva?

La diagnosi preventiva di patologie degenerative come i tumori ha segnato un capitolo fondamentale nella guerra contro le malattie. Ma che succede quando la “troppa medicina” e il “troppo sapere” prendono il sopravvento nella vita di ognuno di noi? Nei giorni scorsi ha fatto scalpore la vicenda dell’attrice americana Angelina Jolie, che grazie a uno screening genetico ha scoperto di essere portatrice del gene BRCA1: questo gene quando è mutato aumenta le probabilità di far insorgere un tumore al seno o alle ovaie. La madre dell’attrice è morta proprio per un tumore al seno, e secondo la genetica le probabilità di Angelina di ammalarsi a sua volta erano dell’87%.

La Jolie si è quindi sottoposta ad una doppia mastectomia, un intervento per rimuovere entrambe le mammelle e sostituirle con due protesi. Sebbene, molti potrebbero trovare discutibile questa scelta, bisogna ricordare che la prevenzione si basa sulle statistiche, e la possibilità di sopravvivenza aumenta notevolmente grazie all’intervento tempestivo. Rimuovere il seno, infatti, non annulla del tutto la probabilità che insorga il tumore, ma la abbassa fino al 5% (contro l’87% predetto dal test genetico).

C’è da dire però che i lustrini hollywoodiani generano sempre fenomeni di imitazioni smodate, e sulla scia di Angelina Jolie, ha fatto scalpore il caso di un manager inglese, di 53 anni, che in seguito allo screening genico ha scoperto di avere il gene che è il progenitore del tumore alla prostata. L’uomo inglese ha partecipato a questo test per via di precedenti casi familiari di carcinoma, ed in seguito si è scoperto portatore del gene che predispone alla malattia.

In merito al caso si è espresso Umberto Veronesi, che ha spiegato la differenza sostanziale tra i due tipi di carcinoma, la letalità della malattia e le conseguenze di un intervento così estremo come la doppia mastectomia e la rimozione della prostata. Spiega Veronesi che nel caso di Angelina Jolie, o delle donne nelle sue condizioni, la possibilità di andare verso la letalità della malattia ha una probabilità estremamente elevata, ed effettuare un intervento di mastectomia può essere di fondamentale importanza; anche se va detto che, nel caso in cui la donna non soffra di un’ansia eccessiva dovuta al timore di sviluppare la malattia, sono sicuramente preferibili dei controlli periodici per ‘prendere’ l’eventuale tumore il più presto possibile (con possibilità di guarigione del 95%).

Per quanto riguarda la prostata, invece, ci sono esigue possibilità (il 9%) che la patologia si manifesti. Per giunta, in questo caso è altamente probabile che il tumore sia benigno e non metta in pericolo la vita del paziente. Veronesi, tra i vari “contro” esprime anche una considerazione molto importante: “togliendo la prostata si può diventare anche impotenti, quindi è un intervento più serio della mastectomia. Svuotare le ghiandole mammarie e sostituirle con due protesi, dal punto di vista chirurgico è una banalità, ma per la prostata è completamente diverso”. È meglio dunque una continua sorveglianza del tumore piuttosto che un intervento così invasivo e debilitante.

Si rischia dunque l’effetto imitazione: in molti casi le mastectomie preventive potrebbero comunque non essere giustificate quando basterebbe solo un continuo screening per valutare il decorso della malattia, mentre in altri è una scelta altamente giustificata.

Nell’era della tecnologia, la possibilità di poter sequenziare il proprio patrimonio genetico o l’eccessivo uso di test diagnostici ha degli ottimi vantaggi, ma manifesta il serio rischio di generare un’eccessiva ipocondria nelle persone, e sicuramente la conoscenza del proprio destino genetico può generare un’ansia e un’apprensione talmente devastante che porterebbe ad azioni sconsiderate, come quella compiuta dal manager inglese. Il British Medical Journal, ha lanciato per questo la campagna “Too much medicine” attraverso la quale si propone di migliorare nelle persone la consapevolezza dei benefici e rischi dei trattamenti e delle tecnologie, per evitare che ci sia un abuso della medicina e dei test diagnostici.

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Scritto da Loredana Sansone Pubblicato il 27 maggio 2013

 

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3 Commenti »

  • Giuseppe Cardillo dice:

    Personalmente trovo che sia un eccesso di… “legittima difesa”. Innanzitutto una quota parte di tumori del pancreas sono BRCA1 positivi: cosa farà la Jolie? Si farà togliere anche il pancreas? E poi ho un grosso terrore. Ora come ora faccio molte analisi prenatali di malattie genetiche senza alcun motivo, senza la presenza di alcun fattore di rischio (Fibrosi Cistica e Sordità congenità soprattutto). Mi chiedo: e se incominciassero a chiederci BRCA1/BRCA2 su liquido amniotico? E se il feto è femmina e positivo che si fa? Si abortisce?

    • Camilla dice:

      Giuseppe,

      Se un feto femmina avesse BRCA1/BRCA2 probabilmente da grande inizierebbe molto presto a fare controlli e non credo sia motivo sufficiente per l’aborto terapeutico (parola che non amo del resto).

      Non capisco cosa ci sarebbe di sbagliato in tutto questo e non riesco proprio a condividere il tuo terrore.
      Anche se non sono d’accordo con l’aborto terapeutico (ad esempio in caso di figlio down accertato) non mi sento di dire che non dovrebbe esistere.

      eccesso di Legittima difesa?
      chissà come ci si sente a sentirsi dire: “hai l’80 % di probabilità di avere un tumore al seno” ?
      Magari lei VIVE MEGLIO con due belle nuove protesi al petto, piuttosto che facendo esami ogni 3 mesi (non so la tempistica vera, ma credo di avvicinarmi) con lo stress continuo di scoprire da un trimestre all’altro una formazione tumorale.

      Magari invece la mia amica fifona (che si è fatta la totale per rimuovere una cisti esterna nel polso :) ), avrebbe preferito gli esami ogni settimana piuttosto che farsi incidere con il bisturi anche solo mezza volta.

      Chi può giudicare?

      Credo che la scienza sia uno strumento, quando ben regolato, che aumenti la possibilità di scelta e di espressione di ogni singolo individuo. :)

  • Sabrina dice:

    bellissimo pezzo.
    personalmente non credo che esista qualcosa come la “troppa informazione” (o il “troppo sapere”). al limite intravedo, in effetti, il problema della “troppa medicina”, ma vi riconosco anche il ruolo chiave del medico, che ha il dovere di contestualizzare l’informazione (le percentuali, le barre di errore, le alternative) e guidare il paziente verso una scelta consapevole.
    il paziente però ha il diritto di compierla, questa scelta, per quanto opinabile, e il dovere di assumersene la responsabilità.